L’invisibile violenza delle nostre merci

 Due post di Giorgio Nebbia e Monica Di Sisto (*)

coltan-postNEBBIA

Pentole, tablet e nuove schiavitù

di Giorgio Nebbia

In generale sappiamo ben poco di che cosa sono fatti gli oggetti che usiamo continuamente; la pentola in cui cuociamo la pasta, l’automobile con cui ci muoviamo, il cellulare o il tablet con cui comunichiamo eccetera contengono materie plastiche e metalli della cui provenienza sappiamo ancora meno. Vengono dal fabbricante di pentole e automobili e cellulari, ovviamente, ma il fabbricante li ha prodotti a sua volta da idrocarburi e minerali estratti in Paesi anche lontanissimi, da persone che non conosceremo mai, forse liberi lavoratori con salari equi e adeguata sicurezza, forse miserabili schiavi costretti a lavori estenuanti, lontani dalle loro case.

Qualcosa su queste condizioni di sfruttamento umano fu denunciata dal film «Diamanti di sangue», del 2006, con Leonardo DiCaprio, che descriveva l’estrazione di diamanti, insanguinati appunto, da parte di migliaia di lavoratori schiavi, nella repubblica africana della Sierra Leone. Meno note, ma altrettanto dolorose, sono le condizioni di lavoro in altre zone dell’Africa, in cui milizie locali si guerreggiano con armi acquistate col ricavato dalla vendita dei minerali estratti col lavoro infernale di minatori schiavi. Senza contare che questi metodi violenti di estrazione clandestina si lasciano alle spalle montagne di scorie tossiche per l’ambiente e le popolazioni locali.

A qualcuno, sia pure nel disinteresse generale, sta a cuore la diminuzione di tutta questa violenza umana e ambientale: il Parlamento europeo, qualche settimana fa ha votato a maggioranza una risoluzione che impone agli industriali di denunciare se i metalli che usano provengono da minerali estratti in zone in guerra. È una iniziativa ispirata da una simile legge statunitense del 2010, e già alcune industrie, soprattutto nel settore dell’elettronica di consumo, dichiarano, come dimostrazione della loro correttezza e come occasione di pubblicità, che i loro prodotti non contengono “metalli insanguinati”. La risoluzione europea specifica che la denuncia riguarda gli importatori di stagno, tungsteno, tantalio e dei loro minerali, e di oro, provenienti da una zona dell’Africa equatoriale che comprende la parte orientale della Repubblica Popolare del Congo e i paesi limitrofi Burundi, Ruanda, Sud Sudan e l’Angola.

I minerali e i metalli specificati sono particolarmente importanti per i loro usi industriali e perché in parte provengono proprio dalla zona africana travagliata da conflitti locali. Il principale minerale di stagno è la cassiterite e lo stagno trova impiego nelle saldature e in molti prodotti chimici. Per la sua capacità di proteggere i metalli contro la corrosione, lo stagno è utilizzato per il rivestimento di sottili lamiere di acciaio: si ottiene così la banda stagnata, quella delle lattine per prodotti alimentari conservati; una lattina media di tonno in scatola o di conserva di pomodoro contiene da 100 a 200 milligrammi di stagno.

Il tantalio viene estratto dal minerale columbite-tantalite, il coltan, nel quale si trova insieme al niobio. Il tantalio è un metallo molto resistente alla corrosione, è buon conduttore del calore e dell’elettricità e viene usato nelle apparecchiature elettroniche come telefoni mobili, tablet, computers e anche per la preparazione di speciali leghe per jets civili e militari.

Ancora più importante è il tungsteno che si trova in natura nei minerali wolframite, tungstato di manganese e ferro, e scheelite, tungstato di calcio; il suo principale uso è la preparazione del carburo di tungsteno, un materiale duro quasi come il diamante con cui si ottengono utensili da taglio per la lavorazione dei metalli, nelle escavazioni minerarie e per segare i blocchi di marmo. Leghe a base di tungsteno estremamente resistenti sono usate nella produzione di proiettili penetranti e delle corazze di navi e carri armati. Nel film «Gilda» (1946) il marito della bella Rita Hayworth era un avventuriero che, durante la II guerra mondiale, organizzava per i nazisti il contrabbando del tungsteno estratto dalle miniere sudamericane. Il tungsteno viene impiegato anche in leghe per le pale delle turbine degli aerei a reazione e delle centrali elettriche.

Infine l’oro, di cui esistono miniere “insanguinate” nell’Africa centrale, serve per la fabbricazione di monete e di gioielli, ma soprattutto per le saldature nelle apparecchiature elettroniche. Ogni cellulare o tablet contiene circa 20-25 milligrammi di oro, una quantità che diventa grandissima se si pensa che la Unione Europea importa ogni anno 350 milioni di pezzi fra telefoni mobili e computers, e che in Italia si vendono circa 40 milioni di cellulari all’anno.

L’iniziativa del Parlamento europeo ha suscitato differenti reazioni: favorevoli da parte delle organizzazioni che si battono per i diritti umani e per la difesa dell’ambiente, le quali sperano che la diminuzione dei profitti delle bande in guerra contribuisca a ristabilire una qualche pace e a combattere la corruzione inevitabilmente associata al contrabbando delle preziose materie prime. Contrarie, e non fa meraviglia, le imprese che temono che le norme contro i “metalli insanguinati” facciamo diminuire i loro profitti e che tirano fuori anche la commovente preoccupazione per i minatori africani che potrebbero perdere la loro, sia pure supersfruttata, occupazione. L’iniziativa europea potrebbe essere una occasione per una maggiore informazione dei consumatori sui materiali impiegati in quello che comprano, materiali che “costano” acqua, energia, risorse naturali e anche fatica e dolore e spesso violenza .C’è anche della violenza nelle merci.

Quando guardiamo il nostro smartphone

di Monica Di Sisto

Quando guardiamo il nostro smartphone, per accedere alla sua ultima avanzatissima application o semplicemente per telefonare, c’è una cosa che spesso non vediamo, ben nascosta com’è in design sempre più sofisticati: è la guerra scatenata dalla corsa ai minerali rari che fanno marciare i gioielli della tecnologia, ma anche tanti baluardi della green economy come i pannelli solari o le pale eoliche.

Ignoriamo, a esempio, che oltre il 60 per cento dei giacimenti planetari di coltan – minerale dal quale si estrae il tantalio – sta nella Repubblica Democratica del Congo ed è considerato la causa diretta dell’ultradecennale conflitto in corso; e ignoriamo che da quando il caso del Congo è diventato noto e simbolico, al coltan si è andato sostituendo lo stagno, con la conseguenza che paesi come Indonesia e Malaysia – che ne producono in gran quantità – sono stati invasi da trafficanti clandestini di minerali, che per raccoglierli sfruttano frotte di migranti minatori improvvisati che, a costo della vita, bucano la terra con mezzi di fortuna per sfuggire dalla povertà.

Il 5 marzo 2014 però, sotto una forte pressione dell’opinione pubblica, l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e per la Politica di sicurezza dell’Unione Europea, Catherine Ashton, e il Commissario europeo per il Commercio, Karel De Gucht, hanno proposto una strategia europea per bloccare il traffico. Frutto di consultazione pubblica, analisi d’impatto e di ampie consultazioni condotte presso l’Ocse, le imprese, la società civile e le istituzioni dei Paesi produttori, la strategia risponde a una risoluzione del Parlamento europeo del 2010, che chiedeva all’Ue di proporre una legge ispirata a quella degli Stati Uniti (Dodd-Frank).

La strategia mette a fuoco tre temi principali: 1) ridurre la possibilità che i gruppi armati ricorrano al commercio illegale di stagno, tantalio, tungsteno e oro in zone di conflitto; 2) migliorare la capacità degli operatori comunitari, soprattutto a valle della filiera di approvvigionamento, nel rispettare i requisiti esistenti circa il dovere di diligenza ragionevole; 3) ridurre le distorsioni dei mercati mondiali, per i suddetti quattro minerali provenienti da zone di conflitto e ad alto rischio.

Il testo proposto nel marzo 2014 dalla Commissione europea è molto insoddisfacente. S’immagina infatti di istituire un sistema di autocertificazione per gli importatori comunitari di stagno, tantalio, tungsteno e oro, che contribuisca a ridurre il finanziamento dei gruppi armati e delle squadre della morte, attraverso pratiche di approvvigionamento responsabili delle imprese dell’Ue. La proposta si basa su due princìpi fondamentali: agevolare le aziende che desiderano procurarsi i minerali in modo responsabile e incoraggiare il commercio lecito, presentando un progetto di regolamento che istituisca un meccanismo europeo di autocertificazione per gli importatori europei, su base volontaria.

Il progetto di regolamento prevede misure che ne facilitino l’adesione e incoraggino le imprese europee a dar prova di diligenza nella loro catena di approvvigionamento, anche attraverso: 1) incentivi concernenti gli appalti pubblici per le aziende che vendono telefoni cellulari, stampanti e computer, contenenti stagno, tantalio, tungsteno e oro; 2) sostegno finanziario, riconoscimento e visibilità alle piccole e medie imprese, per incoraggiarle a esercitare il dovere di diligenza, e all’OCcse, per continuare a svolgere le sue attività di sensibilizzazione e di rafforzamento delle capacità.

Gli importatori europei potranno garantire filiere d’approvvigionamento ‘pulite’, nello svolgimento di transazioni legali, con operatori che agiscono in paesi colpiti da conflitti. Essi però non sarebbero obbligati a non comprare minerali insanguinati ma solo invitati a farlo: l’adesione ai protocolli, infatti, sarebbe del tutto volontaria e rimarrebbe compito dei cittadini capire se il prodotto che comprano sia o meno responsabile. Non verrebbe poi chiesto di autocertificarsi a tutte le imprese interessate da questo mercato a rischio. Sarebbero invitati a farlo solo gli importatori, cioè 300 commercianti, 20 raffinatori/fonderie e circa 100 produttori di componenti in tutta Europa: questi sarebbero tenuti a dichiarare dove siano avvenuti l’estrazione, il commercio e la fusione dei minerali.

I fabbricanti o gli importatori di elettronica, telefoni cellulari, automobili, macchine, gioielli fatti di quei minerali, invece, non dovrebbero dichiarare niente e tutto ciò che non viene trasformato in Europa, cioè la gran parte dei prodotti in commercio, soprattutto quelli più diffusi, rimarrebbe a rischio. Con più di 400 importatori di stagno, coltan, tungsteno e oro, l’Unione Europea, invece, costituisce uno dei più grandi mercati di questi minerali e metalli. Attualmente, solo il 18 per cento delle fonderie europee applica il dovere di diligenza per lo stagno, il tantalio e il tungsteno, mentre circa l’89% delle raffinerie d’oro europee è impegnato in programmi specifici.

Sarà proprio il 2015 l’anno decisivo per capire se grazie a un cambiamento di rotta impresso dal Parlamento europeo all’iter legislativo avremo delle regole, e se saremo riusciti, insieme, a farle diventare meglio di come potrebbero essere oggi. EurAc (Rete Europea per l’Africa Centrale) è una rete di 38 organizzazioni appartenenti alla società civile di 12 Paesi europei e si occupa delle relazioni tra l’Unione Europea e l’Africa Centrale (in particolare Burundi, Congo, Ruanda), che considera il progetto di regolamento europeo sul tema dei “minerali da conflitti” troppo ‘timido’ per poter rompere i legami tra conflitti e risorse naturali. Il modello legislativo a cui si guarda è la legge statunitense Dodd-Frank, per la tracciabilità dei minerali utilizzati che risale al 2010.

Tale legge introduce il criterio della trasparenza nella filiera di approvvigionamento dei minerali da parte delle aziende produttrici di strumenti ad alta tecnologia, esigendo dalle società che sono quotate in borsa negli Stati Uniti e che utilizzano dei ‘minerali provenienti da zone di conflitto’ nelle loro attività produttive, di dichiarare l’origine di tali minerali e di effettuare un adeguato dovere di diligenza. Secondo le disposizioni di questa legge, le imprese interessate devono presentare, alla US Securities and Exchange Commission, un loro rapporto annuale che è reso pubblico. Solo il 12 per cento delle società quotate nelle borse europee e non direttamente soggette alla legislazione statunitense fanno riferimento, sui loro siti web, a minerali da conflitto. Tuttavia, fra 150.000 e 200.000 imprese dell’Ue – per lo più operatori a valle – sono coinvolte nelle filiere delle 6.000 imprese quotate in borsa negli Stati Uniti e toccate dalla legge Dodd-Frank. Quindi c’è già, anche se non conosciuta e valorizzata, una base di controllo, seppure indiretto, in Europa.

Nel caso specifico della Regione dei Grandi Laghi, la legge Dodd-Frank ha funzionato come deterrente nei confronti dei minerali prodotti nella Regione, indipendentemente dal fatto che siano estratti in modo legale o meno. Alcune imprese hanno preferito spostare le proprie forniture lontane dall’occhio del ciclone, provocando un aggravamento verticale delle condizioni di povertà di quelle regioni che ormai da molti anni vedevano in questi minerali l’unica fonte di sussistenza per centinaia di migliaia di persone. Ma non è spostando il problema altrove che lo si risolve. E il 2015 dimostrerà se saremo stati capaci di farlo, o avremo ancora fatto finta di non capire, di non vedere.

(*) Ripresi da «Comune Info» dove i post di Giorgio Nebbia (pubblicato anche su La Gazzetta del Mezzogiorno di martedì 28 luglio 2015) e di Monica Di Sisto sono accompagnati dalle foto, molto belle, di LIVIO SENIGALLIESI per Coopi. Dei minerali insanguinati – e in particolare del coltan congolese – qui in bottega si è parlato più volte: vedi a esempio Minerali clandestini: avranno il permesso di soggiorno?

Redazione
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