Lotta per la giustizia fiscale in America Latina

di David Lifodi

L’evasione fiscale, unita alle condizioni economiche di favore concesse alle multinazionali, che talvolta se le prendono comunque di diritto grazie a politiche fiscali assai generose, caratterizzano purtroppo tutta l’America Latina, come evidenzia lo studio della Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) intitolato significativamente Desigualdad, concentración del ingreso y tributación sobre las altas rentas en América Latina. È per questi motivi che, di recente, è sorta la Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe, il cui intento è quello di lavorare per una vera giustizia fiscale nel continente sudamericano.

Tra gli obiettivi che intende perseguire la Rete le politiche pubbliche orientate a migliorare la qualità della vita delle persone tramite il raggiungimento di alti livelli di equità socioeconomica in armonia con il rispetto dell’ambiente. Una delle prime campagne lanciate dalla Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe a livello internazionale è stata quella denominata Que las transnacionales paguen lo justo. Di fronte al disegno delle transnazionali, orientate ad indirizzare le politiche economiche degli stati, o addirittura di sostituirsi ad essi, lo scopo della Rete è quello di stabilire dei criteri che pongano un freno alle pressioni delle imprese, colpevoli spesso di voler imporre un mercato senza regole. A questo proposito, la Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe intende lavorare alla stesura di un memorandum da sottoporre prima ad Unasur (Unión de Naciones Suramericanas) e Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños) e poi alle transnazionali, per evitare che quest’ultime trasformino gli stati di America Latina e Centroamerica in paradisi fiscali dove non esistono diritti sociali e sindacali. È amara, ma calzante, la riflessione dell’ex presidente uruguayano Pepe Mujica: “I paesi latinoamericani litigano tra loro per attrarre gli investimenti stranieri in una gara a chi si abbassa per primo i pantaloni”. Basta pensare al caso del Guatemala, solo per fare un esempio tra i tanti, per capire come in più di un’occasione alle multinazionali sono stati rilasciati dei veri e propri assegni in bianco per fare ciò che vogliono in America Latina e pagare ciò che vogliono solo quando vogliono. Il Guatemala si è trasformato in un vero e proprio paradiso fiscale per le multinazionali del settore minerario: la loro trasparenza fiscale è inesistente e i controlli nei loro confronti da parte delle istituzioni, spesso conniventi, sono pressoché nulli. Estrattivismo minerario e petrolifero sono gli assi su cui punta l’estabilishment guatemalteco, ma la situazione colombiana, ad esempio, non è poi così differente, visto che il presidente Juan Manuel Santos più volte ha definito la Colombia come la locomotora minera dell’America Latina. Al contrario, la Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe propone che i servizi pubblici siano gratuiti al 100% poiché, osserva, quando le imprese “fanno girare l’economia”, come si usa dire, difficilmente pagano le tasse agli stati, che a loro volta le impongono ai cittadini, convinti che i profitti delle transnazionali, di cui beneficiano solo le oligarchie locali, debbano venire prima di tutto. Se si permette che le multinazionali paghino le imposte quando e come vogliono, e non in base a ciò che realmente devono agli stati, si chiuderanno le scuole, peggiorerà il livello dell’istruzione, non sarà possibile costruire nuovi ospedali e via discorrendo. In Honduras, nonostante il presidente Juan Orlando Hernández faccia dichiaratamente gli interessi delle multinazionali, è in via di presentazione al Congresso la Ley de Control de Precios de Transferencia, che intende combattere le cause che fanno dell’Honduras un paradiso fiscale. Secondo la Organización para la Cooperación y el Desarrollo Económicos, nella lista dei paesi considerati paradisi fiscali si trovano molte isole caraibiche che ammettono il riciclaggio di denaro sporco. Per questo motivo, la Comisión Nacional de Banca y Seguros ha sottoscritto con diversi paesi dell’area caraibica e latinoamericana un protocollo per monitorare eventuali attività sospette. Del resto, la crescita economica accompagnata dalla disuguaglianza sociale rappresenta un fatto comune per la regione centro e sudamericana: per questo motivo la sfida della Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe sta nell’impegnarsi affinché il continente cresca con equità e inclusione sociale. Al tempo stesso, la Rete sa bene che una sfida di questo tipo non sarà facile da vincere: l’intreccio tra la politica fiscale e quella macroeconomica, unita alla scorretta azione di lobby delle multinazionali, resta un problema aperto e di non facile soluzione. Ad esempio le imprese, per far quadrare ricavi e costi, spesso evitano di pagare le tasse in certi, casi sfruttando gli accordi bilaterali firmati dagli stati che privilegiano l’ingresso di capitali stranieri agli investimenti nazionali.

Infine, la Red de Justicia Fiscal de América Latina y el Caribe è anche alla ricerca di strategie alternative che permettano di individuare gli strumenti migliori per ridurre le disuguaglianze di un continente in piena espansione economica (su tutti Brasile e Messico), ma che presenta ancora un’inaccettabile esclusione sociale.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *