Lo scempio delle dighe in Mesoamerica

di David Lifodi

 

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“La proliferazione delle centrali idroelettriche nei nostri paesi non risponde alla necessità di rifornimento energetico per le popolazioni, ma alla volontà di creare nuove infrastrutture per sviluppare il modello economico neoliberale attraverso l’Alca, il Plan Puebla Panamá e il Plan Colombia”. Si esprimeva così, pochi anni fa, il Foro Mesoamericano contra las Represas.
Da allora la situazione, in tutta l’area mesoamericana, è ulteriormente peggiorata, soprattutto a causa del Sistema de Interconexión Eléctrica para los Países de América Central (Siepac). Le sue linee di trasmissione non servono solo a connettere la regione centroamericana da Panama al Guatemala, ma sono utilizzate per rifornire di energia elettrica gli Stati Uniti sfruttando le fonti e le risorse energetiche dell’America centrale. In questo senso, si può affermare che l’intera America di sotto è ancora il patio trasero degli Stati Uniti. Siepac rappresenta una vera e propria manna dal cielo per imprese quali Endesa/Enel, Unión Fenosa, Hydro-Quebec, Vivendi, Bechtel e molte altre transnazionali perché attrae gli investimenti privati in centrali idroelettriche di enorme grandezza orientate al mercato regionale. Solo per quanto riguarda la generazione di energia, si stima che nel prossimo decennio per l’America centrale ci sarà bisogno di investimenti pari a 700 milioni di dollari all’anno. L’ondata di nuove costruzioni di dighe serve, inoltre, per mantenere il controllo strategico sulle riserve di acqua dolce e per questo motivo le imprese cercano di strappare accordi finanziari a loro favorevoli allo scopo di consolidare la privatizzazione delle risorse idriche. L’oro blu si è trasformato in un bene di mercato tramite il quale le multinazionali possono arricchirsi a scapito delle popolazioni. Non a caso, la maggior parte dei progetti di costruzione delle dighe saranno finanziati dalla Corporación Interamericana de Inversiones proprio insieme alle imprese leader del settore energetico. Il Siepac si inserisce in quello che una volta si chiamava Plan Puebla Panamá e adesso è conosciuto come Proyecto Mesoamérica, dedicato ad integrare la rete elettrica dal sudest messicano a Panama per sviluppare la produzione industriale, far crescere il turismo e favorire l’urbanizzazione, ma soprattutto consentire alle imprese di sfruttare al meglio le risorse del Centroamerica.
Lo scorso 3 marzo l’assassinio di Berta Cáceres ha evidenziato, una volta di più, la totale assenza di scrupoli di imprese e stati nei confronti della società civile che si oppone all’edificazione delle centrali idroelettriche. Attivista del Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Copinh), Berta si batteva contro Sinohydro, la multinazionale a capitale cinese che vuol imporre il mega progetto idroelettrico di Agua Zarca sulle rive del fiume Gualcarque. Pochi giorni dopo l’omicidio di Berta, nella Giornata mondiale di azione in difesa dei fiumi, il 14 marzo 2016, il Movimiento mexicano de afectados por las presas y en defensa de los ríos (Mapder), a cui appartiene Gustavo Castro, rimasto ferito nell’attentato mortale contro Cáceres, ha mostrato la mappa degli attacchi contro coloro che lottano per fermare la costruzione di nuove dighe. Si tratta di una lista impressionante di uomini e donne uccisi dalle milizie della sicurezza privata, dai militari o dagli squadroni della morte a cui le istituzioni statali non si sono mai opposte. Anzi, in Honduras, gli attacchi contro gli indigeni lenca sono cresciuti proprio a seguito del colpo di stato che a fine giugno 2009 ha spodestato Manuel Zelaya. Da allora, i governi succedutisi alla guida del paese, dal presidente Roberto Micheletti a Porfirio Lobo fino a Juan Orlando Hernández, prima hanno approvato la Ley General de Aguas, che garantisce alle imprese di sfruttare le risorse idriche a piacimento, e poi hanno permesso l’edificazione di nuove dighe in aree naturali protette. Il Guatemala è il luogo più pericoloso del mondo per quanto riguarda gli attivisti che si battono per la difesa dei fiumi e contro le dighe: ben 13 sono le persone assassinate. A seguire, in questa macabra classifica, Honduras, Messico, Colombia e Panama. L’attuale Proyecto Mesoamérica viene fatto passare come necessario per lo sviluppo dell’area centroamericana, a partire dalle dighe. Inoltre, si vuole far credere che le centrali idroelettriche siano garanzia di sviluppo ed energia puliti, cercando di nascondere quanto emerse, già nel 2000, dallo studio della Commissione mondiale delle centrali idroelettriche. Il rapporto, commissionato dalla stessa Banca Mondiale, evidenziava come le dighe fossero responsabili di produrre energia tutt’altro che pulita e di aver provocato lo sfollamento forzato di almeno 60 milioni di persone nel mondo, oltre all’indebitamento dei governi ed effetti sociali e ambientali disastrosi. Le banche, soprattutto quelle private, hanno delle enormi responsabilità perché finanziano i nuovi progetti idroelettrici senza tener conto dell’assenza della valutazione di impatto ambientale e dell’opposizione delle comunità indigene, che vivono nelle zone dove saranno costruite le dighe. Ad esempio, è il caso del Banco Centroamericano de Integración Económica, di cui peraltro sono soci tutti governi centroamericani, che sfruttano i progetti idroelettrici per condurre vere e proprie operazioni di pulizia sociale, criminalizzare i movimenti e cancellare la libertà di espressione con la scusa della lotta ad un non meglio precisato terrorismo e al crimine organizzato. Dalla Costarica a El Salvador passando per Messico, Honduras e Guatemala sono centinaia le concessioni degli stati per i nuovi progetti idroelettrici.
Le rare volte in cui i paesi denunciano le imprese interviene il Ciadi, il tribunale delle multinazionali che garantisce esclusivamente i loro interessi, mentre gli Stati si trasformano in corporations che violano la sovranità nazionale a scapito delle loro stesse popolazioni.

 

Questo articolo è la seconda puntata di un dossier sulla costruzione delle dighe in America Centrale e in America Latina che nelle prossime settimane caratterizzerà la “Finestra latinoamericana” per raccontare quali sono gli interessi delle transnazionali e dei governi in quello che sta diventando uno dei principali business del continente latinoamericano.

Nella prima puntata: “Panama: dighe nel cuore della terra degli indigeni Ngäbe-Buglé”

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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