L’inferno domestico, la madre e il ragazzino

di Daniela Pia

Bisognerebbe calzarli i mocassini del ragazzino di 14 anni che a Sassari, qualche giorno fa, ha assistito all’ennesimo pestaggio della madre da parte del suo convivente. Nessuno che non li abbia vissuti può immaginare quali traumi, quale impotenza e quanta rabbia ha covato a lungo e in solitudine, cercando di difenderla quella madre. Qualcosa è scattato nel momento in cui il bullo ha rivolto la sua violenza verso di lui: è stato allora che il coltello da cucina si è materializzato nella sua mano e ha colpito.

L’ennesimo caso di brutalità e violenza cui assistono ragazzini e ragazzine all’interno delle mura domestiche: un grave problema sociale spesso ignorato. Questi figli restano prigionieri in una situazione che li avrebbe dovuti tutelare e trasformano l’angoscia in rabbia; l’impotenza diventa un boomerang affilato che talvolta si ritorce contro.

Sopravvivere a tutto ciò richiede una forza inimmaginabile: nelle scuole di frontiera lo sappiamo bene, quando siamo chiamati a confrontarci con il muto grido d’aiuto che arriva da giovani studenti e studentesse vittime di situazioni disarmoniche, lesive del fragile processo di maturazione che vivono all’interno di un nucleo familiare malato.

Ci sono giovani che finiscono per farsi carico di madri o padri diventando genitori dei loro genitori: tutori di chi dovrebbe tutelarli.

Quando gli squilibri e le alterazioni della sfera emotiva tracimano l’ennesimo episodio di violenza, quasi sempre a carico della madre, si può causare – come nel caso sassarese, per quello che sappiamo – una risposta altrettanto violenta a difesa dell’unico bene che si desidera salvare: l’affetto zoppo di una donna maltrattata.

Si tratta di risposte istintive che non mettono in conto la capacità di prevedere le conseguenze delle azioni. È sul momento che si agisce, si colpisce per difendere e difendersi. Persino il pontefice si è lasciato scappare che «se qualcuno offende mia madre si becca un pugno» e a volte il pugno si può far lama ferendo (o uccidendo) l’aguzzino di turno.

Difficile per le agenzie educative estranee alla famiglia saper valutare per tempo le avvisaglie di rischio precipitanti. Solo quando scaturiscono fatti di cronaca tragici come questo, il sipario si solleva e mette a nudo la distruttività che cova in certe figure “parentali” soprattutto nei confronti di donne inermi che subiscono in silenzio trascinando i loro figli in un baratro.

Quando qualche giovane Davide impugna il coltello contro il Golia di turno lo fa perché è stato abbandonato a se stesso: due volte vittima solitaria.

A tutti questi esseri umani che hanno conosciuto la paura, che hanno avuto gli occhi sbarrati in notti interminabili, che a scuola dormono perché non possono permetterselo a casa, che trattengono il respiro e si fanno piccoli piccoli, a tutti loro questo mondo così indifferente dovrebbe chiedere mille volte scusa.

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

2 commenti

  • Antonello Pabis

    Un abbraccio è la misera paga che dedico a te per lo scritto e al ragazzino per le sue sofferenze

  • Grazie Antonello, ricambio l’abbraccio a te che ne hai visto di cose… e continui a lottare per un mondo migliore.

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