Livia Chandra Candiani: quattro poesie

Appuntamento con “la cicala del sabato” (*)

 

Tenere tra le braccia
la voce del mondo
ospitare i suoni ammucchiati
senza chiedere senso
cullare lingue e pelli
ossa di diverse misure
parole fredde e calde urli e bisbigli
una fioritura spinosa
e corrodere le frontiere
e fare uno strepito sorridente:
sí vieni, ben arrivato
nel mio sbando
c’è sempre posto per te.

(da La domanda della sete)

 

Imparo a guardare
a imprestare lo sguardo
a chi ha urgenza di tana
imparo a ospitare.
Custodisco con cura le parole
poi le silenzio per il suono
di un’altra lingua
per questo sentire nostro
acuto e pugnalante
che non attenua gli urti
lascia il male cosí com’è
e accoglie tutte le ferite
come cani randagi
con improvvisate ciotole d’acqua
e parole poche smarrite
maldestre. Mani grandi
sorrisi abitabili.
Vivere è ospitare.

(da La domanda della sete)

 

Ci sono le tende
e le lenzuola
il bicchiere
la menta alla finestra
c’è la sedia
e c’è la stuoia
e dentro a tutto
c’è quel lieve
danzare di molecole
quella luce vispa
che brilla
e fa capriole
nei vuoti vivi
di ogni cosa
e fa dell’aria
sbigottita
amore.

(da Bevendo il tè con i morti)

Amo il bianco tra le parole,
il loro margine ardente,
amo quando taci
e quando riprendi a parlare,
amo la parola che spunta
solitaria
sullo specchio buio del vocabolario,
e quando sborda, va alla deriva
con deciso smarrimento,
quando si oscura
e quando si spezza,
si fa ombra.
Quando veste il mondo,
quando lo rivela,
quando fa mappa,
quando fa destino.
Amo quando è imminente
e quando si schianta,
quando è straniera,
quando straniera sono io
nella sua ipotetica terra,
amo quello che resta,
dopo la parola detta,
non detta. E quando è proibita
e pronunciata lo stesso,
quando si cerca e si vela,
quando si sposa
e quando è realtà di muri
limite che incaglia al suolo,
quando scorre candida
e corre per prima a bere,
e quando preme alla gola,
spinge all’aperto,
quando è presa a prestito,
quando mi impresta al discorso
dell’altro, quando mi abbandona.
Non voglio una parola di troppo,
voglio un silenzio a dirotto,
non un commercio tra mutezza e voce,
ma una breccia,
una spaccatura che allarga luce,
una pista delle scosse.
Dammi un ascolto che precipita –
parola.
Che nasce.

(da La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore)

(*) Qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala invia ad amiche/amici per 5 giorni alla settimana i versi che le piacciono. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana i versi da regalare alla “bottega”. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni.

Redazione
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