Insetticidio – di Mark Adin

Nel caldo umido, estivo, uno dei rifugi possibili è l’ auto, se il climatizzatore funziona.

Fuori, sospese su questo asfalto rovente, fluttuano nella canicola nuvole di insetti alati. SPAF. Questo doveva essere bello grosso, spiaccicato sul cristallo. Falene, piccoli angeli della notte. Loro e le loro zampette.

Non so come si chiami la malattia nervosa che produce repentine contrazioni muscolari, ha diversi livelli di gravità, e quella di Falco non era leggera.  Nel camminare si contorceva tutto, tagliando l’aria con gesti automatici, le gambe scalcianti e le braccia scattanti come un Bruce Lee redivivo. I movimenti erano talmente disordinati, violenti, veloci, da rischiarne pericolosamente l’equilibrio, ma nel punto in cui sembrava dovesse cadere, puntava il bastone e riprendeva la svelta sequenza di gesti saettanti e compulsi. Trovarsi nel raggio d’azione poteva essere rischioso.

Lui sembrava pilotare benissimo le sue brusche, caotiche attività motorie involontarie,  riuscendo a compiere, nonostante quegli scoppi di energia, tutte le azioni necessarie e quotidiane. Non mi pare di averlo mai visto eretto, però intuivo. Intuivo che potesse avere un’altezza intorno al metro e settanta, ma  appariva di venti, trenta centimetri più basso, data la sua complicata e mobilissima andatura: un quadrumane epilettico o, per dirla come malevolmente lo chiamava il Gheppo, un “ragno”.

In effetti, qualcosa del suo incedere ricordava quello degli aracnidi. Il fatto è che il Gheppo lo chiamava così ad alta voce, con crudeltà, davanti a tutti, con cattiveria, al solo scopo di umiliarlo. Falco soffriva e tirava avanti. Anzi, era lui, con la sua pensione da invalido, a mantenere tutti in quella specie di comune-ballatoio, di casa-accoglienza. Pagava le bollette, faceva la spesa, dava la mancia alle due giovanissime figlie del Gheppo. Perché loro, puttane in erba, gli mandavano baci, si facevano leggere le labbra da cui sillabavano parole sconce, si divertivano ad alzare una spanna di gonne. Lui si eccitava e scuciva.

Il vicino si era messo a fare certi lavori di muratura, non solo senza autorizzazione  da parte del padrone di casa, ma convinto che tali lavori sarebbero stati, da questi, apprezzati come opere di miglioria. Sciagurato. In realtà, già una volta gli era capitato di sfondare accidentalmente il pavimento nell’intento di cambiare una piastrella, incrociando lo sguardo con quello del sottostante. Per la giornata in corso si sarebbe però trattato di demolire un tramezzo, un compito facile, e Falco si propose. Mazzetta alla mano, Falco picchiava come poteva, sa dio come.

Fu allora che il Gheppo riprese a oltraggiarlo, ripetendo: “Ragno! Sei solo un ragnoo! Che cosa credi di fare con quel martello? Ragnoo!” Falco interruppe lo scasso del muro e si girò verso il Gheppo, insultante e protervo, facendosi presso di lui, innervosendosi, prendendo inconsapevolmente a roteare le braccia. Un impulso  elettrico possedette il braccio ballerino che stringeva il martello, che partì giungendo a bersaglio. Un colpo secco e rotondo. SPAF! Sulla fronte del Gheppo, che sbiancò e cadde sulle ginocchia, mormorando: “Oddìo…! Oddìo non ci vedo più, mama!…” , cadendo dapprima sulle ginocchia e poi lungo e disteso, con la faccia all’ingiù.

Falco non fu più irriso. Una sera, attraversando la via, durante uno dei suoi irresistibili balletti, un pirata della strada lo lanciò in aria come uno straccio. SPAF! Nessuno andò dietro alla cassa, la comunità di ringhiera si sciolse per mancanza di fondi, e il Gheppo crepò di cirrosi qualche mesetto dopo.

Metto la freccia. Fermo la macchina per rifornirmi al distributore, il benzinaio è di buzzo buono: con una spugna mi lava il vetro e ciò che resta dell’insetto spiacciccato, che finisce nell’acqua lurida del secchio. Dove sarebbe stato più giusto che galleggiasse la luna.  Ma non questa sera d’estate.  Questa sera se ne frega proprio, della luna.

Mark Adin

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