L’inimmaginabile Covid

Dall’Era Pandemica alla Vax War: evoluzione di una rivolta prevedibile.

Un articolo di Franco «Bifo» Berardi (*) e, a seguire, analisi di Ernesto Burgio e Antonio Mazzeo più un articolo di Science Daily tradotto per la “bottega”  da Giorgio Chelidonio.

Vax Wars

Quando il virus si diffuse rapidamente sul pianeta, lo scambiammo per un invisibile nemico comune e ci sentimmo per un breve momento affratellati. «Andrà tutto bene», scrivevano i ragazzini sui cartelli. Voleva dire: l’umanità associata non può che vincere la battaglia contro il male. Non è sempre andata così?

In verità non è sempre andata così, anzi. Ma potevamo e volevamo crederlo, perché eravamo impegnati nell’ennesima battaglia contro la natura, che stava tentando di sterminarci. Tutta la storia umana è stata una successione di battaglie contro la natura: da quelle battaglie nacquero la tecnica, la medicina, la civiltà sociale. Poi la natura iniziò il suo contrattacco, non per odio nei nostri confronti ma per cieca necessità. Onde oceaniche anomale, foreste in fiamme, ghiacciai alla deriva, e alla fine il virus.

In un primo momento ci siamo sentiti uniti come un unico corpo minacciato. Poi è intervenuta la tecnica, determinazione non simbolica del linguaggio che si inserisce direttamente nella vita, e ha prodotto la formula chimico-algoritmica di un vaccino, che poi non è proprio un vaccino ma piuttosto una protesi mutagena inserita nel sistema immunitario. In seguito, nel giro di pochi mesi è arrivata la produzione delle fiale, dei sieri, dei contenitori, insomma tutta la filiera industriale che rende disponibile la protezione, l’immunità.

Siamo così entrati nella seconda fase dell’Epoca Virale, ed è mutata la disposizione degli umani verso gli umani: non più uniti nel subire l’offensiva della natura, ma schierati in competizione per il potere sulla tecnica vaccinale.

Il regime della scarsità delle difese salvavita restaura la condizione della guerra, sospesa finché eravamo accomunati dall’essere indifesi. Ecco allora che il vaccino riprogrammatore diviene il terreno su cui si ridefiniscono i giochi simbolici dell’economia, della geopolitica e della guerra.

Anche l’immunità diviene una merce. Prodotto del lavoro tecnico-scientifico di virologi biologi ingegneri, oggetto dell’appropriazione corporativa che la sottomette al dominio del profitto, l’immunità istituisce la nuova frontiera della schiavitù umana.

Quando il vinto si inginocchia davanti al vincitore e chiede che a lui e ai suoi figli venga risparmiata la vita, in quel momento il vinto diviene schiavo, e i suoi figli divengono schiavi con lui. La vita, solo la vita, non importa quale vita.

Schiavo è colui a cui è stata concessa la sopravvivenza. Schiava è l’umanità che va emergendo tra disciplina del distanziamento e guerra dell’immunità. L’automa cognitivo, che si sta costituendo connessione dopo connessione, aveva bisogno della nostra illimitata sottomissione, e l’esperienza che tutti gli esseri umani stanno vivendo a partire dall’anno 2020 è proprio quella dell’illimitata sottomissione dei vinti che si inginocchiano di fronte all’automa con la siringa, e chiedono che l’automa risparmi loro la vita, nient’altro che la vita, non importa quale vita.

Da questo momento la storia del genere che fu umano è conclusa, inizia la storia del gregge, inizia la sottomissione al potere superiore della riprogrammazione immunitaria che sceglie chi merita di sopravvivere come schiavo e chi merita di essere scartato.

Non è previsto che qualcuno respinga la salvezza che proviene dall’automa. Non è previsto che qualcuno preferisca la morte alla sottomissione.

La creatività scientifica che produce il vaccino e tutte le altre belle cose della tecnologia non ha niente a che vedere con gli azionisti delle corporation. Quelli sono una manica di ignoranti che non sanno niente di biologia né di virologia né di ingegneria: la sola cosa che hanno studiato è l’economia, che non ha nulla a che fare con la scienza.

 

La fase genocidaria del capitalismo

Il 13 marzo 2021 l’Organizzazione Mondiale del Commercio (il famoso WTO contro cui si battevano gli insorti di Seattle nel novembre 1999) ha parlato: rispondendo alla richiesta di liberare la produzione dello pseudo-vaccino dalla signoria del brevetto, che proveniva da Sud Africa, India e dal direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), i custodi dell’ordine dei mercati hanno sentenziato che per nessuna ragione si può sospendere l’applicazione del trattato sui cosiddetti diritti sulla proprietà intellettuale, anche se c’è il rischio che milioni di persone muoiano perché non ci sono abbastanza vaccini disponibili.

La favola che raccontano gli economisti neoliberali recita così: senza profitti sull’innovazione scientifica non ci sarebbe il vaccino. Il profitto è retribuzione del rischio. Si tratta di una duplice menzogna. Prima di tutto le corporazioni Big Pharma non hanno rischiato niente perché sono state finanziate dagli Stati affinché producessero il vaccino al più presto, quindi il loro profitto l’hanno avuto in anticipo; adesso se ne stanno prendendo un secondo, illegittimo. Inoltre, non è affatto vero che la creatività scientifica rallenta e langue se gli azionisti di Big Pharma non incassano profitto. Si tratta di un paralogismo da quattro soldi (si fa per dire, i soldi in questione sono miliardi). La creatività scientifica che produce il vaccino e tutte le altre belle cose della tecnologia non ha niente a che vedere con gli azionisti delle corporation. Quelli sono una manica di ignoranti che non sanno niente di biologia né di virologia né di ingegneria: la sola cosa che hanno studiato è l’economia, che non ha nulla a che fare con la scienza. Il vaccino è stato costruito dai lavoratori cognitivi, come ogni altro miracolo della tecnica con cui gli ignorantissimi capitalisti si fanno belli e soprattutto ricchi.

Nel secondo anno dell’Era Pandemica siamo entrati nella fase Vax War: è la guerra di tutti contro tutti per infilarsi un ago nella pelle: l’umanità scende allora sul gradino più basso, l’immondo carnevale del cinismo terminale. Angloamericani e israeliani sono stati i più rapidi, gli europei si sono fatti gabbare, hanno pagato in anticipo ma Big Pharma non gli manda le boccette di vaccino perché c’è qualcuno che paga di più. Uno Stato nazionale contro l’altro, una categoria professionale contro l’altra, i vecchi contro gli operai, e soprattutto i paesi ricchi contro quelli poveri.

Quanti moriranno per l’avidità proprietaria protetta dai TRIPs (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights)? Forse solo qualche milione, perché i poveri sono giovani, e i vecchi bianchi ricchi hanno la precedenza nella gara infame del si salvi chi può. La World Trade Organisation ha chiuso la questione: neppure di fronte alla morte si può sospendere la logica del profitto.

Su L’Express del 12 febbraio 2021, in un articolo dal titolo «Pour ou contre: faut-il libérer les licences des vaccins?», Najat Vallaud-Belkacem afferma che «tra il 1998 e il 2004, 9,3 milioni di persone sono morte di AIDS nell’Africa subsahariana a causa del costo esorbitante del trattamento». D’ora in avanti sappiamolo: il capitalismo è entrato nell’Era Genocidaria, e il Covid-19 non è che l’inizio.

 

Tornano gli anni Venti

La rivista Bloomberg Businessweek ci promette che stanno per arrivare finalmente gli anni ruggenti. In un articolo pubblicato il 26 gennaio 2021, Peter Coy preconizza allegria e prosperità a partire dal 2024. Dopo aver osservato che storicamente dopo le epidemie c’è un risveglio euforico, si sofferma in particolare sugli anni Venti del secolo passato, un periodo di boom economico e diffusione popolare delle tecnologie dopo la guerra mondiale e la pandemia di «spagnola», quando tutti ballavano il charleston e il foxtrot.

Non ho ragione di guastare le feste future, figuriamoci, ma vorrei ricordare a Peter Coy che seppure gli anni Venti furono prosperi per alcuni (non per i lavoratori tedeschi costretti a pagare i risarcimenti di guerra, né per i lavoratori della Industrial Workers of the World massacrati dagli agenti della Pinkerton), la conclusione non fu proprio brillante: il crollo del ’29, la Grande Depressione americana, e per finire il nazismo e la guerra.

A parte ciò, due o tre particolari non irrilevanti rendono lo scenario del nostro tempo un po’ diverso da quello del Grande Gatsby.

La prima differenza sono le dimensioni della popolazione mondiale, che da un miliardo e mezzo è balzata a quasi otto miliardi. La seconda è l’invecchiamento medio della popolazione dell’emisfero Nord. La terza, fondamentale, è che l’espansione dell’economia incontra oggi un limite invalicabile nell’esaurimento delle risorse, nell’irreversibilità della degradazione ambientale, e nell’esaurimento delle energie nervose, mentre negli anni Venti del secolo passato l’espansione industriale era in pieno svolgimento.

Il 10 marzo 2021, però lo stesso Peter Coy sembra averci ripensato: sulla stessa rivista avverte che l’effetto sociale della pandemia è un’accentuazione devastante della diseguaglianza. Nell’articolo «The Legacy of the Lost Year Will Be Devastating Inequality» scrive:

Il futuro danno cumulativo sarà probabilmente ancor più grande di quello provocato dal Covid nel suo primo anno. La società sembra essere un lungo degente, come certi pazienti che hanno problemi sanitari persistenti. E i più svantaggiati saranno quelli che soffriranno di più… Ma le disuguaglianze interne sono poca cosa rispetto alla distanza che si accentua tra i diversi paesi. L’anno scorso gli esperti sanitari hanno diffuso un piano di distribuzione equa dei vaccini per dare priorità alla prevenzione della morte, soprattutto della morte prematura. Ma il piano è stato ignorato perché le nazioni più ricche si sono affrettate ad accaparrarsi le forniture.

Grandi manovre sono in corso nelle segrete del ciberspazio.

 

Silenzio

Alla disintegrazione del legame sociale corrisponde l’integrazione dell’automa cognitivo globale. La pandemia ha enormemente ampliato lo spazio del digitale nella vita sociale: paralisi dei corpi distanziati, sottomissione della mente interconnessa. Una parte sempre più decisiva della sopravvivenza dipende dalla connessione.

Nel frattempo si delinea all’orizzonte una guerra di nuovo genere. Dal marzo del 2020 un agente incognito (probabilmente russo, ma chi lo sa) ha condotto un’operazione di hacking sofisticatissima che ha penetrato il software Orion dell’azienda texana SolarWinds. 18.000 siti americani sono stati infiltrati per almeno sei mesi: in gran parte agenzie amministrative, industriali e militari. Secondo Steven J. Vaughan-Nichols SolarWinds: “It’s Pearl Harbor”; un altro articolo lo riassume così:

ll cyber-attacco a SolarWinds appare come l’attacco più pesante che gli Stati Uniti abbiano subìto, e ha colpito sistemi critici di agenzie governative e di imprese private. Non è ancora chiara l’estensione di questa interferenza, che potrebbe riguardare anche centrali nucleari, impianti idroelettrici, sistemi di controllo del traffico e del ciclo industriale. […] La possibilità di controllare questi sistemi permette a chi compie l’attacco di provocare il caos in qualunque momento. Per di più questi cyber-attacchi ai sistemi governativi possono eliminare la capacità di comando, controllo e comunicazione…

Adesso il nuovo presidente americano minaccia ritorsioni contro questo attacco, e grandi manovre sono in corso nelle segrete del ciberspazio: possiamo prevedere senz’altro che nei prossimi anni l’infrastruttura digitale sarà sempre più teatro di incursioni invasive o distruttive. Conseguenza della guerra che si prepara è il black out dei servizi informatici cui ci siamo assoggettati al punto che la vita è diventata impossibile senza. Vittima della guerra sarà la vita quotidiana, sempre più dipendente da un sistema interconnettivo che è diventato il principale campo di battaglia. La sola cosa che potremo fare a quel punto sarà sederci in poltrona e leggere Il silenzio l’esile ultimo romanzo di Don de Lillo uscito per Einaudi, che ci racconta proprio come va a finire quando una silenziosa bomba informatica colpisce il funzionamento dell’automa connettivo globale, paralizzandolo e paralizzando la vita quotidiana.

 

Una rivolta prevedibile

Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un report redatto da Philip Barrett e Sophia Chen dal titolo Social Repercussions of Pandemics, nel quale si prevede che nella primavera del 2022 il mondo sarà attraversato da conflitti di ogni genere: proteste, rivolte, insurrezioni. Ma l’FMI non sembra preoccupato per questa eventualità. Da tempo le rivolte appaiono sempre più incapaci di trovare direzione concreta, unità di intenti, progetto, strategia. Prevedibili come le piogge d’autunno, come le convulsioni di un corpo lungamente compresso, di un cervello che non riesce più a ricevere l’ossigeno necessario per essere cosciente e quindi imprevedibile.

Le rivolte arabe del 2011, le rivolte dell’autunno 2019 sono state enormi convulsioni che hanno avuto come effetto principale quello di aggiungere frustrazione alla frustrazione. La pandemia ha distanziato i corpi e raggelato l’anima. Ora la rivolta è il solo linguaggio che possediamo per riattivare il corpo intorpidito. Ma se non siamo capaci di inventare un dopo la rivolta, allora dopo la rivolta c’è solo l’autismo, l’immunizzazione psichica. Il processo di immunizzazione, infatti, non investe soltanto l’organismo fisico, ma tende a investire anche la sfera psichica: immunizzazione psichica è la riduzione o l’azzeramento della percezione empatica della vita circostante: autismo tendenziale di chi ha vissuto la rivolta come sconfitta, di chi teme l’innamoramento per il timore della delusione, di chi rinuncia al desiderio perché il piacere sembra inattingibile.

La rivolta verrà, lo sa perfino il Fondo Monetario, ma noi dobbiamo deluderlo. Dovremo andare molto più a fondo di quanto il Fondo possa immaginare. Dobbiamo immaginare l’inimmaginabile, e sperimentarlo.

(*) Fonte: Sinistra in rete.

Link all’articolo originale: https://sinistrainrete.info/societa/20151-franco-bifo-berardi-l-inimmaginabile.html

Carbon dioxide levels reflect COVID-19 risk

Un articolo ripreso da Science Daily e tradotto da Giorgio Chelidonio

Qui il testo originale in inglese:

https://www.sciencedaily.com/releases/2021/04/210407143809.htm

I livelli di anidride carbonica riflettono il rischio COVID-19. La ricerca conferma il valore della misurazione dell’anidride carbonica in ambienti interni (es. biblioteche) per stimare il rischio di infezione.

Riepilogo: il monitoraggio dei livelli di anidride carbonica negli interni è un modo economico e potente per monitorare il rischio che le persone contraggano COVID-19, secondo una nuova ricerca. In qualsiasi ambiente interno, quando i livelli di anidride carbonica in eccesso raddoppiano, anche il rischio di trasmissione raddoppia all’incirca, riferiscono gli scienziati.

Secondo una nuova ricerca del “Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences” (CIRES) e dell’Università del Colorado Boulder, il monitoraggio dei livelli di anidride carbonica all’interno è un modo economico e potente per monitorare il rischio che le persone contraggano COVID-19. In un dato ambiente interno, quando i livelli di CO2 in eccesso raddoppiano, anche il rischio di trasmissione raddoppia all’incirca, secondo quanto riportato questa settimana da due scienziati in “Environmental Science & Technology Letters”. I chimici hanno fatto affidamento su un semplice fatto già utilizzato da altri ricercatori più di un decennio fa: le persone infettive espirano virus trasportati dall’aria nello stesso momento in cui espirano anidride carbonica. Ciò significa che la CO2 può fungere da “proxy” (intermedio) per il numero di virus nell’aria. “Non sei mai al sicuro in casa condividendo l’aria con gli altri, ma puoi ridurre il rischio”, ha detto J. Jimenez, coautore della nuova valutazione, un CIRES Fellow e professore di chimica presso l’Università del Colorado Boulder. “E il monitoraggio della CO2 è davvero l’unica opzione pratica e a basso costo disponibile”, ha affermato Z. Peng, un ricercatore CIRES, autore principale del nuovo articolo.
Per molti mesi, i ricercatori di tutto il mondo hanno cercato un modo per monitorare continuamente il rischio di infezione da COVID-19 all’interno, sia nelle chiese che nei bar, negli autobus o negli ospedali.
Alcuni stanno sviluppando strumenti in grado di rilevare continuamente i virus nell’aria, sia per avvertirne un picco o per indicarne la relativa sicurezza.
Jimenez e colleghi si sono rivolti ai monitor di anidride carbonica disponibili in commercio, che possono costare solo poche centinaia di dollari. Dopo aver testato, in laboratorio, che le rilevazioni dei “monitor” erano accurate, hanno elaborato un “modello a scatola matematico” di come :
– una persona infetta espira virus e CO2;
– altri nella stanza hanno inalano ed espirano;
– i virus e il gas si accumulano nell’aria di una stanza o vengono rimossi dalla ventilazione. I
Il loro modello prende in considerazione i numeri di infezione nella comunità locale, ma non descrive in dettaglio il flusso d’aria attraverso le stanze. Questo tipo di modellazione richiede, però, un’analisi costosa e personalizzata per ogni stanza. È importante capire che non esiste un livello standard di CO2 i base al quale si possa presumere che uno spazio interno condiviso sia “sicuro”, ha sottolineato Peng.
Ciò è in parte dovuto al fatto che anche le attività che vi si svolgono sono importanti: le persone nella stanza cantano e parlano ad alta voce o si esercitano, o sono sedute in silenzio e leggono o riposano?
Un livello di CO2 di 1.000 ppm, che è ben al di sopra dei livelli esterni di circa 400 ppm, potrebbe essere relativamente sicuro in una biblioteca tranquilla con maschere ma non in una palestra attiva senza maschere.
Ma in ogni spazio interno, il modello può rivelare il rischio “relativo”: se i livelli di CO2 in una palestra scendono da 2.800 a 1.000 ppm (~ 2.400 sopra i livelli di fondo a 600), anche il rischio di trasmissione di COVID-19 scende al 25% del rischio originario.
In biblioteca, se un afflusso di persone fa passare la CO2 da 800 a 1.600 (da 400 a 1.200 sopra lo sfondo), il rischio di trasmissione COVID triplica.
Nel nuovo documento, Peng e Jimenez hanno anche condiviso una serie di formule matematiche e strumenti che gli esperti in sistemi di costruzione e salute pubblica possono utilizzare per individuare il rischio effettivo, non solo relativo. Ma la conclusione più importante è che per ridurre al minimo il rischio, mantenere i livelli di CO2 in tutti gli spazi in cui condividiamo l’aria il più bassi praticamente possibile.
“Ovunque si condivida l’aria, minore è la CO2, minore è il rischio di infezione”, ha detto Jimenez.

Journal Reference:

Zhe Peng, Jose L. Jimenez. Exhaled CO2 as a COVID-19 Infection Risk Proxy for Different Indoor Environments and ActivitiesEnvironmental Science & Technology Letters, 2021; DOI: 10.1021/acs.estlett.1c00183

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