L’inglese se n’è gghiuto
Abbagli, favolette e tragedie: il futuro d’Europa è la guerra?
di Franco Berardi Bifo (*)
Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco fina(n)zista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo.
Purtroppo i lavoratori inglesi che hanno massicciamente votato per la Brexit hanno preso un abbaglio colossale, come spesso capita a chi, per l’immiserimento materiale e psichico, ha perduto il ben dell’intelletto. È vero che l’Unione europea è divenuta nel tempo un mostro neoliberista ma l’origine della demenza neoliberale, che ha distrutto l’Europa e devasta il mondo intero da quarant’anni sta proprio nel Paese di Margaret Thatcher. Non è l’Inghilterra che deve uscire dall’Unione Europea, ma l’Unione europea che dovrebbe uscire dall’Inghilterra. Purtroppo è tardi per farlo, perché l’Unione europea, dopo avere contratto il male inglese, è ormai ridotta a un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario. Gran parte delle motivazioni che hanno portato i lavoratori inglesi a votare per la Brexit sono comprensibili. Ma il problema non sta nelle motivazioni, il problema sta nelle conseguenze.
L’Unione europea non esiste più da tempo, almeno dal luglio del 2015, quando Syriza è stata umiliata e il popolo greco definitivamente sottomesso.
Ci occorre forse un’Europa più politica come dicono ritualmente le sinistre al servizio delle banche? Sono anni che crediamo nella favoletta dell’Europa che deve diventare più politica e più democratica, ma da Maastricht in poi, contratto il male inglese, l’Unione europea è divenuta una trappola finanzista.
Un articolo di Paolo Rumiz (Come i Balcani) uscito il 23 su “La Repubblica” dice una cosa che a me pareva chiara da tempo: il futuro d’Europa è la Yugoslavia del 1992. Rumiz lo dice bene, anche se dimentica il ruolo che la Deutsche Bank svolse nello spingere gli yugoslavi verso la guerra civile (e Wojtila fece la sua parte).
Ora credo che occorra dirlo senza tanti giri di parole: il futuro d’Europa è la guerra. Il suo presente è già la guerra contro i migranti che già è costata decine di migliaia di morti e innumerevoli violenze. Forse suona un po’ antico, ma per me resta vero che il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta.
Cosa si fa in questi casi? Si ferma la guerra e si impongono gli interessi della società contro quelli della finanza? Naturalmente sì, quando questo è possibile. Ma oggi fermare la guerra non è più possibile perché la guerra è già in corso anche se per il momento a morire sono centinaia di migliaia di migranti in un Mediterraneo in cui l’acqua salata ha sostituito il ZyklonB.
I movimenti sono stati distrutti uno dopo l’altro. E allora?, allora si passa all’altra parte dell’adagio leniniano (segnalo per chi avesse qualche dubbio che non sono mai stato leninista e non intendo diventarlo). Si trasforma la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Cosa vuol dire? Non lo so, e nessuno può saperlo, oggi. Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione.
Ma insomma, non porto il lutto perché gli inglesi se ne vanno. Ho portato il lutto quando i greci sono stati costretti a rimanere a quelle condizioni (e adesso che ne sarà di loro?). Cent’anni dopo l’Ottobre mi sembra che il nostro compito sia chiederci: cosa vuol dire Ottobre nell’epoca di internet, del lavoro cognitivo e precario? Il precipizio che ci attende è il luogo in cui dobbiamo ragionare su questo.
(*) Ripreso da «Comune-info» come pure la foto: «Calais jungle (tratta da ibtimes.co.uk)»; la vignetta invece è di Giuliano Spagnul. Se il post “Brexit” vi sconvolge/appassiona Comune Info offre anche questi altri post.
LA DEMOCRAZIA COLTA
“Secondo la gran parte degli illuminati analisti liberali, democratici ed europeisti – scrive Matteo Saudino, insegnante -, la causa della Brexit sarebbe il voto inconsapevole, ignorante, emotivo degli inutili pensionati, dei pigri disoccupati, degli abitanti delle periferie e delle campagne, dei bifolchi gallesi, degli ubriachi operai e delle impaurite vedove… Che disamina onesta e lungimirante. E io che stupidamente pensavo che le cause fossero da ricercare nei tagli al welfare state, nei salari bassi, nella disoccupazione crescente, nella precarizzazione del lavoro, nelle guerre che destabilizzano il Medioriente, nell’impoverimento dell’istruzione pubblica e nelle politiche economiche monetarie liberiste e recessive dell’Unione europea…”
MATTEO SAUDINO
GLI ABISSI DEL VOTO INGLESE
“Quest’Europa è diventata insopportabile e avrei gioito dell’uscita della Gran Bretagna se fosse stato il segnale di un popolo che dichiara di non poterne più di questa politica – scrive Francesco Gesualdi – Invece no: gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione europea perché vogliono alzare muri ancora più alti da un punto di vista umano e sociale. I sostenitori dell’uscita hanno usato come motivazione prevalente i flussi migratori… È la logica della Lega Nord e speriamo che non sia anche quella del Movimento 5 stelle, che su tutto ha espresso opinioni, fuorché sull’equità e la solidarietà sociale…”
FRANCESCO GESUALDI
Bifo? Sempre lucido e senza fronzoli.
È bello leggerlo.
Non sono per niente convinta che “la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione europea sia un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco fina(n)zista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo”.
L’isola del cazzo non ha mai fatto parte dell’eurozona. Di conseguenza è stata esentata dalle sanzioni previste dal ‘patto di stabilità e crescita’ del 1997, quello che impone un disavanzo statale sotto il 3% e un debito pubblico sotto il 60% del PIL. Non ha nemmeno aderito al trattato del 2012 sul fiscal compact. In pratica, ha mantenuto una notevole autonomia dall’UE rispetto alle politiche monetarie (sulla scelta di operare o meno svalutazioni competitive, quantitative easing), e di bilancio (che vuol dire politiche fiscali e sociali). Ragion per cui, all’isola del cazzo, l’UE non ha mai imposto le privatizzazioni per sanare il deficit , o i tagli della spesa pubblica, come fa con noi.
L’isola del cazzo ha fatto tutto da sola dai tempi della Thatcher in poi, privatizzando tutto il privatizzabile e dotandosi, l’anno scorso, del suo personale fiscal compact, ancora più rigido di quello europeo. Ma il peso di tali politiche sulla working class inglese non è in alcun modo imputabile all’UE.
E allora da dove viene tanto antieuropeismo proletario ? Principalmente dalla libera circolazione dei cittadini comunitari, che approdando sull’isola del cazzo acquisiscono gli stessi diritti al welfare degli indigeni, contendendogli il loro stesso osso.
La mia impressione è che si siano proiettate ampiamente sugli operai inglesi le nostre motivazioni No UE, ben diverse dalle loro.