L’inevitabile rapporto tra sport e politica

Non è facile trovare un grande evento sportivo dove la politica non sia presente in qualche modo. L’ultimo esempio sono i mondiali di calcio recentemente conclusisi in Qatar.

di Marco Pedone (*)

 

 

Nonostante spesso si sia tentato di tenerli distanti l’uno dall’altro, lo sport e la politica sono confluiti sulla stessa strada moltissime volte.
Dalle coraggiose scelte di Muhammad Ali, al boicottaggio occidentale alle Olimpiadi di Mosca del 1980 fino all’esclusione degli atleti russi da varie manifestazioni sportive nell’ultimo anno, è difficile trovare un grande evento sportivo dove la politica non sia presente in qualche modo.
Recentemente hanno fatto rumore le affermazioni del presidente turco Erdoğan , che lo scorso 25 dicembre, in occasione di un evento giovanile nella provincia orientale di Erzurum, riferendosi a Cristiano Ronaldo ha affermato: “In Qatar è stato imposto un veto politico su di lui, perché difende la causa palestinese” e ha poi aggiunto “secondo le informazioni che ho ricevuto, Ronaldo sta andando in Arabia Saudita”.
Se il presidente turco ci avesse preso per la seconda parte del discorso, potremmo dire lo stesso anche della prima?

 

Calciatori e Palestina

Il presunto sostegno del fenomeno lusitano alla Palestina nasce da una notizia diffusasi via web nel 2012, secondo cui il campionissimo avrebbe messo all’asta la scarpa d’oro 2011-2012 per poi destinare il ricavato (corrispondente a 1.5 milioni di euro) alla costruzione di scuole sulla striscia di Gaza.
La notizia venne poi smentita da una portavoce di Gestifute Media, un’agenzia spagnola che ai tempi si occupava della gestione d’immagine dell’asso portoghese.
Inoltre CR7 non ha mai rilasciato dichiarazioni ufficiali a sostegno della causa palestinese.
Diversi calciatori però in passato si sono esposti sulla questione.
Dopo i fatti di Sheikh Jarrah del maggio 2021 diversi giocatori, tra cui Hakimi, Bennacer e Mahrez, hanno preso una posizione netta a favore della popolazione palestinese.
La recente storica impresa del Marocco al Mondiale è stata festeggiata sia dai calciatori in campo che dai tifosi sugli spalti con lo sfoggio di bandiere palestinesi, a sottolineare il forte legame sentimentale tra tutti i popoli arabi e la causa palestinese.

 

Turchia: i casi Özil e Kanter

Il commento di Erdoğan non è stato del tutto casuale: il presidente turco è noto per essere un grande appassionato di calcio, sport che ha anche praticato a livello professionistico.
La leggenda vuole che in passato gli fosse stato affibbiato il soprannome di “Imam Beckenbauer”.
Sono anche noti i legami del presidente con diverse personalità sportive turche di rilievo: una fra tutte Mesut Özil.
L’ex calciatore dell’Arsenal, in occasione del suo matrimonio con l’ex Miss Turchia Amine Gulse, ha scelto come testimone di nozze proprio il presidente della Turchia.
Il campione tedesco di origine turca è stato al centro del dibattitto extracalcistico in diverse occasioni.
Nel dicembre 2019, tramite un post su Instagram, Özil ha attaccato in maniera piuttosto forte il governo cinese per le politiche sugli Uiguri, definendo l’etnia turcofona musulmana cinese come “guerrieri che resistono alla persecuzione”.
Queste dichiarazioni gli sono valse la cancellazione del suo avatar dal videogioco Komani Pro Evolution Soccer e sono costate all’Arsenal l’oscuramento della successiva partita nei canali cinesi.
Di tutt’altro genere è la storia di Enes Kanter, cestista turco/statunitense attualmente svincolato.
Da sempre sostenitore di Fethullah Gülen, storico oppositore di Erdoğan, Enes non ha mai perso occasione per attaccare il presidente turco su Twitter.
I suoi attacchi lo hanno portato alla revoca della cittadinanza turca e all’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica da parte di Ankara, con tanto di mandato d’arresto.
Il 29 novembre 2021 ha ottenuto la cittadinanza statunitense e ha deciso di cambiare nome in Enes Freedom.
Svincolato da quasi un anno, il cestista è attualmente intenzionato a denunciare l’NBA, dal momento che secondo lui il suo mancato impiego nella lega è dovuto al suo attivismo contro la violazione dei diritti umani in Cina.

 

James McClean e il Poppy

Spostandoci in Inghilterra, è impossibile non citare il caso James McClean.
Centrocampista con cittadinanza irlandese dal 2012, McClean è noto per le sue posizioni politiche, che spesso lo hanno portato a ricevere anche minacce di morte.
Nato a Derry, città che fu teatro del Sunday Bloody Sunday cantato dagli U2, James si rifiuta ogni anno di indossare il papavero rosso in occasione del Remembrance Day, giorno di commemorazione osservato dai paesi del Commonwealth in ricordo dei soldati caduti.
Questa sua scelta è riconducibile proprio ai fatti avvenuti nella sua città natale nel 1972, quando l’esercito inglese uccise 14 civili disarmati.
Durante il lockdown del 2020 il centrocampista irlandese postò una storia su Instagram insieme ai figli mentre indossava un passamontagna, storico simbolo dell’organizzazione paramilitare irlandese IRA, con annessa descrizione “Oggi lezione di storia”.
La foto suscitò non poca indignazione nel Regno Unito.
Anche l’attuale centrocampista della Roma Matic ha rifiutato di indossare il Poppy nel novembre 2018, poiché suscitava in lui il ricordo dei bombardamenti in Serbia.
Pensare di separare lo sport dalla politica è follia, ma in un’epoca dominata dai diritti televisivi esprimersi su certi argomenti sarà sempre più difficile per le società sportive.

 

(*) East Journal. Link all’articolo originale: https://www.pressenza.com/it/2023/01/linevitabile-rapporto-tra-sport-e-politica/

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