L’«osservazione partecipante» di Clara Gallini

Fini del mondo, apocalissi culturali, nuovi possibili inizi: sempre alla «ricerca di un senso del nostro essere assieme persone e parti di un corpo sociale»

di Giuliano Spagnul   

«Sono stata varie volte sotto i ferri (per gli occhi, l’appendicite, il culo, le ‘parti intime’ il ginocchio…) ma, rispetto al passato, mai come questa volta la cosa sarebbe stata più rilevante. Concerneva il cervello e comportava quindi l’apertura della testa». Così l’incipit di «Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia»1 della più grande antropologa italiana Clara Gallini, allieva di Ernesto de Martino; l’ultimo suo libro che porta all’estremo «quella che nell’etnologia americana si chiama col nome di “osservazione partecipante” e che Ernesto de Martino mi aveva insegnato a praticare, mettendo sotto osservazione critica le mie stesse categorie giudicanti». Clara Gallini ci ha lasciati il 21 gennaio di un 2017 che è anno ricco di anniversari importanti per quelli che, come il sottoscritto, pesano gli anni per il loro contenuto di resistenza e di lotta: cent’anni da quell’ottobre rosso di speranze, quarant’anni da quel “Franti” delle classi storiche, il ‘77. Ed è proprio di quarant’anni fa l’introduzione che Clara Gallini ha fatto all’opera postuma di De Martino «La fine del mondo»2; opera anticipatoria, di grande importanza e indispensabile all’ideale “cassetta degli attrezzi” con cui tentare di affrontare gli umani (postumani?) problemi del nuovo millennio. Perno del proprio pensare come antropologa che si colloca, che si vuole collocare all’interno di una determinata stagione storica di lotte in modo non neutrale né pacifico, questa introduzione svela una natura che pur non nascondendo l’assoluto amore per l’oggetto del proprio lavoro (in questo caso il suo decisivo maestro) non può prescindere dall’instaurare con lui uno strenuo corpo a corpo. Un pensiero che pur partecipante nella passione, non può non porsi come resistente: – Convincimi. Dai, prova, prova ancora! – Un duello sofferto ma pregno d’amore. Nella ristampa del libro, un quarto di secolo dopo, questa introduzione verrà soppressa. Forse non più necessaria. In larga misura grazie proprio a Clara Gallini (e a Vittoria De Palma, l’instancabile compagna di de Martino) al suo lavoro che ha visto affiancare alla propria ricerca autonoma un instancabile e continuo tour de force sul pensiero demartiniano tramite convegni, libri, articoli, scavi nel poderoso archivio, Ernesto de Martino è oggi forse, almeno in parte, sul punto di uscire da quel “limbo dorato”3 in cui l’ignavia della cultura ufficiale italiana ha ben pensato di relegarlo per tanti anni. Si parli pure di de Martino, ma in ambiti ben circoscritti e paludati. La breve riscoperta demartiniana degli anni Settanta da parte del “movimento” costrinse la Gallini a interloquire con lui quasi da avversaria, pur di non acconsentire a una sua facile lettura. La «Fine del mondo» nella sua frammentarietà di opera incompiuta e postuma si prestava assai bene a una deriva di un possibile ritorno a mitici tempi d’oro o per contro a un nichilista senso di fine senza possibilità di riscatto alcuno. Clara Gallini ha lottato in tutti questi anni a fianco di Ernesto de Martino, calandosi nella realtà di un tempo che al vecchio spirito millenaristico ha sostituito quello affatto nuovo di cessazione del tempo stesso per intimo sfinimento, esaurimento. Nuove apocalissi culturali ci attendono, a cui occorrerà cercare di far seguire nuovi ricominciamenti. Insieme a Ernesto de Martino, a Clara Gallini alla «ricerca di un senso del nostro essere assieme persone e parti di un corpo sociale».4

NOTE

1: Edito da Nottetempo, febbraio 2016.

2: Ernesto de Martino, «La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali», Einaudi, Torino, 1977 (a cura di Clara Gallini).

3: Secondo l’efficace espressione della figlia di de Martino, Lia in un articolo apparso sulla rivista «Ossimori» (1995) «…un limbo dorato. Un limbo fonte di ricchezza culturale per troppo pochi, e senza che la complessità stessa e l’attualità del suo pensiero fossero correttamente e coraggiosamente messi in luce, trasformandosi così in patrimonio per molti, molti di più».

4: C. Gallini, Introduzione a «La fine del mondo», op. cit. p. XCII.

 

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