Lo stile Aion nel suo massimo splendore

ovvero istruzioni per litigare terapeuticamente nel traffico

di Robert Sheckley (*)

«Devi ricordare che Aion è il centro terapeutico più avanzato nella Galassia […] Qui non si segue una singola terapia o un unico procedimento ma prevale un grande eclettismo, Qui il motto è “Dipende”».

«Dipende da cosa?» chiese Crompton.

«Questo non me l’hanno mai detto» confessò Kavi.

[…]

Crompton notò che ad Aion la gente si metteva a discutere alla minima provocazione […] Quello stesso pomeriggio poté ammirare lo stile Aion nel suo massimo splendore.

Due vetture si erano leggermente urtate a un incrocio. I guidatori, assolutamente illesi, scesero. Uno era basso e atticciato, l’altro alto e magro […]. Sorridevano.

Quello alto esaminò i danni e con tono languido, divertito osservò: «Pare che il lungo braccio del destino ci abbia fatti incontrare in un momento cruciale, egregio signore. Mi chiedo se condividiate con me l’opinione che, per dirla volgarmente, voi avete saltato il semaforo e di conseguenza siete il responsabile del risultante disastro. Lungi da me l’idea di farvi sentire in colpa, in quanto mi limito a cercare di stabilire i fatti nel modo più chiaro, obiettivo e spassionato possibile».

Dalla piccola folla che si era rapidamente raccolta si levò un mormorio di approvazione.

[…]

«Non credete che la vostra protesta si basi sul presupposto che l’obiettività personale sia a dir poco in malafede?» ribatté il tipo bassotto. […]

L’altro non esitò ad ammettere: «E’ scontato che tutti i giudizi personali sono insitamente prevenuti e tuttavia il giudizio è l’unico strumento di discriminazione di cui disponiamo ed è nostro compito di creature viventi e in via di sviluppo fare discriminazioni da cui inevitabilmente derivano dati di giudizio. Bisogna farlo, nonostante il paradosso della soggettività insito nell’elaborazione di un giudizio cosiddetto obiettivo. Ed è per questo che io dichiaro inequivocabilmente che il torto sta dalla vostra parte e nessun riferimento alla dicotomia osservatore/osservato potrà cambiare la realtà».

Un altro mormorio di approvazione si levò dalla folla. Molti prendevano appunti […].

Il piccoletto capì di aver commesso un errore tattico permettendo all’avversario di pronunciare un lungo discorso […]: «Non trovate anche voi che le vostre parole sono un po’ sospette? – chiese con un sorriso degno di Jago – Avete sempre l’invincibile tendenza a credervi nel giusto? Per quanto tempo avete ideato situazioni in cui “l’altro” ha invariabilmente torto, posponendo così il momento di affrontare la vostra primordiale e irrimediabile colpevolezza?».

Quello alto […] disse: «Amico mio, voi state facendo della psicologia spicciola. Siete turbato dall’aspetto “demoniaco” del vostro comportamento e deciso, penso, a giustificarlo a qualunque costo».

«Ah, sapete leggere nella mente?» replicò pronto l’altro. […]

«Non leggo nella mente, amico mio, mi limito semplicemente a servirmi dei numerosi sottoindizi fornitimi dall’eziologia del vostro comportamento. Credo che questo salti agli occhi di tutti i presenti».

[…]

«Ma accidenti – disse il piccoletto alla folla – non vi accorgete che sta giocando con le parole? L’evidenza dei fatti gli dà torto, per quanto questo possa ferire il suo infantile senso di onnipotenza».

[…]

Quello alto si preparò a ferrare il colpo decisivo. «Vi piacerebbe che avessi torto, povero amico? Bene, in questo caso sarò felice di avere torto se questo potrà in qualche modo giovare alla vostra psiche malata e sgonfia. Ma per il vostro bene vorrei farvi notare che le vittorie simboliche vi sarebbero di ben scarsa consolazione qualora vi trovaste ad affrontare un processo. Su, amico mio, affrontate la realtà con le sue pene e i suoi dolori e puranco, ma sì, con la gioia e l’ineffabile beatitudine del nostro ahimè troppo breve soggiorno su questo verde pianeta».

Seguì un momento di silenzio […] poi il piccoletto gridò a piena voce: «Vai a farti fottere brutto stronzo di un bastardo».

(*) Robert Sheckley, «Il matrimonio alchimistico di Alistair Crompton», Urania 757 (1978) traduzione di Beata Della Frattina

 

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