L’Ocse blinda i soldi europei all’Italia

di Gianluca Cicinelli

E per ultimi arrivarono quelli dell’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La loro ricerca, Going for Growth 2021 Shaping a Vibrant Recovery, ci racconta che la crisi da Covid rischia di far calare ulteriormente i tassi di occupazione, già bassi, e di rafforzare le diseguaglianze, soprattutto per chi ha uno scarso livello di competenze e un basso livello di formazione continua. Rischia? Devono aver ricevuto in ritardo i dati economici all’Ocse: forse hanno esaminato quelli del 2018 visto che la crisi economica italiana precede di molto il covid e ci sta portando – dentro il covid – a sprofondare, con circa 6 milioni di persone che non possono pagare l’affitto, mangiano alle mense di beneficenza e sono prive di riscaldamento.

C’è dell’ingratitudine in questa lettura delle raccomandazioni all’Italia, è vero: l’Ocse dovrebbe essere un organismo neutrale seppur istituzionale, che, come recita la sua mission “opera per creare politiche migliori per una vita migliore”. Eppure qualcosa suona stonato in queste raccomandazioni piuttosto generiche che però arrivano al punto centrale quando si comprende che la preoccupazione principale è rivolta all’utilizzo dei soldi del Recovery che vengono dall’Europa. L’Ocse chiede all’Italia di rimuovere i vincoli legali al telelavoro e rafforzare le infrastrutture per le telecomunicazioni, come di “sensibilizzare i manager e accrescere il loro livello di competenze per favorire la diffusione delle tecnologie, l’innovazione e un miglior utilizzo del personale”.

Quando l’ex primo ministro Giuseppe Conte andò a Bruxelles per trattare con la Commissione europea sull’entità del Recovery era già chiaro il prezzo politico oltre che economico dell’accordo. L’Ocse è un  organismo che non fa parte certo della quotidianità dei cittadini europei e può permettersi sotto forma di raccomandazioni asprezze che farebbero molto arrabbiare i cittadini se provenissero direttamente dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen; e ora ricorda all’Italia che deve attenersi al quadro di regole rigide di Bruxelles. In questo quadro emerge la contraddizione profonda fra un rapporto che a parole vuole ridurre i divari significativi fra regioni, età, sesso e produttività (come gli alti livelli di debito pubblico) mentre dall’altra ha inquadrato da molto tempo nel suo mirino la riforma previdenziale, la quota 100 di cui ha chiesto esplicitamente l’abolizione lo scorso anno e il Reddito di Cittadinanza, che già nel rapporto sull’Italia del 2019 l’Ocse accusava d’incoraggiare l’occupazione informale e di creare “trappole” della povertà. Oggi, senza autocritica, l’organismo internazionale riconosce i benefici apportati dal RdC. Ma …

Per dirla senza giri di parole, che la politica debba preoccuparsi d’investire i soldi del Recovery in settori strategici e forieri di sviluppo futuro è di sicuro una preoccupazione condivisa da chi vive in Italia: la richiesta che non si ripetano le cattive abitudini di distribuire a clientele improduttive i fondi viene dai cittadini prima che dalle istituzioni. Ma l’Ocse ha un altro punto di vista che si riassume nella parola abolita dal vocabolario della Ue da quando è esplosa la crisi da covid: rigore. Parola abolita ma la sostanza, come dimostra l’apparentemente imparziale rapporto dell’Ocse, è integra. L’Ocse spiega che “produttività ed innovazione devono aumentare nelle piccole e medie imprese, in uno sforzo di allineamento alle imprese più performanti”. Tradotto significa la riproposizione del modello economico espresso in fase d’insediamento da Mario Draghi: verranno sostenute soltanto le imprese che hanno possibilità di ripresa e non tutte quelle in crisi, verrà fatta scadere quota 100 al suo termine naturale e sarà rivisto il sistema del Reddito di Cittadinanza. Come vogliono l’Ocse e la Commissione Europea.

ciuoti

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