«Lo chiamavano Jeeg Robot»

   Un anti-eroe tutto italiano raccontato da Fabrizio («Astrofilosofo») Melodia

FABRIZIO-jeegrobot

La fantascienza filmica di stampo supereroistico sta attraversando un indubitabile periodo d’oro, forte della rivoluzione digitale e di un ritrovato spirito di modernizzazione che hanno permesso a vecchie glorie e nuovi eroi di trovare la strada della nona arte.

Fra poco uscirà nelle sale il tanto atteso «Batman contro Superman» con un monolitico Ben Affleck reduce dalla sua interpretazione non proprio entusiasmante di qualche anno addietro di quel “Daredevil” che ha visto brillare più la sua ex moglie Jennifer Garner nei panni dell’assassina Electra.

Per non parlare poi del film dedicato a Wonder Woman, del demenziale Dead Pool, il vero padre di quel capolavoro “pulp” violento e dissacrante “Kickass”.

Per non dimenticare le serie tv di nuova generazione. «Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D», spin off del film «The Avengers», narra delle vicende degli agenti di un corpo speciale governativo incaricato dai tempi della seconda guerra mondiale di fronteggiare la minaccia terroristica dell’ HYDRA, «Arrow», in cui il bravo Stephen Amell interpreta il più “comunista” dei supereroi americani armato di arco e frecce, «The Flash», in cui Grant Gustin interpreta il noto velocista scarlatto in grado di viaggiare persino nel tempo grazie alla sua supervelocità. E la nuova serie di «Daredevil», in cui il primo supereroe disabile della storia del fumetto incontra una delle più felici interpretazioni da parti di giovani autori molto intelligenti, che lo calano carne e sangue nel quartiere di Hell’s Kitchen, alle prese con mafia e traffico di esseri umani, armato solo di un bastone e di super sensi che compensano la sua cecità.

In questa nuova era sembra quasi incredibile trovare un film italiano di genere, uscito nelle sale il 25 febbraio e che, dalle prime impressioni, sembra non avere nulla da invidiare ai supereroi d’oltreoceano.

Sto parlando del film «Lo chiamavano Jeeg Robot», del regista Gabriele Mainetti, sceneggiatura di Nicola Guaglianone e “Menotti” (che sarebbe poi Roberto Marchionni) in cui un bravo Claudio Santamaria interpreta Enzo Ceccotti, un ladruncolo da quattro soldi il quale acquisisce forza e resistenza super umane dopo essere accidentalmente entrato in contatto con scorie radioattive “dimenticate” nel Tevere. Il giovane – chiuso introverso e impicciato – accoglierà come una benedizione questi nuovi superpoteri per la sua carriera di criminale, entrando però in contrasto con Lo Zingaro (interpretato da Luca Marinelli) il boss emergente della mala capitolina che non vedrà di buon occhio il simpatico “concorrente”.

Enzo, dal canto suo, dopo le prime attività criminali di successo, da vero e proprio antieroe, subisce una svolta esistenziale quando nella sua vita entra Alessia , interpretata da Ilenia Pastorelli, una bella giovane molto fragile e problematica, ossessionata dai manga e dalla serie tv «Jeeg Robot d’acciaio» di Go Nagai, vero e proprio “cult” per la cosiddetta “Goldrake Generation”, la quale rimarrà convinta che Enzo altri non è che il suo eroe Jeeg Robot.

Il film è distribuito dalla Lucky Red: è stata presentato in anteprima alla decima edizione della “Festa del Cinema di Roma” il 17 ottobre 2015 e in seguito al Lucca Comics & Games il 30 ottobre 2015.

Dice Gabriele Niola di «MyMovies»: «[…] quello di “Lo chiamavano Jeeg Robot” è un trionfo di puro cinema, di scrittura, recitazione, capacità di mettere in scena e ostinazione produttiva, un lungometraggio come non se ne fanno in Italia, realizzato senza essere troppo innamorati dei film stranieri ma sapendo importare con efficacia i loro tratti migliori. Soprattutto è un’opera che si fa portatrice di una visione di cinema d’intrattenimento priva di boria e snoberia intellettuale, una boccata d’aria fresca […]. Nonostante un budget evidentemente inadeguato al tipo di storia […] è un trionfo di movimenti interni alle inquadrature, di trovate ironiche e invenzioni visive, un tour de force di montaggio creativo e fotografia ispirata […]».

Dopo il successo di Gabriele Salvatores con «Il ragazzo invisibile» (2015) ora è la volta di un film che lascia da parte la presunta superiorità intellettuale tutta accademicamente italiana per raccogliere finalmente la sfida del cinema estero, senza temere paragoni. Riuscirà nell’intento? La parola al botteghino.

 

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

4 commenti

  • Questo film è meticcio. Perfetta storia FS per trama, realizzazione tecnica e atmosfere ma anche, per le stesse categorie, perfetta storia della Roma di oggi. E ancora: perfetto film d’evasione per i motivi appena menzionati ma anche perfetto film sociale: si parla di terrorismo, malattia mentale, pedofilia, sfruttamento criminale dell’immigrazione clandestina. Meticci pure i due eccellenti attori protagonisti: tanto il cattivo (o meglio il malato) quanto il buono (o meglio il sano) sono anche due ottimi cantanti. Questo è un film IMPERDIBILE. E meticcio.

  • Francesco Masala

    per completezza Lo chiamavano Jeeg Robot andrebbe visto insieme a
    Non essere cattivo e Suburra, per due motivi, appare sempre Luca Marinelli e c’è Roma, protagonista dei film.
    e allo stesso tempo sono tre film che vivono benissimo da soli…

    http://markx7.blogspot.it/2016/02/lo-chiamavano-jeeg-robot-gabriele.html

  • Ahò, mappopo convinto,MOMMOVADOAVVEDECORSA, stò GagGIOROBBò!…

  • Jeeg Robot.
    L’ennesima occasione di uscire dal ghetto gettata al vento. Vi conforterà sapere che ora ai mandolini si sostituisce la monnezza.
    Grande regista che diverrà bravissimo, ma, per adesso, che occasione persa!
    Affossato dall’inutile, pesantissimo ricorso a un romanaccio di borgata per sfruttare l’onda di Suburra & co., la continua indecisione fra l’action, il grottesco alla Almodovar e l’eterno intimismo di risulta all’italiana che da noi si scambia per cinema d’autore, con una puntata nella zozzeria romana eletta a orgoglio nazionale, il film piacerà a chi ama questa nuova Italia.
    Zeppo di citazioni cinematografiche che per i comuni mortali vengono definite plagio. Chi mi trova quella da Nero vince una nuova canzone dei Pavlov’s Dog.
    Per il resto, idee e scene belle ci sono pure.
    Registriamo l’ennesima occasione persa di rifarsi per il nostro cinema e il definitivo sdoganamento dei coatti a eroi nazionali.
    Avati, Fulci, Leone e Sollima padre sono sbiaditi ricordi per gli amanti dell’action tamarro.

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