Lorenzo Perosi, “don” ricco di doni

Lorenzo Perosi, un “don” con le mani ricche di doni

Di Mauro Antonio Miglieruolo

Era inevitabile, considerata la passione mia seconda subito dopo la fantascienza (la musica classica) che finissi con l’inoltrarmi in questo che è, data la mia ignoranza in proposito, un vero e proprio campo minato. Un campo difficile per chiunque, vasto e enorme, nel quale l’inesperto rischia facilmente di perdersi.

220px-Perosi2Ancor più pericoloso e infido quando si tratti di avvicinare (e indurre a avvicinarsi) a un compositore del Novecento, nel caso il più importante del secolo: “don Lorenzo Perosi” (Tortona, 21 dicembre 1872Roma, 12 dicembre 1956), monsignore vaticano che ha ivi operato per quasi sessanta anni (dal 1898 alla morte, quasi ininterrottamente, salvo un periodo di interdizione determinato da gravi crisi depressive), artista troppo recente perché la stratificazione degli studi e dei commenti abbia potuto produrre quel tanto di elementi interpretativi condivisi e tali da penetrare nel senso comune, appellandosi ai quali, ci si può porre al riparo da capitomboli. Ma trattandosi di quello che si tratta, di uno dei miei autori preferiti, nel recente passato rivisitato più volte, mi azzardo nell’impresa, sperando di non provocare troppi mugugni e contestazioni.

Perosi e Toscanini

Perosi e Toscanini

Non ricordo le circostanze concrete o la data, anche approssimativa, del primo contatto con la musica di Perosi. So solo che si è trattato, come per altri musicisti (Bach e Mahler), o qualche scrittore (Céline o Guimarães Rosa) di amore a prima vista. Immediato e smodato.

Nella costruzione di questa passione ha contribuito molto il caso, che mi ha posto a contatto con uno degli oratori migliori, se non il migliore: Il Natale del Redentore; del quale ricordo ancora lo stupore per la profonda semplicità del finale, nel momento in cui il coro, esprimendo un sentimento universale, intona un “Gloria! Gloria!” che meno glorioso non potrebbe essere, essendo tutto tenerezza e adorazione. L’adorazione per un bambino cosmico, conseguenza di un amore cosmico, che prende forma in un uomo chiamato Gesù.

NataleForse è proprio questa la caratteristica di Perosi che mi ha maggiormente colpito. Che un Prete (volutamente adopero il maiuscolo, un prete quando è tale può svolgere un ruolo nobile all’interno della comunità; oppure, come è stato fino a tutti gli anni cinquanta e sessanta, uno ignobile), del quale è facile – considerati gli squilibri della media età – immaginare dubbi e tormenti (ma che non sono solo suoi, sono propri a ogni Monsignore: sono loro, i più vicini a Dio, a dubitare dell’esistenza di Dio); che un Prete, dunque, abbia saputo immettere nella propria musica, pur tenendosi fedele all’ideologia interpretativa del testo evangelico, ciò che era necessario per ridare dignità e ascolto a questi stessi testi, è davvero sorprendente. Farlo poi nel periodo di più violenta reazione da parte della Chiesa, è impresa ostica che davvero non si sa come abbia potuto riuscirci un cattolico prima dello svolgimento del Concilio Vaticano II (che non ha cambiato molto, ma qualche ripensamento ha indotto tanti a effettuare).

GiudizioUniversaleMa non è solo nel “Natale” la magica alchimia tra ispirazione artistica, intuizione del messaggio sepolto nei nei Vangeli e educazione cattolica che permette l’emersione dell’insieme di elementi (tenerezza, fede, anelito alla trascendenza) che rendono grandi e interessanti i suoi oratori (e il resto della musica sacra); ma in tante altre sue opere (tra le quali un rilievo particolare spetta alla Passione di Cristo, le due ResurrezioniCristo e Lazzaro ; e, naturalmente, al Mosé e al Giudizio Universale, dei quali dirò qualcosa più avanti). Grandi e interessanti perché pur nel rispetto dell’Istituzione e l’adesione profonda ai valori e atteggiamenti stratificati nei secoli, riesce a farli arrivare a noi, trasformandoli da cattolici che sono in valori universali: la pace, l’aldilà della materialità e dell’immediatezza, la speranza, l’equità e la giustizia, l’oggi nel subito del benessere, la possibilità del superfluo (che non diventi ricerca dell’effimero e della subordinazione al materiale), che costituiscono l’essenza dell’insegnamento cristiano originario. La Chiesa, è vero, trasforma l’oggi e il subito di Cristo, nell’indomani dell’aldilà; ma questa è insidia che, a ben guardare, se nei tempi ordinari favorisce l’esistente, in quelli straordinari di movimento non più solo sotterraneo, sotto la guida di un intellettuale collettivo, può facilmente rivoltarsi contro, diventare obiettivo strategico, aspirazione di massa, strumento della battaglia per il predominio ideologica (la ricerca attraverso la lotta contro il negativo da cui si è investiti nel presente, in vista di un domani migliore).

TransitusNaturalmente parto dalle sensazioni personali, ad esempio quelle provate ascoltando la prima volta, in vaticano, Il Giudizio Universale, del quale abusai effettuando una registrazione clandestina, che ho goduto per anni, prima che il nastro rovinasse (Il Giudizio Universale! Opera più drammatica non è possibile concepire, eppure dotata di una sua grazia interiore, nella quale il dolore mai accede alla disperazione, come avviene per tanti altre narrazioni – specialmente pittoriche – sullo stesso argomento). Oppure per il Mosé, altro oratorio da includere tra i preferibili, nel quale la terribilità del fondatore del monoteismo viene attenuata tramite una sorta di stuporosa rappresentazione dei compiti e della personale difficoltà a eseguirli che gli cadono addosso.

D’altronde non si tratta che di ciò che gli artisti, anche i più ossequienti alla legge e all’ordine, hanno sempre fatto. Interpretare le tendenze di fondo dell’umanità, di là dalle loro stesse opinioni e medesimi interessi. Di là dalle stesse proprie intenzioni, celebrative o meno. Si tratta di una necessità che condiziona il procedimento artistico, il sostrato che ha comunque reso sospetto agli occhi della reazione (e degna di disprezzo) la pratica artistica.

Quartetto1Un messaggio ortodosso dunque che va di là dall’ortodossia e anche dalla stessa forma oratoriale. Sin dal primo oratorio infatti gli altri compositori italiani, consapevoli della tendenziale drammaticità che informava queste opere, sempre sul punto di abbandonare la forma classica e di diventare rappresentazione, avevano auspicato che Perosi si cimentasse nella composizione di un melodramma. Composizione che sembrava sempre in procinto di arrivare, poiché il carattere drammatico dei suoi oratori non veniva mai meno; opera che però non è mai arrivata perché era impossibile arrivasse. E non a causa di possibili remore o timori ad affrontare tematiche profane o non direttamente religiose (la sua musica da camera è li ha testimoniare l’inesistenza di tali timori), ma probabilmente perché non avrebbe potuto aggiungere nulla di quanto già non dicesse con i suoi oratori che, interpreto, erano essenzialmente esplorazione delle sacre scritture per porre in luce scoprire il messaggio di speranza contenuta in esse, messaggio con il quale vaccinarsi dai veleni dell’angoscia che ogni uomo onesto deve provare nel chiuso delle soffocanti stanze vaticane (nelle quali il delitto non è ammesso, ma solo commesso).

Quartetto7Un’ultima osservazione sull’opera di Perosi. Se la struttura della musica è propria al periodo in cui è attivo, l’ispirazione invece viene da lontano. Nei suoi oratori vi sono echi della grande eredità culturale propria alla tradizione italiana (la tradizione gregoriana insieme alla musica sacra di Palestrina, Frescobaldi e soprattutto Carissimi) ; una tradizione musicale che ha mantenuto l’egemonia in Europa per quasi tutto il settecento, nonostante l’avvento di grandi musicisti come Bach, Haendel, Buxtehude, Schuetz, Pachelbel, Rameau, Couperin e altri. Un’egemonia tale che capitava alcuni italianizzassero il proprio cognome (vedi il caso di John Cooper, musicista inglese di discreta levatura, conosciuto come Giovanni Coprario o Coperario), con animo meno servile di quello che ha caratterizzato tanti cantanti italiani del dopoguerra che americanizzavano il proprio, ignorando che non si trattava di omaggio alla musica pop, ma di omaggio al dollaro, effetto paradossale ultimo del ventennio fascista, la cui eredità era stata assunta dalla Democrazia Cristiana.

Riporto infine un parere su Perosi che è interessante conoscere:

Nessun contatto lega la musica di Perosi ai modelli profani imperanti del suo tempo, cioè l’opera post-verdiana e verista. Ci sono anzi differenze fondamentali, prima fra tutte quella che riguarda il rapporto tra testo e musica. Per Perosi non è pensabile che il suono sia una variabile indipendente alla quale assoggettare le parole: per lui il testo è “sacro”, nel senso religioso del termine (avendo a che fare con la parola di Dio), oltre che in quanto rappresentazione di una realtà umana sempre viva. La sua musicazione è perciò una sorta di “lettura” illuminata, che risulta espressiva in quanto il testo è capace di ispirare all’autore suggestioni e tonalità affettive.

(fonte wikipedia)

Adagio in DoUn discorso a parte meriterebbe la sua musica cameristica, l’unica, per lo stesso periodo, in grado di tenere il paragone con quella prodotta Oltralpe.  Non per assenza di buoni compositori, ma perché dall’Ottocento in poi la musica italiana è stata prevalentemente musica operistica, brillante testimonianza di un declino che è finito con il farci approdare alla completa provincializzazione della nostra cultura. Ma su quest’ultima parte della sua opera – la musica cameristica – non posso che raccomandare di visitarla, perché la conosco troppo male per poterne dire qualcosa di diversa da “è interessante”. Ritengo tuttavia  di non essere il solo, tra i dilettanti, a soffrire di questo limite nei confronti dell’opera perosiama. L’avaro utilizzo fatto dal Vaticano, durante il periodo dell’esclusiva sull’opera di Perosi, non ha solo ha tenuto lontano dagli oratori il grande pubblico, ma anche i grandi direttori d’orchestra del Novecento e gli “ensemble” cameristici che avrebbero potuto interessarsene.  Tendenza corretta negli ultimi anni  dalla presenza sul mercato di una seconda etichetta (Bongiovanni) dopo che per decenni il monopolio è stato tenuto dell’Angelicum.

Trio2Per chi fosse interessato a conoscere gli oratori di Perosi riporto qui sotto tre degli indirizzi di ciò che in seguito a una indagine sommaria ho potuto trovare su Internet (alcune sono state inserite, gradevolissima sorpresa,  in data molto recente). Eccoli:

Il Natale del Redentore,

Parte I: http://www.youtube.com/watch?v=i1lTnrh0mG0

Parte II: http://www.youtube.com/watch?v=G5vWKhgCBts

Maria: Mirella Freni (s); Storico: Claudio Strudthoff (br); Angeli: Giuseppe Nait (t), Jeda Valtriani (s), Ortensia Beggiato (mz) – Coro Polifonico di Milano & Orchestra dell’Angelicum di Milano diretto da CARLO FELICE CILLARIO

Mosé: http://www.youtube.com/watch?v=1vKwRCHJltg

poema sinfonico vocale in un prologo e tre parti per soli, coro, voci bianche, strumenti fuori scena e orchestra, su testo di A. Cameroni e P. Croce

Coro Orlando di Lasso, Coro Polifonica 10, Coro di voci bianche della Civica Scuola di musica di Casatenovo e Orchestra “G. B. Viotti” dell’Accademia Internazionale di musica “G. Carisio” diretti da Arturo Sacchetti.
Personaggi e interpreti:

Raguele: Carlo Tallone, basso; Sephora: Tatiana Korra Elmazi, soprano; Mosè: Marco Camastra, baritono; La voce di Jehova: Carlo De Bortoli, basso; Faraone: Sergio Bensi, baritono; Aronne: Aldo Bertolo, tenore; Il capofamiglia: Giovanni Maria Puddu, tenore; Maria: Lorella Antonini, soprano

I.                    Prologo: Mosè tra i pastori Madianiti

II.                  Parte prima: Il roveto ardente

III.                Parte seconda: L’esodo

IV.                Parte terza: Il passaggio del Mar Rosso

Altre opere, gli Oratori

La passione di Cristo (1897),  La trasfigurazione di Cristo (1898), La risurrezione di Lazzaro (1898), La risurrezione di Cristo (1898), Transitus Animae (1907), La trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo, L’entrata di Cristo in Gerusalemme, La strage degli innocenti;

 

Le Messe

Missa Patriarchalis per quattro voci miste, Missa in honorem Beati Caroli in rito ambrosiano per cinque voci dispari, Missa Davidica per tre voci maschili (1894), Missa In Honorem Ss. Gervasii et Protasii (1895), Missa “Te Deum Laudamus” per due voci pari (1897), Missa Eucharistica per quattro voci miste (1897), Missa Prima Pontificalis (1897), Messa da Requiem per tre voci maschili, Missa “Benedicamus Domino” (1899), Missa Cerviana per tre voci maschili, Missa Secunda Pontificalis (1906),

 

Musica strumentale

16    uartetti d’archi

17                vari preludi e pezzi per organo

 

Musica sinfonica

La passione di Cristo secondo San Marco (trilogia sacra per soli, coro e orchestra)

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Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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