«L’involo: una fiaba» di Natalia Theodoridou

recensione di Giulia Abbate (*)

Dopo qualche tempo che “noi, il dodo” (**) non aggiorniamo il blog, mi sembra emblematico ricominciare con questa novelette a tema avicolo.

L’involo: una fiaba è un racconto interessante, che in poche pagine ben pennellate riesce a descrivere un mondo umano al completo sfacelo e a creare un’atmosfera di strana aspettativa.

Tant’è che la quarta di copertina recita:

Questa è una fiaba su com’è finito il mondo.
No, non funziona neanche così.
Mi dispiace, piccola mia.
Non ci so proprio fare.
E comunque il mondo non è finito.
È semplicemente cambiato.”

«Semplicemente» non direi, il punto però è che l’autrice rifugge i temi orrorifici, che pure non sarebbero fuori luogo; e sceglie invece di puntare sulla relazione fra lo smarrimento e la reazione: quella che si prova a mettere in campo in un momento critico, in cui un evento traumatico fa saltare tutto, e noi, privə improvvisamente di qualsiasi “norma” o “normalità” nella quale ripararci, cerchiamo ugualmente di stare in piedi, e di far stare in piedi quello che per noi conta davvero.

Tutto questo vi dice qualcosa?

A onore dell’autrice, specifico che questo racconto, in cui “la peste” riprende in senso mooolto letterale l’influenza aviaria, è stato pubblicato nel 2017.

La riflessione che contiene, dunque, non è una instant-cosa, ma lo sviluppo ottimamente riuscito di un racconto di futuro.

ed è una fiaba, anche.

Il tema del raccontare è importante: la realtà stessa, in fondo, è quello che ci raccontiamo, e in un frangente estremo il racconto che facciamo a noi stessə o a chi dobbiamo proteggere può davvero fare la differenza.

L a cura, intesa come protezione primaria, ma anche come presa in carico di qualcun altro, come collaborazione per qualcosa di più grande di noi, è un altra colonna sulla quale questo piccolo racconto si diparte, e ho trovato anche ciò molto bello.

C’è anche, per tornare alla fiaba, il viaggio: una eroina che, in un contesto improvvisamente devastato da questa “peste” che spazza via l’umanità, si muove con una sorta di progetto, e non per la mera sopravvivenza.

Per questa ragione annovero la protagonista Maria tra le “eroine utopiste nella distopia”, delle quali ho parlato in un pezzo sulla rivista “Leggendaria”.
Scrivevo:

Le donne praticano una “temperanza” tra i due sottogeneri [dell’utopia e della distopia]: li connettono in una relazione di interdipendenza narrativa, espressa proprio dalle eroine che non si limitano a voler sopravvivere, ma costruiscono per le comunità e per il futuro.
Nel cupo fondo della distopia, l’eroina utopica trova soluzioni praticabili e collettive; nelle realtà più difficili, le donne sono state e sempre saranno le guaritrici della specie.

Non voglio entrare troppo nello specifico del racconto: non essendo lungo, contiene elementi interessanti in ogni pagina e anche svelare un elemento che apparisse a pagina 3 mi parrebbe scorretto.

Lascio a chi vorrà leggerlo il piacere di vedere la storia delinearsi e di capire che cosa è “la peste”, di scoprire cosa succede a Maria, a chi è con lei, a chi incontra per la strada.

Mi limito ad aggiungere un’ultima considerazione sulle ambientazioni. Mi ha piacevolmente sorpresa riconoscere, anche in pochissimi tratti, la realtà della Grecia contemporanea: gli eterni viadotti in costruzione appena fuori dalle città, ad esempio, simboli di progresso e insieme di una lentezza proverbiale; e le case invase da centrini fatti a mano (Theodoridou non lo dice, ma io è come se li avessi visti in mille altre stanze greche). Gli stessi nomi femminili che appaiono nel romanzo sono classiconi, e di grande diffusione anche oggi.

Da questo punto di vista, quindi, lascerei in secondo piano la “tragedia greca” chiamata in causa dalla sinossi in bandella, per restare alla suggestiva commistione di fiaba e disastro, di racconto nel futuro e viaggio in un Paese contemporaneo… che ha dovuto fronteggiare momenti estremi ben prima dell’arrivo della pandemia del 2020.

L’involo: una fiaba è vicitore del World Fantasy Award, è tradotto da Chiara Puntil dall’inglese ed è la prima uscita della collana “42 Nodi”, curata da Chiara Reali per i tipi di Zona42 Edizioni.

Da scrittrice di racconti, per me è stato un piacere poter leggere poche pagine raccolte e valorizzate in un volumetto stampato “a solo”; seguirò con interesse lo sviluppo del progetto e le prossime pubblicazioni.

(*) ripreso da lezionisuldomani.wordpress.com

(**) se non sapete cos’è il dodo – quello estinto e quello “risorto” – è il momento di farvi un giro dentro «lezioni sul domani»

Redazione
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