Lo specchio

di Giuseppe Callegari

Finalmente, una mattina di alcuni giorni fa, in un negozio di un centro commerciale, ho trovato un orologio automatico ad un prezzo per me accessibile. Avevo però dimenticato il portafoglio e dico alla commessa che sarei ritornato al pomeriggio, cosa che puntualmente è avvenuta. Devo attendere perché l’operatrice è impegnata con una signora in una operazione di compra-vendita che dura a lungo. Quando il tutto sembra concluso, con l’impacchettamento e il pagamento, la signora, probabilmente influenzata telepaticamente dal sottoscritto, sente l’impellente desiderio di un orologio. Gliene vengono presentati alcuni che indossa e rimira cambiando l’angolo di ripresa dell’occhio. Poi all’improvviso è colpita da un “raptus” che la induce a voler scoprire che cosa potranno pensare gli altri del suo acquisto, si mette davanti allo specchio e osserva il suo polso ornato dall’orologio.

Credo che per i semplici questo comportamento possa essere una sorprendente scoperta perché sono erroneamente conviti che lo specchio serva per farci parteci di qualcosa di noi che, totalmente o parzialmente, non riusciamo a vedere. Costoro sono un po’ retrogradi e coltivano ancora la convinzione che lo specchio possa essere funzionale al trucco del viso, alla rasatura, al vedersi in figura intera e non hanno mai sospettato della capacità creativa di rimirare l’immagine di un anello al dito.

Tuttavia, a prescindere dall’ironia e dal sarcasmo, credo che il gesto della signora costituisca l’esemplare concretizzazione di una intuizione del filosofo francese Jean Baudrillard, illustrata anche in un incontro al teatro Bibiena di Mantova avvenuto alcuni decenni fa, secondo la quale il senso al comportamento non è fornito da sé medesimo, ma da quello che pensano gli altri. Sintetizzando lapidariamente il suo pensiero si può affermare che il significato ad una determinata azione non è fornita dal portatore attivo, ma da chi assiste all’azione stessa.

Nel caso specifico della signora, si esplicita anche un altro aspetto del pensiero del filosofo transalpino secondo il quale la felicità propagandata dai mezzi di comunicazione di massa non è qualcosa di soggettivo e personale, ma si esplicita attraverso il possesso di beni e cose (oggetti segno), che misurano il livello di felicità raggiunto.

In pratica, più si possiede, più si mostra agli altri e più aumenta il grado di felicità. Quindi la signora, mostrando l’orologio allo specchio, desidera avere un vaticinio sulla felicità raggiungibile con tale oggetto, naturalmente attraverso il giudizio degli altri.

Purtroppo, nonostante i progressi della scienza e della tecnica con la conquista della luna, i droni che solcano il cielo e le macchine teleguidate, il genere umano è ancora rintanato nella caverna dei tempi. Infatti, come gli indigeni della Melanesia costruiscono un simulacro di aereo con la speranza che i grandi uccelli d’acciaio che volano si posino, così “l’uomo progredito” acquista oggetti e beni per raggiungere una impossibile felicità, che non è data dalla ricerca interiore, ma da un meccanismo cumulativo ed esibizionista da mostrare agli altri

La signora che acquista l’orologio è l’esemplare dimostrazione di questa logica: non è importante il prezzo e la funzionalità, tutto è demandato allo specchio.

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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