L’ippopotamo e l’arcobaleno

Racconto fantasy di Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia

Le parole vere non sono piacevoli.

Le parole piacevoli non sono vere.

Laotse

Immaginiamo di volare alti, voi ed io, il vostro umile servo Shia Blett, bardo vagabondo delle contee di Erath.

Immaginiamo di librarci leggeri come falchi, oltre le nuvole, verso il caldo sole del mattino, respirando a pieni polmoni l’aria frizzante d’alta quota, mentre la nostra mano saluta felice i figli dell’etere, gabbiani e albatros, pterodattili del Deserto Rosso e draghi dei Laghi di Fuoco, dalla fiera cresta rossa sulla fronte, unica specie indomita ai deliri di Lady Kolyann.

Nuotiamo, voi ed io, in questo tripudio di fauna e aria, mentre sotto di noi si dipana chiara l’isola misteriosa di Nanga Parbat, originata, come molti di voi certo saprete, da un cataclisma di immani dimensioni, durante la Notte Sorda dalla quale a sua volta trovò la luce il nostro mondo, forgiato dalla spada dei possenti dèi Hafaza.

In questa lucente isola dimorava un terribile ed egoista ippopotamo, che gli aironi e i coccodrilli, insieme ai molluschi e agli squali bianchi, primigeni abitanti di Takeria, chiamavano con il nome di Bhul.

Il coccodrillo Rakiot, capo del branco, si lamentava sovente dell’ingordigia del gigantesco leviatano, pigro e indolente, fiero divoratore d’acqua e affamatore dell’isola.

«Non possiamo continuare così, fratelli di Nanga Parbat. Bhul l’ippopotamo ci prosciuga e priva dell’acqua necessaria, i pesci muoiono asfissiati e le gazzelle, nutrimento del mio branco, scompaiono bruciate dalla sete. Le piante avvizziscono e voi, aironi leggeri ed eleganti, perite come mosche, privati del vostro cibo abbondante e gratuito. Dobbiamo unirci nella lotta a questa creatura, dobbiamo assolutamente trovare il modo d’impedirgli di perpetrare oltre questo scempio abbietto» esclamò Rakiot con fervore e trasporto.

«Prode Rakiot, affermi con destrezza delle mezze verità. E’ vero, anche noi aironi siamo colpiti duramente da questo atto empio, perpetrato senza alcun rispetto dei dettami celesti degli Hafaza. E’ vero anche, se questo non ti fosse chiaro, che le vostre solerti antilopi, che ora non sono presenti, divorano senza ritegno le nostre erbacce, per nutrire voi con la loro tenera e gustosa carne. Noi aironi non possiamo nutrirci delle fronde degli alberi, pena l’inaridirsi completo della terra, continuamente esposte all’occhio bollente del potente Esperon, signore degli Hafaza. Almeno l’azione di Bhul consente di tenere sotto controllo il numero di tali antilopi, impedendo a voi abbuffarvi senza ritegno alcuno. Perché dovremmo compiere un’azione di forza contro l’ippopotamo, anch’esso figlio di questa terra nata dopo la Notte Sorda?» declamò con solennità la brava Lu Flux, regina degli aironi.

«E noi popolo degli abissi cosa dovremmo dire? I tonni sono cibo prelibato per le fauci del fiero popolo cartilagineo, i coccodrilli non conoscono sosta e vengono a nutrirsi pure di questa nostra risorsa, devastando la flora marina nel tentativo di prenderli. I molluschi ci aiutano solerti in questa battaglia, addentando con le loro forti chele la pelle durissima del popolo rettile. Finiscono schiacciati a centinaia nel tentativo di difendere il loro territorio, ma l’unica vittoria consiste davvero nel prosciugamento del mare, quando il nostro Bhul impedisce di fatto a voi coccodrilli di addentrarvi nei nostri possedimenti. Vi sembra bello tutto questo?» spiegò quasi in lacrime il mesto Eingana, signore degli squali e primo abitatore dell’abisso takeriano, ove l’isola si ergeva in tutta la sua maestosa bellezza selvaggia.

«Prodi compagni, la nostra argomentazione era puramente disinteressata e ci duole constatare di essere stati così brutalmente fraintesi. Siamo tutti sulla stessa barca, in realtà. E’ vero che noi coccodrilli avremmo da guadagnarne di più di tutti, ma è anche un fatto incontrovertibile che i vantaggi di non avere più un flusso e reflusso così elevato favorirebbe anche voi, dandovi una stabilità che ora non conoscete. Non è forse vero che voi aironi rimanete senza acqua per lunghi periodi durante il prosciugamento? O voi squali e tonni e molluschi boccheggiate in cerca d’aria quando rimanete incagliati nelle secche causate dall’ingordigia di Bhul?» affermò Rakiot con passione.

Un mormorio si levò dalla folla radunata in questo conclave. Vi dico in verità, miei piccoli spettatori, che tributate a Shia Blett e alla sua dolce Clea, onore e ascolto, le parole false spesso si mescolano meglio se pronunciate insieme a quelle vere. Un gioco di specchi vecchio come il mondo, dove persino la solidarietà e l’unità sono usati come futili pretesti per l’avidità di pochi a scapito dei tanti.

Rakiot lo sapeva e per questo declamava tali parole. Il popolo rettile era davvero convinto di riuscire a portare a termine la sua proposta mortale per il povero e ingordo Bhul? La mia voce e lo scoppiettare di immagini modellate dal fuoco della mia Clea, spirito elementale di questo elemento, vi mostra una delegazione che poco dopo la fine dell’assemblea si presentò al cospetto del gigantesco ippopotamo, il quale stava candidamente sonnecchiando, godendosi il sole splendente della giornata.

«Indolente Bhul, divoratore d’acqua, ti preghiamo di svegliarti e di ascoltare le nostre petizioni» disse con forza la candida Lu Flux, nominata ambasciatrice quasi all’unanimità, dopo aver presentato con estremo buon senso, un piano alternativo al massacro indiscriminato dell’ippopotamo proposto da Rakiot.

Bhul aprì pigramente gli occhi, osservo l’airone e lo squalo gigante che stava nell’acqua accanto a lui. Fece scorrere lo sguardo con lentezza più volte, sbadigliò e si girò dall’altre parte, riprendendo la sua schietta pennichella.

Eingana, il re squalo non squallido, comprese immediatamente la situazione e si mosse nell’unico modo che conosceva. Fece un ampio giro intorno al pigro Bhul, più di una volta, si diresse poi con decisione verso il suo possente deretano, dandovi un affondo poderoso con le sue affilatissime fauci.

Bhul si svegliò con un boato di terrore, si agitò come un pazzo in preda agli spasmi del deliro, mentre Eingana non mollava la presa. Alla fine Bhul fu costretto ad alzarsi, ormai distolto dai suoi doveri verso Diamir, la divinità del sonno.

«Chi siete voi che mi distogliete dal mio pisolare sommesso, procurandomi dolore e invadendo la mia dimora senza essere minimamente stati invitati? Parlate orsù e dopo riprendete le vostre strade, faremo in modo di non rivederci mai più» esclamò Bhul.

Lu Flux parlò sommessamente ma a noi non è concesso stare a sentire quello che sussurrò al gigantesco orecchio del possente ippopotamo, dato che non è educato origliare. Nelle mie tante visite all’isoletta di Nanga Parbat, non sono mai riuscito a sapere con quanta eloquenza Lu Flux e Eingana convinsero Bhul a prodigarsi per una azione comunitaria.

Fatto sta che il gigantesco ippopotamo fece seguire un potente barrito nella sua incomprensibile lingua fatta di rutti e pernacchie.

«Farò come mi chiedete, visto che la mettete su questo tono non mi pare proprio di avere altra scelta, signora degli aironi. Ma se il vostro compagno si azzarda un’altra volta a mordermi una natica, lo schiaccerò sotto la mia mole e poi ne farò scempio con le mie zampe. Orbene, date seguito concreto al vostro piano, in modo che io possa ritrovare prontamente la pace di cui mi avete privato, ma fatelo in fretta che voglio dormire» sentenziò Bhul.

«E sia, indolente leviatano. Ora chiamo a me i miei fratelli squali, affinchè possano caricare la tua mole sul loro dorso e trasportarti dove dobbiamo andare. Ci vorrà molto tempo, quindi non lamentarti lungo la traversata, o ti lascio sprofondare nell’abisso takeriano. Dobbiamo arrivare al confine del mondo dove si ergono le colonne dell’Arcobaleno, il quale regge la volta celeste. Orsù, monta in groppa che si parte» rispose Eingana.

Un branco di venti squali di dimensioni ragguardevoli raggiunse il suo indiscusso re, caricando Bhul sul dorso.

Iniziò una traversata di parecchi giorni, ove non fecero incontri di nessun genere, poiché avevano già mandato avanti ambasciatori, a portare l’ammonimento e le conseguenti pene di un atto indiscriminato ai danni dello strano convoglio.

«Ecco alla fine siamo giunti alla conclusione del nostro viaggio, Bhul. Siamo ai confini del mondo e davanti ai tuoi occhi si ergono le colonne dell’Arcobaleno, costruite dagli Hafaza. Orsù, dismonta e attendi l’arrivo della regina degli aironi, la dolce Lu Flux, insieme a tutto il suo popolo. Il mio compito è terminato, ti auguro buona fortuna in nome di Takeria. Addio!» esclamò Eingana e finito di parlare fece inabissare il suo branco nelle acque blu e oscure, scomparendo nei flutti come se non fosse mai esistito.

«Eccoci a te, gigantesco ippopotamo. Io e le mie sorelle siamo venuti in massa a prenderti, poiché arduo sarà il nostro compito, ora che ti abbiamo nel punto più basso, la congiunzione tra acqua superiore e inferiore, separata dall’arco della divinità del sole. Ecco, rimani immobile, mentre io e le mie sorelle ti leghiamo stretto con le liane che abbiamo pazientemente intessuto con i nostri becchi lunghi e sottili, creando delle corde resistentissime. Auguriamo in cuor nostro che reggano il tuo leggiadro peso, mentre daremo atto alla seconda parte del piano per salvarti» illustrò la regina Lu Flux, facendo passare insieme ad altri aironi le corde intorno al corpo di Bhul.

Una volta che fu ben legato, uno stormo gigantesco di aironi guidato da Lu Flux si levò alto, diretto verso il cielo, ognuna di loro portava legato al collo una cima di corda collegata con il gigantesco ippopotamo.

Lu Flux dal corpo sinuoso incitava le sue sorelle a non mollare e a dar fondo a tutte le forze, mentre Bhul provava ammirazione per lo sforzo collettivo di tutte le creature di Nanga Parbat.

Alfine con un urlo collettivo, lo stormo si levò piano verso il cielo, le ali sbattevano a più non posso mentre i loro volti erano deformati in una maschera di fatica e illusione.

Il gigantesco ippopotamo provò la sensazione di non avere più la terra sotto i piedi e nemmeno il contatto con l’acqua.

Aprì gli occhi e vide la terra al di sotto di lui farsi sempre più lontana, gli girava la testa e si sentiva costretto dalle corde, ma non fiatò, memore dell’avvertimento di Eingana.

«Ci siamo sorelle, resistete e volate come non avete mai fatto prima a memoria nostra. Ancora uno sforzo e dopo saremo ricompensate oltre ogni dire. Ecco, vedo la curva multicolore che aspetta solo il nostro arrivo, calate piano la mole del nostro leviatano, vi libero finalmente di questo fardello, mie care!» riuscì a dire Lu Flux, allo stremo delle forze.

Bhul venne calato il più dolcemente possibile sulla volta dell’Arcobaleno, mentre Lu Flux liberava con destrezza le sue sorelle pennute dal giogo delle corde.

Con altrettanta agilità, nonostante fosse ormai stremata dall’immane sforzo, legò l’ippopotamo alla volta dell’arcobaleno, girò intorno più volte, per poi comporre un doppio nodo che lasciò la possibilità di respirare a Bhul, ma assicurandolo in modo tale che mai sarebbe potuto cadere nel baratro sottostante.

«Ecco prode Bhul, ora sei nel tuo nuovo stagno, godrai di una vista maestosa e sarai sempre riscaldato dal sole e dalla condensa. Ti nutrirai di nuvole e di ghiaccio, mentre l’Arcobaleno sosterrà la tua figura fino alla fine dei tempi. Sei al sicuro e niente dovrà più preoccupare il tuo animo. Avrai sempre un poco di compagnia, poiché gli Hafaza e il popolo dell’alta sfera non lasciano soli i propri compagni e parenti. Comincia pure la tua nuova vita, Bhul! Possa la fortuna arriderti sempre e portare la pace. Addio!» esclamò Lu Flux, lasciandosi cadere verso il basso insieme alle sue sorelle aironi, mentre le nuvole inghiottivano rapidamente i loro corpi.

Bhul rimase ad ammirare l’inusuale spettacolo, mentre Lu Flux scompariva. Si disse mentalmente che il mondo era composto da troppa gente matta, si girò su se stesso e si accoccolò pigramente, riprendendo il suo amato sonnellino ristoratore.

L’ippopotamo visse per sempre sopra la volta celeste, ancora adesso potete ammirarlo osservando l’arcobaleno poco dopo la pioggia, quando Bhul rilascia l’acqua e scatena su di noi tempeste e neve in abbondanza, per poi tornare a dormire come è da sempre suo costume.

Il popolo di Nanga Parbat fu benedetto da questo alternarsi delle intemperie, poiché ora non vi era più il problema della siccità e i coccodrilli non tornarono più a tormentare i tonni, poiché le antilopi abbondavano e si nutrivano di altre piantine, più gustose, generate dalla pioggia e dalla neve, mentre gli aironi trovano ristoro e riparo con bacche, noci e alberi alti e forti.

In questo modo – almeno secondo quel che sono venuto a sapere da altri bardi e dai miei soventi viaggi in quelle terre – si concluse la storia dell’ippopotamo che visse sull’arcobaleno.

Ora miei piccoli spettatori prendete questo pane che ho scaldato sul fuoco donatoci gentilmente da Clea e rifocillate il vostro corpo dopo il paziente ascolto che mi avete tributato.

Se la storia vi è piaciuta, vogliate bene a chi l’ha raccontata e interpretata con giochi pirotecnici e con l’arte dell’eloquenza. Se invece fossimo riusciti solo ad annoiarvi, godete di questo pane e del formaggio di cui vi faccio dono. Sia esso gustoso come il piacere delle parole e della compagnia sincera.

Poiché Shia Blett non è un mentitore e confida che gli possiate tributare una seconda possibilità l’indomani, quando le ombre del vero sono più tenui e la realtà si mescola con il sogno al crepuscolo del nuovo giorno a venire.

NOTA BOTTEGARDA

Come sa chi frequenta abitualmente i Marte-dì, qui è di stanza l’astrofilosofo con post su fantascienza e dintorni. Da qualche tempo però Fabrizio Melodia è costretto, per vari motivi, a saltare l’appuntamento martediano. Così per consolare il fandom eccovi un suo vecchio racconto. «Se la storia vi è piaciuta, vogliate bene a chi l’ha raccontata e interpretata con giochi pirotecnici e con l’arte dell’eloquenza. Se invece fossimo riusciti solo ad annoiarvi»… mangiatevi un po’ di pane e formaggio in attesa che l’astrofilosofo ripassi. L’immagine è del qui molto amato Jacek Yerka. [db]

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *