L’Ucraina senza dubbio vincerà la guerra: così…

… continuano a dirci.

articoli e video di Franco Astengo, Giulio Cavalli, Guido Ortona, Angelo Baracca, Riccardo Alberto Quattrini, Lorenzo Merlo, Stefano Orsi, Domenico Gallo, Lucio Caracciolo, Enrico Tomaselli, Fabrizio Casari, Tomaso Montanari, Giacomo Gabellini, Christian Marazzi, Rossana De Simone, Andrea Fumagalli, Riccardo Tristano Tuis, Leone Grotti, Retekurdistan Italia, Massimo Fini, Giulio Palermo, Andrea Zhok, Pepe Escobar, Davide Malacaria, Fabio Falchi.

va tutto bene, dice Zelensky

 

Basta con l’arroganza di Zelensky – Massimo Fini

Adesso l’arroganza di Zelensky ha superato ogni limite: non si accontenta più di dettare l’agenda politica dell’Ue ma vuole cancellare la cultura russa dall’Europa, la stessa pretesa di Putin con l’Ucraina. Come racconta Marco Travaglio sul Fatto di venerdì: “Il console ucraino Andrii Kartysh ha intimato a Sala, a Fontana e al sovrintendente Meyer di cancellare la prima della Scala col Boris Gurdonov di Musorgskij e ‘rivedere’ il cartellone per ripulirlo da altri ‘elementi propagandistici’, cioè da opere di musicisti russi”. Dà ordini perentori ai sindaci, ai presidenti di Regione, ai direttori artistici, vuole decidere lui, attraverso i suoi scagnozzi, quale deve essere il cartellone della Scala. La Scala,  il più grande teatro al mondo di musica classica, di balletto, di operistica, dove sono stati messi in scena i maggiori compositori russi, da Tchaikovsky a Rimsy-Korsakov a Prokofiev a Khachaturian a Stravinsky, dove hanno ballato le più grandi étoile russe, da Rudy Nureyev a Baryshnikov, e, per restare a casa nostra, sempre che rimanga tale, dove sono stati dati tutti i nostri grandi dell’opera, da Puccini a Rossini, da Verdi a Vivaldi, da Monteverdi a Bellini, dove hanno cantato Maria Callas e la Tebaldi. Che cosa ci hanno dato gli ucraini in cambio? Zero, zero.
Volodymyr Zelensky è un filo-nazista, non perché lo ha bollato così Putin, ma perché una parte del popolo, sia pur carsicamente, lo è, non solo i miliziani del battaglione Azov che lo sono apertamente, sono inglobati nell’esercito regolare ucraino e vengono continuamente esibiti e magnificati dal loro Presidente. Infatti due settimane fa, come già l’anno scorso, il suo governo ha votato contro l’annuale risoluzione Onu che condanna l’esaltazione del nazismo: l’aveva già fatto l’anno scorso, insieme agli Usa, mentre stavolta Kiev si è tirata dietro i principali Paesi europei, Italia inclusa.
Quando in Ucraina c’erano la Wehrmacht e la Gestapo, con cui non si scherzava, gli ucraini sono stati attori, in proporzione, di uno dei più grandi pogrom antiebraici.
Volodymyr Zelensky gonfia il petto per la resistenza all’“operazione speciale” di Putin. Ma con le armi che gli hanno dato gli americani e disgraziatamente anche l’Unione europea, che continua a non capire dove sono i suoi veri interessi, pure il Lussemburgo avrebbe resistito al tentativo di occupazione russa. Senza contare che in corso d’opera si è scoperto che l’Ucraina era già zeppa di armamenti sofisticati.
Lo so, lo so che è obbligatorio premettere che qui c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Tutto vero, però queste sottili distinzioni non si sono fatte quando gli aggressori eravamo noi, Germania in parte esclusa, in Serbia 1999, in Afghanistan 2001, in Iraq 2003, in Somalia, per interposta Etiopia, 2006-2007, col bel risultato di favorire gli Shabab che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico, e infine in Libia, 2011, in una delle più sciagurate operazioni di alcuni Paesi Nato, Stati Uniti, Francia e Italia a governo Berlusconi. Però solo Putin continua a essere massacrato dalla cosiddetta “comunità internazionale” che altro non è che il coacervo di Stati stesi come sogliole ai piedi degli States e che è sì internazionale, ma non è mondiale perché a questa condanna sono estranei non solo la Cina e l’India, circa tre miliardi di persone, ma anche quasi tutti i Paesi sudamericani, tanto più che ora Lula ha cacciato a pedate il ‘cocco’ dell’Occidente, Bolsonaro. Inoltre in questa damnatio memoriae qualche ragione ce l’ha anche la Russia di Putin. Non è rassicurante essere circondati da Paesi Nato e filo-Nato cioè, attraverso gli Stati Uniti, da Stati potenzialmente nucleari, oltre che dai nazisti ucraini.
Pistola alla tempia io scelgo la Russia, anche l’attuale Russia, non l’Ucraina. E forse faccio anche a meno della pistola.

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Dal canale telegram Retekurdistan Italia:

SITUAZIONE ATTUALE IN ROJAVA (23/11)

L’esercito di occupazione turco sta bombardando con gli obici il villaggio di Um El Xêr, a ovest del distretto di Til Temir.

A seguito del bombardamento dell’aeroporto di Minnix nella regione di Shehba da parte dello stato turco invasore, 2 soldati del regime siriano hanno perso la vita e 2 sono rimasti feriti.

L’esercito di occupazione turco sta anche bombardando il villaggio di Tıl Tewîl a ovest del distretto di Til Temir.

Gli insediamenti civili nel centro di Til Rifat continuano a essere pesantemente bombardati dallo stato turco invasore e dai suoi mercenari.

Un UAV appartenente allo stato turco invasore sta viaggiando tra il villaggio di Eyn Isa e Abu Sirra.

Centro di Zirgan/Abu Rasên; I villaggi di Şêx Elî e Qibûr El-Xercına di Til Temir vengono bombardati dallo stato turco occupante.

Il villaggio di Xanê nella campagna orientale di Kobani viene bombardato con armi pesanti dallo stato turco invasore.

L’UCAV dell’occupazione turca bombarda le vicinanze del giacimento petrolifero di Odeh.

Droni armati dello stato turco occupante hanno bombardato la stazione di servizio Dicle nel distretto di Çilaxa.

Due cittadini sono rimasti feriti quando lo stato turco invasore ha bombardato l’impianto di gasolio nel villaggio di Koçerata, nella regione di Qerecox di Derik.

Gli UCAV appartenenti allo stato turco invasore hanno bombardato la Ewda Petrol Company a Tirbespiye e la città Himo di Qamishlo.

SDF: L’esercito di occupazione turco sta prendendo di mira l’area intorno alla prigione dove sono detenuti i membri dell’ISIS a Qamishlo.

La regione vicino alla base russa sulla strada Til Temir-Zirgan è stata bombardata da un UCAV appartenente allo stato turco invasore.

Gli aerei da guerra dello stato turco occupante stanno bombardando l’area intorno al centro del distretto di Tirbespi.

————— RAPPORTI FINO ALLE 12:25. (ora del Rojava)

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L’Occidente “sfrutta” la guerra in Ucraina per testare nuove armi – Leone Grotti

 Se gli Usa non avessero inviato 18,6 miliardi di dollari di armi a Kiev, la Russia avrebbe già vinto. Ma secondo il New York Times uno degli obiettivi della Nato è testare nuovi armamenti in un vero conflitto. «È una vergogna»

Il sostegno militare che l’Occidente ha fornito all’Ucraina dall’inizio dell’invasione da parte della Russia non ha precedenti nella storia recente. Solo gli Stati Uniti, da febbraio, hanno inviato a Kiev 18,6 miliardi di dollari di armi. L’Unione Europea ha fornito 3,1 miliardi di euro in armamenti, mentre il Regno Unito 2,3 miliardi.

La Nato “sfrutta” Kiev per testare nuove armi

Gli aiuti militari sono stati certamente forniti dall’Occidente a Kiev per aiutare l’esercito ucraino a fronteggiare un avversario più forte e meglio equipaggiato, per difendere un popolo da un’ingiusta aggressione e per scoraggiare chiunque dal calpestare il diritto internazionale in futuro come fatto dalla Russia.

Ma c’è anche un’altra ragione, svelata dal New York Times, che ha spinto i membri della Nato a foraggiare l’Ucraina ed è molto meno nobile delle precedenti: testare in battaglia armi sofisticate di nuova generazione mai provate prima in un contesto di guerra reale.

Software, droni, sistemi missilistici di difesa

Tra le novità principali testate dagli ucraini c’è il sistema Delta, un software avanzato che raccoglie e processa informazioni in tempo reale sulle unità nemiche, coordina le forze di difesa e fornisce un quadro attendibile della situazione sul campo per aiutare l’esercito a definire la migliore strategia di attacco. Delta è in grado di fornire informazioni minuto per minuto su quanti nemici ci sono in un determinato territorio, come si stanno muovendo e dove si stanno dirigendo e addirittura con quale tipo di armamenti sono equipaggiati.

Oltre a Delta, i paesi occidentali hanno fornito all’Ucraina altre armi da testare in battaglia: navi-drone controllate e pilotate da remoto, il sistema di difesa anti-drone SkyWipers e la versione aggiornata di un sistema di difesa aereo costruito in Germania che Berlino non ha ancora mai utilizzato…

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Undici innocenti domande agli atlantisti – Riccardo Tristano Tuis

  1. Qual è la differenza tra l’intervento Nato in Jugoslavia e quello russo in Ucraina?
    2. Perché il Kosovo ha diritto all’indipendenza e il Donbass no?
    3. Perché la Germania Est può scegliere di riunificarsi a quella Ovest e la Crimea non può scegliere di riunirsi alla Russia?
    4. Perché l’Ucraina ha diritto di entrare nella Nato e le Isole Salomone non hanno diritto di ospitare basi militari cinesi?
    5. Perché Usa, Francia e Israele possono bombardare la Siria e se la Russia fa lo stesso in Ucraina è un crimine?
    6. Perché la Nato può bombardare la Libia e se la Russia fa lo stesso in Ucraina è il nuovo Hitler?
    7. Perché gli Usa e il Regno Unito possono fare la guerra preventiva contro l’Iraq ma la Russia non può farla contro l’ingresso dell’Ucraina nella Nato?
    8. Perché la Slovenia e la Croazia possono dichiarare l’indipendenza dalla Jugoslavia, mentre la Crimea e il Donbass non possono dichiarare l’indipendenza dall’Ucraina?
    9. Perché l’assalto a Capitol Hill è un attentato alla Democrazia mentre il golpe di EuroMaidan è una rivoluzione democratica?
    10. Perché Israele può violare la sovranità di tutti i suoi vicini e se fa lo stesso Russia è l’Impero del Male?
    11. Come mai l’Occidente non rifornisce di armi allo Yemen e non impone sanzioni all’Arabia Saudita?

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Sulla via per Armageddon – Domenico Gallo

Lo scampato pericolo deve farci riflettere quanto sia elevato il rischio di escalation della guerra in corso in Ucraina poiché, in qualsiasi momento si può verificare un incidente che coinvolga le forze armate dai paesi NATO, un casus belli, che ci trascini nella guerra senza che ce ne rendiamo conto.

E vidi uscire dalla bocca del dragone, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi (.) Essi vanno dai re di tutta la terra per radunarli per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente. E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Harmaghedon. (Apocalisse, 16,1).

Quando martedì sera le agenzie hanno battuto la notizia che due missili russi erano esplosi sul territorio della Polonia, un brivido di paura ha attraversato la coscienza collettiva. Improvvisamente si è materializzato il fantasma dello scoppio della terza guerra mondiale. Le esplosioni in Polonia come la scintilla che avrebbe acceso un grande fuoco che avrebbe divorato tutto. Per fortuna è emerso quasi subito che non si trattava di un deliberato attacco della Russia contro un paese NATO, si è trattato di un fatto accidentale, un’esplosione provocata da un missile antiaereo ucraino fuori controllo. Per qualche ora si è temuto che la Polonia, lo Stato europeo animato dallo spirito più bellicoso, potesse dolersi di aver ricevuto un attacco armato facendo scattare la clausola di mutua assistenza militare di cui all’art. 5 del Patto Atlantico. Per fortuna coloro che nelle segrete stanze tirano la fila della NATO hanno ritenuto che non fosse ancora giunto il momento dello scontro diretto con la Russia e quindi Biden, la notte stessa, si è affrettato a dire di ritenere improbabile che i missili siano partiti dalla Russia. Per USA e GB, che conducono le danze nella NATO, è molto più comodo dissanguare la Russia facendo morire solo gli ucraini piuttosto che impegnarsi in uno scontro diretto.

Lo scampato pericolo, però, deve farci riflettere quanto sia elevato il rischio di escalation della guerra in corso in Ucraina poiché, in qualsiasi momento si può verificare un incidente che coinvolga le forze armate dai paesi NATO, un casus belli, che ci trascini nella guerra senza che ce ne rendiamo conto.

Non possiamo ignorare che il mondo è stato sull’orlo di un conflitto nucleare per errore in un’epoca in cui la guerra era solo “fredda” e non “calda” come adesso. Se il 26 settembre 1983, a fronte di un errore dei sistemi di rilevamento radar sovietici, che segnalarono un massiccio attacco missilistico americano, il mondo non è saltato in aria, ciò fu dovuto al sangue freddo del colonnello Petrov che non attivò la procedura di risposta automatica. Oggi non possiamo sperare che un nuovo colonnello Petrov ci salvi dalla guerra per errore, perché, a fronte di attacchi veri o fasulli con missili ipersonici, la risposta è affidata all’intelligenza artificiale, che non conosce né compassione, né pietà, né istinto di sopravvivenza.     L’incendio, acceso con l’invasione delle forze armate russe il 24 febbraio, non accenna a spegnersi, anche perché gli “aggrediti” non hanno alcuna voglia di negoziare e puntano a riprendersi manu militari persino quei territori che avevano perduto nel 2014, come il Donbass e la Crimea, dove la popolazione locale aveva voltato loro le spalle. Dopo aver vietato, con un proprio decreto, ogni negoziato con la Russia, Zelensky si è dovuto presentare al G20 con un volto più conciliante ed ha posto dieci condizioni per arrivare alla pace. Ma si è trattato di una finzione: alcune delle condizioni imprescindibili invocate possono essere scritte soltanto, dopo la resa, in calce ad un trattato che sancisca la sconfitta della Russia. Evidentemente Zelensky non ha dato ascolto al consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan che il 4 novembre si è recato a Kiev per consigliare al presidente ucraino di prendere in considerazione una posizione negoziale “realistica” sulla possibilità di avviare colloqui con la Russia. Quindi il massacro continua ed è destinato a durare. Da più fonti si parla di oltre centomila vittime da una parte e dall’altra. Quante centinaia di migliaia o milioni di morti bisogna mettere in conto prima che la guerra finisca con la disfatta della Russia, come irresponsabilmente auspicano USA, GB e UE? Potrà questo conflitto continuare senza che si verifichi un’escalation che ci coinvolga tutti nella guerra? Siamo sicuri che in Russia, una volta messa alle strette, a qualcuno non venga la tentazione di premere il grilletto nucleare? Dobbiamo pensare ad un altro mondo per evitare di andare tutti all’altro mondo.

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Economia e guerra

Pubblichiamo la trascrizione dell’incontro «Economia e guerra», seconda parte di un dibattito intitolato «Guerra o rivoluzione. Capire la guerra per capire come combatterla», tenutosi durante il festival di Derive Approdi di fine settembre. Gli interventi di Christian Marazzi, Rossana De Simone e Andrea Fumagalli, che dialogano con le relazioni di Maurizio Lazzarato e Cristina Morini che li hanno preceduti, si inseriscono in una riflessione che abbiamo portato avanti con Transuenze negli ultimi mesi. Abbiamo chiesto ai relatori se la palese tendenza al riarmo a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi possa preludere ad un ritorno al keynesismo militare come modalità di rilancio del ciclo economico. Bisogna naturalmente intendersi sul concetto di «keynesismo militare», concetto utilizzato più per eredità storica che per correttezza formale. Quello che ci interessa capire è in che modo il «ritorno» dello Stato al centro dei processi regolativi per coniugare ciclo economico e interessi di difesa nazionale (quello che è stato definito «nuovo capitalismo politico») e il tentativo (se c’è davvero) di ricostruzione di nuovi blocchi sociali (attorno alla stessa questione della guerra?),si coniugano con le fibrillazioni geopolitiche ed una guerra scoppiata nel cuore dell’Europa…

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Il 4 Novembre e l’incredibile fumetto bellicista della Difesa – Tomaso Montanari

Il governo esalta nelle scuole la vittima di un’inutile strage come “sacra salma” che “trionfalmente” giunge “al suo luogo d’eterno riposo”. Stretti dalle professioni di ortodossia (ultraliberista in economia, ultra-atlantista in politica estera) che hanno dovuto sottoscrivere per entrare a Palazzo, gli attuali eredi del fascismo […]

Stretti dalle professioni di ortodossia (ultraliberista in economia, ultra-atlantista in politica estera) che hanno dovuto sottoscrivere per entrare a Palazzo, gli attuali eredi del fascismo si accaniscono sulle nostre comuni libertà e sull’immaginario repubblicano. Così, in occasione della giornata delle Forze Armate, il Ministero della Difesa ha rilanciato con evidenza un fumetto dedicato alla storia del Milite Ignoto della Prima guerra mondiale, che – hanno denunciato Antonio Mazzeo e Giulio Cavalli – viene ora anche distribuito in molte scuole del Regno (come direbbe Ignazio Benito). Il fumetto in questione, realizzato nel 2018, è un’incredibile orgia di retorica militarista e nazionalista che si conclude con la solenne affermazione per cui l’Altare della Patria sarebbe “il luogo più sacro per gli italiani: una struttura imponente in cui sono riportati i simboli più sacri della nostra Nazione”.

Ora, il vero modo per onorare lo sconosciuto soldato (che sento vicino: se non altro perché potrebbe essere il mio bisnonno Roberto, disperso sul Carso…) che giace in quell’imbarazzante catafalco, sarebbe spiegare alle ragazze e ai ragazzi di oggi l’insensatezza di quella guerra mostruosa e oscena, che papa Benedetto XV definì un’“inutile strage”. Bisognerebbe fare ascoltare in classe i discorsi interventisti del re, dei generali, di D’Annunzio, e poi leggere la pagina in cui George Orwell dice che non riesce a sentire quella retorica “senza sentire sullo sfondo il coro di pernacchie dei milioni di persone normali su cui questi alti sentimenti non esercitano alcuna presa”. E invece il fumetto della Difesa si apre con una tavola a tutta pagina in cui il generale Giulio Dohuet scandisce: “nel giorno in cui la sacra salma trionfalmente giungerà al suo luogo d’eterno riposo, in quel giorni tutta l’Italia deve vibrare all’unisono, in una concorde armonia d’affetti … tutti i cittadini debbono far ala alla via trionfale, unendosi in un unanime senso di elevazione idea nel comune atto di reverenza, verso il figlio e il fratello di tutti, spentosi nella difesa della madre comune”. Un intollerabile pippone di fronte al quale una diciassettenne o un quattordicenne sani di mente non potrebbero che reagire con una salva di scongiuri e, appunto, pernacchie.

Il generale Dohuet era un acceso fautore della “straordinaria efficacia dei bombardamenti aerei con esplosivi e gas, capaci di stroncare ogni possibilità di resistenza nemica, materiale e morale”, e fu autore di una “dottrina della guerra aerea che ebbe successo … fino a essere considerata una delle componenti fondamentali dei grandi bombardamenti alleati sulla Germania nazista … e poi della strategia attualissima della guerra atomica” (così il Dizionario Biografico degli Italiani): forse è questa la celebrazione nelle scuole degli “italiani illustri” promessa dal programma elettorale di Fratelli d’Italia. D’altra parte, nella seconda tavola si affaccia l’altro eroe del fumetto, Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon: quadrumviro della Marcia su Roma, ignobile ministro dell’Educazione nazionale di Mussolini, efferato governatore della Somalia italiana, dove “portò i metodi terroristici dello squadrismo fascista” (L. Goglia). Naturalmente il fumetto non racconta tutto questo, si limita ad esaltare il clima di esasperato nazionalismo in cui, poco dopo, si affermò il fascismo: e lo fa senza un solo accenno al baratro che si aprì per responsabilità anche dei protagonisti di quelle tavole. Del resto, l’Ente Editoriale dell’Esercito Italiano ha appena pubblicato un altro fumetto dello stesso autore – Marco Trecalli – che celebra l’ottantesimo anniversario della Battaglia di El Alamein con un titolo terrificante: “Mancò la fortuna, non il valore”. Ricordiamo che quella battaglia – nella quale gli italiani fascisti e i tedeschi nazisti furono sconfitti dagli Alleati – segna le sorti della Seconda guerra mondiale in Africa: e nelle scuole italiane non dovremmo certo celebrare il valore speso a fianco delle truppe di Hitler!

Antonio Mazzeo segnala il clima che accompagna la diffusione scolastica di questa roba: “Da nord a sud si moltiplicano le parate studenti-militari all’ombra dei pennoni con il tricolore per celebrare l’avvio dell’anno scolastico 2022-23: iniziative [compreso il ripetersi dell’alzabandiera] che per modalità, forme e narrazioni sembrano riproporre sempre più i modelli pedagogico-bellicisti del Ventennio fascista”. Nel 1935 una circolare impose l’alzabandiera in tutte le scuole, precisando che “l’alunno incaricato di alzare la bandiera, il migliore in studio e in condotta (…) innalzata la bandiera, … si volgerà verso i camerati sull’attenti e, ad alta voce, col braccio destro nella posizione del saluto romano, darà il comando: ‘Saluto al Re’, al quale i camerati risponderanno ‘Viva il Re’; e quindi ‘Saluto al Duce’, al quale i camerati risponderanno ‘A Noi’”.

Merito, alzabandiera, nazionalismo, guerra: bentornati nell’incubo.

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Non abbiamo “salvato gli ucraini” e no l’Europa non ne uscirà più forte – Andrea Zhok

Nel febbraio di quest’anno, nelle settimane precedenti all’ingresso delle truppe russe in Donbass si discettava su giornali e talk show delle prospettive possibili.

A chi invitava a considerare come sensata, e anzi conveniente, la rinuncia dell’Ucraina all’ingresso nella Nato, l’accettazione di uno statuto di neutralità, e la concessione di un grado di autonomia amministrativa alle province russofone (come da accordi di Minsk II) – sempre nell’ambito dello stato ucraino, a questi gli esperti di regime ribattevano rabbiosamente che era una prospettiva inaccettabile, che ne andava della sovranità ucraina, che uno stato doveva avere il diritto di scegliere le proprie alleanze militari. (NB: l’autonomia amministrativa dell’Alto Adige è motivata dalla presenza del 69% di popolazione germanofona; nelle zone di Donetsk e Lugansk la popolazione russofona prima della guerra superava il 90%).

E ancora all’indomani dell’invasione, c’era chi raccomandava di intavolare il più rapidamente possibile trattative di pace invece di inviare armi, perché questo avrebbe prolungato indefinitamente il conflitto, e ciò sarebbe stato pagato duramente dagli ucraini in primo luogo e dall’Europa tutta in secondo luogo.

A questi gli stessi esperti a molla rispondevano stizziti che era una questione di sovranità, che c’era un aggressore e un aggredito, che non era il momento delle trattative, che l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima (ho un ricordo distinto di un noto giornalista e di un ex ambasciatore in uno studio televisivo che sostenevano con veemenza queste tesi in risposta al sottoscritto.)

Oggi, a nove mesi di distanza, l’Ucraina comincia ad apparire come un cumulo di macerie congelate e 6 milioni di profughi ucraini sono già arrivati nell’Unione Europea (la più grande crisi di rifugiati in Europa dal 1945) e almeno altrettanti si stanno preparando.

Per il solo anno in corso la stima dei costi vivi per l’ospitalità europea ammonta a 43 miliardi di euro. I morti al fronte sono nell’ordine di grandezza del centinaio di migliaia.

La colossale fornitura di armi da parte della Nato (tre volte il budget annuale russo) ha preso in buona parte la strada del mercato nero, dove si trovano oramai a prezzo di saldo missili terra-aria, mortai, mitragliatrici pesanti, ecc. (la criminalità organizzata se ne gioverà per decenni).

Quanto alla “sovranità” ucraina che andava difesa a tutti i costi, anche i più distratti sanno oggi che era una fiaba da tempo: è noto il supporto e sostegno americano al colpo di stato di Maidan, così come sappiamo delle entrate a gamba tesa dell’ex presidente Biden sui giudici ucraini che perseguivano gli affari ucraini del figlio Hunter.

Quanto all’idea che l’Ucraina “sovrana” non rappresentasse alcuna minaccia e non ci fosse nessuna concreta possibilità che diventasse parte della Nato, nel frattempo è emerso serenamente che da dopo gli accordi di Minsk II (2015) la Nato stava addestrando l’esercito ucraino, rifornendolo di armi, costruendo fortificazioni, e che la firma degli accordi era stata solo un espediente per prendere tempo e consentire all’Ucraina di rafforzarsi militarmente (testimonianza diretta dell’ex presidente Poroshenko, oltre che di diversi ufficiali USA).

Sempre nell’ottica della tutela della sovranità ucraina, nel frattempo la Russia si è stabilizzata in buona parte dei territori conquistati, Mariupol è stata addirittura già parzialmente ricostruita, si sono tenuti referendum di annessione, e la prospettiva che questi territori ritornino in mano ucraina è ritenuta risibile persino dai vertici americani.

Il conflitto si è oramai caratterizzato esplicitamente come un conflitto tra la Nato e la Russia, anche se nessuno vuole che ciò sia riconosciuto ufficialmente perché rappresenterebbe una deflagrazione mondiale. Sul territorio ucraino combattono oramai in sempre maggior misura “volontari” stranieri, con istruttori Nato, armamenti Nato, finanziamenti dei paesi Nato. L’esercito regolare ucraino ha perduto da tempo le truppe più “combat-ready” e rappresenta oramai solo la carne da macello per sanguinose sortite periodiche.

Intanto l’Europa è in piena stagflazione, con la progettazione in corso di nuovi stabilimenti da parte del comparto industriale che sta già avvenendo fuori dai confini europei.

Infatti il taglio politico netto avvenuto nei confronti della Russia ha creato una crisi terminale nell’approvvigionamento di energia e materie prime, giacché tutti i principali attori non direttamente subordinati agli USA stanno assaporando per la prima volta la possibilità di far valere il proprio potere contrattuale di fornitori di materie prime – potere contrattuale accresciuto enormemente con il quasi-blocco degli approvvigionamenti da Russia e Ucraina. Senza energia e materie prime l’Europa è un museo morente.

Come prevedibile e previsto da molti sin da febbraio, la strada presa nove mesi fa sta conducendo esattamente dove doveva condurre.

Non abbiamo “salvato gli ucraini”, ma abbiamo alimentato e prolungato un processo che ne sta cancellando il paese e ne ha fatto morire decine di migliaia.

Non abbiamo “salvato la sovranità ucraina”, sia perché essa era già quasi inesistente (ed oggi è ridotta a pupazzi e attori), sia perché lo stato ucraino si è dissolto, un quarto della sua popolazione è migrata, e le perdite territoriali saranno quasi certamente definitive.

In compenso abbiamo sventrato quel poco che rimaneva in piedi dell’Europa, che sta perdendo in tempi rapidissimi il suo unico vero “asset” competitivo, cioè le capacità di trasformazione industriale (in assenza di fonti energetiche abbondanti e a buon prezzo questa direzione è senza ritorno).

Ma magari qualcuno potrebbe sperare che, dopo tutto, a un tracollo spesso segue una palingenesi, e che magari sarà la volta buona, no?

Solo che a mettere la vera pietra tombale su qualsiasi speranza di rinascita sta la rilevazione del tappo strutturale che blocca ogni possibilità di consapevolezza e rinnovamento: tutto il circo mediatico degli “esperti” e degli “accreditati”, tutta la banda di falliti di successo, di paraninfi del potere che creano e plasmano la famosa “opinione pubblica” sono lì, fermi in sella, e continueranno la loro azione di avvelenamento, manipolazione e inganno a tempo indefinito.

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Dall’operazione speciale alla “guerra elettrica”: così la Russia sta guadagnando grandi vantaggi – Pepe Escobar

 

Un pensiero all’agricoltore polacco che fotografa il relitto di un missile – poi indicato come appartenente a un S-300 ucraino. Così un contadino polacco, i cui passi riecheggiano nella nostra memoria collettiva, potrebbe aver salvato il mondo dalla Terza Guerra Mondiale – scatenata da un turpe complotto architettato dall'”intelligence” anglo-americana.

Tale turpitudine è stata aggravata da un ridicolo insabbiamento: gli ucraini stavano sparando ai missili russi da una direzione da cui non potevano provenire. Ovvero: Polonia. E poi il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il venditore di armi Lloyd “Raytheon” Austin, ha sentenziato che la colpa era comunque della Russia, perché i suoi vassalli di Kiev stavano sparando a missili russi che non avrebbero dovuto essere in volo (e non lo erano).

Chiamatela “il Pentagono che ha elevato la menzogna a un’arte piuttosto abietta”.

Lo scopo anglo-americano di questo racket era quello di generare una “crisi mondiale” contro la Russia. È stato smascherato – questa volta. Ciò non significa che i soliti sospetti non ci riproveranno. Presto.

La ragione principale è il panico. I servizi segreti dell’Occidentale Collettivo  vedono come Mosca stia finalmente mobilitando il proprio esercito – pronto a scendere in campo il mese prossimo – mentre mette fuori uso le infrastrutture elettriche dell’Ucraina come forma di tortura cinese.

Quei giorni di febbraio in cui si inviavano solo 100.000 truppe – e si lasciava che le milizie della DPR e della LPR, i commando di Wagner e i ceceni di Kadyrov facessero la maggior parte del lavoro pesante – sono ormai lontani. Nel complesso, i russi e i russofoni si sono trovati di fronte a orde di militari ucraini – forse fino a 1 milione. Il “miracolo” di tutto ciò è che i russi se la sono cavata abbastanza bene.

Ogni analista militare conosce la regola di base: una forza d’invasione dovrebbe essere tre volte superiore alla forza di difesa. L’esercito russo all’inizio della OMS era una piccola frazione di questa regola. Le Forze Armate Russe hanno probabilmente un esercito permanente di 1,3 milioni di uomini. Sicuramente avrebbero potuto risparmiare qualche decina di migliaia di uomini in più rispetto ai 100.000 iniziali. Ma non l’hanno fatto. È stata una decisione politica.

Ma ora la OMS è finita: questo è il territorio della CTO (Counter-Terrorist Operation). Una sequenza di attacchi terroristici – che hanno preso di mira i Nord Stream, il ponte di Crimea, la Flotta del Mar Nero – ha infine dimostrato l’inevitabilità di andare oltre una semplice “operazione militare”.

E questo ci porta alla Guerra Elettrica.

 

Preparare la strada per una ZDM

La Guerra Elettrica viene gestita essenzialmente come una tattica – he porterà all’imposizione delle condizioni della Russia in un eventuale armistizio (che né l’intelligence anglo-americana né il vassallo NATO vogliono).

Anche se ci fosse un armistizio – ampiamente propagandato da qualche settimana – questo non porrebbe fine alla guerra. Perché le condizioni russe più profonde e tacite – fine dell’espansione della NATO e “indivisibilità della sicurezza” – sono state pienamente spiegate sia a Washington che a Bruxelles lo scorso dicembre, e successivamente respinte…

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Ucraina, è l’Unione Europea che sta armando i terroristi di domani – Davide Malacaria

… alcuni giorni prima della designazione della Russia come sponsor del Terrore, la Digos di Napoli ha arrestato quattro componenti di una cellula terroristica di marca neonazista affiliata all’Ordine di Hagal, i quali avevano rapporti stretti con il Battaglione Azov. I quattro preparavano attentati.

Il rischio che stiamo armando i terroristi del domani è alto, come aveva allarmato, peraltro, agli inizi della guerra non una quisling qualsiasi, ma Rita Katz, direttrice del Site, sul Washington Post (ora non se può più parlare, si sarebbe accusati di fare il gioco della Russia).

Il pericolo, cioè, è quello di replicare quanto avvenuto per la guerra siriana, con i ribelli di fiducia dell’Occidente, armati e addestrati in funzione del regime-change contro Assad, che hanno iniziato a mietere vittime tra le file dei loro benefattori. Praticamente tutti gli attentati avvenuti in Europa nel decennio della guerra siriana (e dopo) sono stati portati a termine usando tale manovalanza (si potrebbero fare molti esempi).

Per ora il pericolo che il neonazismo di ritorno insanguini le piazze del Vecchio Continente è limitato, sia perché tale manovalanza per ora è usata in guerra sia perché l’intelligence vigila in maniera ferrea su tale possibilità, perché getterebbe un’ombra, forse decisiva, sul supporto occidentale a Kiev.

Ma verrà un tempo, non molto in là, nel quale il movimento neonazista internazionale, rafforzato dalla guerra ucraina, ben armato, addestrato, e soprattutto ormai aduso all’orrore, avendolo attraversato e perpetrato in terra ucraina, farà sentire la sua voce in Europa e altrove, come da allarme della Katz. E non sarà un bel sentire…

Prima dell’Ucraina, l’Afghanistan

È questo un altro motivo per chiudere in fretta il tragico show che si sta consumando in ucraina a spese di quel popolo e dei deboli del mondo.

Infine, va ricordato che la pratica di uccidere i prigionieri di guerra in maniera più o meno sistematica non ha molti precedenti recenti se non in un altro conflitto nel quale rimase impelagata la Russia, quello afghano, nel corso dell’invasione sovietica del Paese.

Anche allora i mujaheddin armati dall’Occidente non facevano prigionieri, assassinando i soldati di leva russi che rimanevano nelle loro mani. Il tutto con l’ovvio tacito placet americano.

Se lo ricordiamo non è tanto per ripercorrere una pagina di cronaca nera del passato, ma solo perché non ci stupisce affatto quanto sta avvenendo in Ucraina. Fa parte del playbook…

E perché, per tornare al tema terrorismo, va ricordato che quei mujaheddin divennero poi i terroristi contro i quali l’Occidente si ritrovò impelagato nella lunga guerra al Terrore… la storia, purtroppo, ha il vizio di ripetersi.

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La guerra che i neocon volevano – Fabio Falchi

Se gli italiani che si occupano di geopolitica avessero studiato seriamente la strategia americana in Ucraina saprebbero che quanto sta accadendo in Ucraina è esattamente quello che i neocon volevano che accadesse.

Infatti, non è un caso che l’amministrazione Biden si caratterizzi per la presenza di numerosi neocon che hanno sostenuto le guerre degli Stati Uniti in Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003) e appoggiato i ribelli islamisti in Siria e in Libia (2011).

Recentemente Jeffrey Sachs ha scritto: “I neocon hanno cercato questa battaglia. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sia gli Stati Uniti che la Russia avrebbero dovuto cercare un’Ucraina neutrale, come cuscinetto prudente e valvola di sicurezza. Invece, i neocon volevano ‘l’egemonia’ degli Stati Uniti mentre i russi hanno intrapreso la battaglia in parte per difesa e in parte anche per le loro stesse pretese imperiali.”

Per i neocon la potenza militare degli Stati Uniti è la “chiave strategica” per impedire il declino della egemonia americana. Anche se l’America non può sfidare militarmente né la Cina né la Russia senza rischiare di scatenare una guerra termonucleare, può sempre sfruttare a proprio vantaggio una situazione come quella che si era creata in Ucraina dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica.

Del resto, l’appoggio ai nazionalisti ucraini da parte dei neocon, prima e dopo i fatti di Maidan, non è un segreto, ma è soprattutto con l’intervento russo a sostegno dei “ribelli” filorussi del Donbass che ai neocon si è presentata l’occasione non solo di trasformare l’Ucraina in una fortezza atlantista ai confini della Russia, ma di attirare in una “trappola strategica” la Russia, nella convinzione che, anche a causa delle provocazioni della Nato nei confronti della Russia, prima o poi Mosca avrebbe cercato di rovesciare con la forza il governo nazionalista e russofobo di Kiev.

Già nel 2014-15 erano presenti in Ucraina ufficiali americani per studiare le tattiche e i “punti deboli” dell’esercito russo (rapporti redatti da alcuni di questi ufficiali sono stati pubblicati in rete) ed è noto che militari americani, inglesi, canadesi e di altri Paesi della Nato negli anni scorsi si sono impegnati in un intenso addestramento dell’esercito ucraino.

In pratica, l’Ucraina avrebbe dovuto essere per la Russia quello che era stato l’Afghanistan per l’Unione Sovietica. Un esercito ucraino, addestrato, armato e “sostenuto” dagli apparati di intelligence della Nato, avrebbe potuto, secondo i neocon, non solo contrastare con successo l’esercito russo ma trasformare l’Ucraina in un “inferno” per i soldati di Mosca. Scopo fondamentale, quindi, dei neocon era (ed è) consolidare l’egemonia americana sul continente europeo e infliggere un colpo letale alla Russia, tale da “indebolire” la Cina, privandola del suo alleato principale.

D‘altronde, non si deve ignorare che i neocon sono tutt’altro che degli sprovveduti, dato che contano nelle loro file eccellenti studiosi e analisti militari. Ad esempio il noto istituto ISW (Institute for the Study of War), che pubblica ogni giorno un’analisi del conflitto russo-ucraino, è un istituto neocon, di cui fanno parte Kimberley Allen Kagan e suo marito, Frederich Kagan che è autore di opere fondamentali sulla storia militare della Russia e dell’Unione Sovietica (Frederick Kagan è figlio di Donald Kagan, che si può considerare il massimo storico vivente della guerra del Peloponneso, e fratello di Robert Kagan, che è sposato con Victoria Nuland, che, com’è noto, ebbe una parte essenziale nella rivolta di Maidan).

Non sorprende, dunque, che l’ISW sia contrario ad ogni trattativa con la Russia e sostenga addirittura che l’Ucraina possa e debba riconquistare anche la Crimea. Tuttavia, anche se il livello di preparazione dei neocon è certamente assai alto, è assai dubbio che l’America possa non solo rafforzare ma ampliare la propria egemonia mediante una politica di potenza.

In un certo senso, infatti, la strategia dei neocon si è già imbattuta nei suoi limiti, dato che la Russia non è affatto “isolata”. Non solo la Cina e l’India ma decine di altri Paesi non hanno imposto sanzioni alla
Russia, dimostrando così che non sono affatto disposti a seguire le direttive strategiche di Washington. Peraltro, anche il “sequestro” delle riserve estere della Banca centrale russa (oltre 300 miliardi di dollari) rischia di infliggere un colpo letale all’egemonia del dollaro, dato che l’America potrebbe fare lo stesso per quanto concerne le riserve in dollari di qualsiasi altro Paese (alleato o no dell’America).

In definitiva, se la strategia dei neocon si fonda soprattutto sui “difetti” del regime di Putin e dell’esercito russo (tanto che i neocon hanno venduto la pelle dell’orso prima di averlo ucciso), ciò non significa che essa stessa non sia frutto di un errore di calcolo, che potrebbe rivelarsi perfino più grave di quello che, secondo i neocon, la Russia ha commesso invadendo l’Ucraina nello scorso febbraio.

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Sull’orlo dell’abisso – nucleare, ambientale: ultima chiamata – Angelo Baracca

L’umanità è sull’orlo di un baratro: sarebbe la prima specie vivente a preparare la propria autodistruzione, che fra l’altro sta comportando anche l’estinzione di altre innumerevoli specie viventi. Sono due le minacce epocali, entrambe opera della società umana.

La minaccia di annientamento nucleare grava sull’umanità dal 1945: se Prometeo ruba il fuoco degli Dei per darlo agli uomini per il loro progresso, invece l’utilizzazione dell’energia nucleare fu realizzata durante la II guerra mondiale per sviluppare l’arma “fine di mondo” (per usare un termine del capolavoro di Stanley Kubrik, Il Dottor Stranamore). La demenza di questa scelta risulta evidente dal momento che essa ha realizzato la possibilità dell’annientamento della civiltà umana!

La crisi climatica si aggrava in modo sempre più allarmante, ma 27 vertici internazionali, detti COP (acronimo di “Conferenza delle Parti”, cioè dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) non hanno trovato un accordo per affrontare in modo radicale ed efficace la crisi climatica: troppi e troppo forti gli interessi in gioco, che vedono contrapposti, grosso modo, i paesi ricchi più inquinatori, e i paesi poveri. Da molti anni sono personalmente convinto che il Vertice della Terra di Rio del 1992 poteva essere il momento per affrontare seriamente la crisi climatica (nella sostanza tutto era praticamente previsto dal rapporto del Club di Roma del 1972, I Limiti dello Sviluppo1, se non si vuole risalire a 10 anni prima con Primavera silenziosa di Rachel Carson), oggi il rischio di perdere il treno aumenta esponenzialmente col tempo: la prima COP (COP1) si è tenuta a Berlino nel 1995, come risultato dei negoziati di Rio del 1992. Ai tempi del protocollo di Kyoto (COP3, 1997) i paesi firmatari erano 84, oggi sono 197, in pratica quasi tutto il mondo.

Passo a trattare separatamente lo stato delle due minacce.

  1. A volte ritornano: la minaccia nucleare

A me appare singolare che lo spettro di una guerra nucleare si sia ripresentato nella pubblica opinione in occasione della guerra in Ucraina. Personalmente non credo che Putin userà armi nucleari tattiche: ma ovviamente non ho ho prove certe, e l’evoluzione del conflitto è imprevedibile!

In ogni caso, questa minaccia di Putin può essere fermata da un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati. Assai più difficile invece fermare minacce nucleari che gravano sull’umanità da molti anni, ma sembrano allarmare molto meno l’opinione pubblica. Ecco un sintetico elenco, soprattutto degli eventi più recenti…

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Ucraina, il complotto criminale – Fabrizio Casari

Una operazione di false flag, di “disinformazione attiva” come sarebbe giusto chiamarla. Questa è la genesi e la storia della provocazione messa in opera da Kiev con il missile in territorio polacco. Contando sulla complicità polacca (venuta meno su ordine USA) è stata un’operazione grossolana di un governo che sa di poter spacciare la sua propaganda come verità assoluta, approfittando della censura ai media russi e dell’accondiscendenza dell’Occidente, che ha completamente rovesciato la verità storica, militare e politica che fa da sfondo all’operazione russa in Ucraina.

I rilievi satellitari statunitensi e russi sono stati subito in grado di rilevare la falsità affermate da Kiev e Zelensky ha tentato una penosa marcia indietro parlando di “tragico incidente”, ma non c’è stato nessun errore: gli ucraini hanno lanciato un missile in Polonia tentando di innescare i meccanismi previsti dall’articolo 4 e 5 del Trattato Atlantico, che prevedono rispettivamente la convocazione del Consiglio Atlantico su richiesta di uno stato membro (art. 4) e l’immediata risposta militare da parte di tutti a sostegno del membro dell’Alleanza sotto attacco (art.5).

A sbugiardare Kiev e a scoprirne l’intenzionalità di colpire il territorio polacco non ci voleva molto: bastavano un esperto di balistica e uno di buon senso. Il primo avrebbe dimostrato che, vista l’inesistenza di missili con traiettoria boomerang, il missile esploso in Polonia, appartenente alle forze armate ucraine, per quanto di tecnologia superata e imprecisa, avrebbe potuto mancare il bersaglio ma non invertire completamente la rotta. Dunque non era stato indirizzato verso le posizioni russe a sud-est, bensì e volutamente verso il territorio polacco a nord-ovest.

Il consigliere del buon senso avrebbe poi aggiunto una considerazione semplice ma efficace: a chi giova colpire la Polonia? Ai russi certo no, e per due ovvie considerazioni. Primo: Mosca è da mesi impegnata, parallelamente al terreno militare, in una ricerca di soluzione diplomatica del conflitto; ricerca che, nelle ultime settimane, ha visto gli stessi USA sostenere colloqui con alti dirigenti militari russi. Gl USA stessi esercitano pressioni su Zelensky per una disposizione al dialogo senza richieste insostenibili e irrealizzabili.

Seconda: i russi non sono nati ieri e si guardano bene dall’estendere a paesi NATO lo scenario bellico, visto che un conto è avere la NATO a sostegno dell’esercito ucraino, un altro è far nascere una guerra aperta con il Patto Atlantico che, per la vicinanza territoriale alla Russia e la ovvia minaccia alla sua sicurezza nazionale, degenererebbe rapidamente in un conflitto sia convenzionale che nucleare tattico e darebbe così il via alla Terza Guerra Mondiale.

 

Kiev è fuori controllo?

Il tentativo ucraino di trascinare l’Occidente in una guerra totale contro la Russia rileva il profilo sociopatico e criminale di un regime che vede crescere lentamente la distanza con i suoi protettori. E nonostante alcuni media insinuino che Zelensky sarebbe disposto a trattare ma non disporrebbe di sufficiente autonomia, in quanto ostaggio dei militari, è probabile che siano proprio i politicanti di Kiev, legati a filo doppio ai partiti nazisti ed ai militari di Azov, a recitare le due parti in commedia. Siamo di fronte ad affaristi senza scrupoli, corrotti e autoritari, emersi con il golpe del 2014 e che hanno imposto la nazificazione dell’Ucraina. Lo stesso Poroshenko, predecessore di Zelensky, in una intervista Tv ha detto di non aver mai volutamente rispettato gli accordi di Minsk: gli sono serviti solo per avere 3 o 4 anni di tempo per far addestrare e armare dalla NATO l’esercito ucraino e renderlo il più temibile d’Europa. E’ lo stesso Poroshenko che disse che la sua politica verso il Donbass russofono vedeva “i nostri figli a scuola e i loro nei rifugi”…

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LA GUERRA PROSSIMA VENTURA – Enrico Tomaselli

Se il declino americano e dell’unipolarismo – due cose sovrapponibili, ma non necessariamente identiche – sono ormai un dato evidente, la questione più urgente è quindi capire quando e come avverrà la transizione. Infatti, se un passaggio verso un mondo multipolare sembra ad oggi inevitabile, è chiaro che non sarà un passaggio indolore, ma al contrario sarà segnato da una guerra. È quindi importante cercare di comprendere come avverrà questa transizione, quali potrebbero essere le mosse – soprattutto militari – della potenza declinante, l’America.

Il declino americano

Le cause del declino degli Stati Uniti, come potenza egemone, sono ovviamente svariate, e si sono prodotte e manifestate già nella fase in cui l’impero, con il crollo dell’URSS, sembrava affermarsi definitivamente. In un certo senso, si potrebbe dire che la stagione d’oro dell’imperialismo americano è anche quella in cui hanno cominciato a germinare i semi del suo declino.
Di ciò comunque le classi dirigenti statunitensi si sono rese conto rapidamente, e seppure cercano di continuare a proiettare un’immagine imperiale vincente, hanno da tempo cominciato a riflettere sul come fronteggiare questa situazione, prima che divenga conclamata ed irreparabile.
Nei think tank USA (1) si è quindi avviata, ormai da decenni, una riflessione che punta ad identificare non tanto le cause del declino, quanto le minacce alla potenza imperiale, e le strategie per rintuzzarle e sconfiggerle. Nel linguaggio politico americano, è abbastanza evidente che non c’è alcuna remora nell’indicare – appunto – come una minaccia chiunque sviluppi una potenza economica e/o militare in grado di sfidare l’impero, indipendentemente da quale sia la postura assunta nei confronti degli Stati Uniti; per i quali costituisce una minaccia già di per sé, per il semplice fatto di esistere.

Fondamentalmente, da oltre vent’anni il pensiero strategico americano ha individuato nella Russia e nella Cina le vere minacce al permanere del proprio dominio. Benché in effetti non ci sia più di mezzo una vera questione ideologica, essendo ormai entrambe sostanzialmente convertite al modello dell’economia capitalista, i due grandi paesi continentali sono anzi percepiti come minacciosi oggi assai più che ieri. Proprio l’adesione al capitalismo (sia pure non marginalmente diversificato, rispetto a quello liberista americano), aggiunge infatti un plus ad un piano di conflittualità geopolitica, prefigurando una guerra civile globale tra potenze simili, e perciò competitive.
Nell’analisi strategica americana, ci sono essenzialmente quattro paesi ostili, di cui però solo due percepiti come minacce vere e proprie. La Corea del Nord, ed ancor più l’Iran, sono visti come stati canaglia, ovvero riottosi ad accettare il dominio degli Stati Uniti, anche se considerati più un elemento di disturbo che di pericolo. Mentre Russia e Cina rientrano a pieno titolo nella categoria delle minacce. La Cina, col suo potenziale economico, industriale e tecnologico, è individuata come il competitor principale, quello in grado di mettere in discussione il dominio imperiale; la Russia, pur considerata come una potenza regionale (e quindi non in grado di competere sul piano globale), è invece percepita come una minaccia più che altro per la propria irriducibilità, e per la capacità di saldarsi potenzialmente al resto d’Europa – oltre che, ovviamente, per il suo potenziale militare.

In questo quadro, per fronteggiare le minacce la strategia geopolitica statunitense si è posta alcuni obiettivi principali: separare nettamente e stabilmente l’Europa dalla Russia, depotenziare economicamente e militarmente quest’ultima, affrontare separatamente Russia e Cina, e colpire questa dopo aver conseguito gli altri obiettivi. Naturalmente tutti questi obiettivi sono inquadrati in una prospettiva bellica, ma che va intesa nel senso di guerra senza limiti (2), o guerra ibrida, in cui il piano militare vero e proprio è solo uno dei tanti utilizzati.
Tutta la politica espansiva della NATO verso l’est europeo, la sua sempre più marcata trasformazione da alleanza difensiva a strumento offensivo, nonché la sua dilatazione geografica verso l’Indo Pacifico, sono elementi che rispondono precisamente a questo disegno.
E la guerra in Ucraina, lungamente preparata, ha esattamente lo scopo di raggiungere i primi due obiettivi, e costituisce di fatto il passo iniziale della controffensiva americana. Con essa si apre ufficialmente il quarto grande conflitto destinato a segnare la storia degli USA (3), è che possiamo correttamente definire come terza guerra mondiale.

La lezione ucraina

Il conflitto combattuto sul suolo ucraino, cominciato nel 2014 e deflagrato nel 2022, sta però mostrando una realtà diversa da quella immaginata, e soprattutto sta dimostrando la difficoltà di conseguire gli obiettivi. Se da un lato ha funzionato anche meglio del previsto nella irreggimentazione dell’Europa – che si è fatta rapidamente e supinamente rimettere in riga – e nella sua separazione dalla Russia, il depotenziamento di questa si è rivelato assai complicato. Si può anzi tranquillamente affermare che è fallito, non essendo riuscito né sul piano economico, né su quello politico-diplomatico, né tanto meno su quello militare.
Ed è soprattutto su questo piano, che la lezione è più stringente.
Al netto di tutto, infatti, la proxy war messa in atto dalla NATO (e più ampiamente dall’occidente collettivo) sta dimostrando una cosa assai semplice: allo stato attuale delle cose, la NATO non è in grado di affrontare uno scontro diretto con la Russia. Non lo è sul piano della capacità di mettere in campo uomini e mezzi, non lo è sotto il profilo della produzione industriale bellica, non lo è soprattutto nella capacità di reggere il consumo di manpower.

La prospettiva di guerra che Washington si è data quindi, alla luce del conflitto in Ucraina, dice che l’intero sistema (militare, industriale, logistico) deve essere preventivamente tarato su un livello assai superiore a quello attuale – e prima di ciò, deve rimettersi in pari rispetto ai costi della guerra in corso, sia in termini economici che di esaurimento degli arsenali.
Sicuramente anche la Russia avrà a sua volta bisogno di un tempo per recuperare un livello prebellico, ma questo tempo sarà sicuramente inferiore a quello dell’occidente, perché era assai meglio attrezzata. Ciò significa che la NATO necessiterà di alcuni anni, prima di essere nuovamente in grado di affrontare uno sforzo simile, ma con maggiori possibilità di vittoria.
Al tempo stesso, gli Stati Uniti si trovano nella necessità di non poter allentare la presa, proprio per evitare che i nemici abbiano a loro volta il tempo per attrezzarsi ancor meglio allo scontro.

La prossima tappa di avvicinamento al terzo conflitto mondiale, quindi, sarà con ogni probabilità un’altra proxy war. Che, rispondendo al disegno strategico di dividere i nemici per colpirli separatamente, avrà presumibilmente come obiettivo nuovamente la Russia – oppure uno dei suoi alleati.
Ma ovviamente ciò non è semplice, perché la possibilità di creare conflitti significativi alle frontiere di Mosca non sono tante. Da questo punto di vista, la scelta dell’Ucraina non è stata affatto casuale. Su questa dimensione di scala, infatti, ci sono soltanto il Kazakhistan e la Finlandia – ma quest’ultima, oltre ad avere una popolazione limitata, serve che entri nella NATO per completare l’accerchiamento nel mar Baltico e proiettare l’alleanza nel mare di Barents. Non resterebbero quindi che la Georgia o l’Azerbaijan. Che però non hanno il potenziale dell’Ucraina, e mancano dell’enorme retrovia su cui può contare Kyev, avendo alle spalle l’Europa. Questa debolezza, tra l’altro, spiega anche perché gli USA siano così irritati dall’autonomia politica della Turchia, che di fatto li priva di un alleato fondamentale in uno scacchiere strategico…

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Terrorista chi? – Domenico Gallo

Qualificando la Russia come “Stato terrorista”, è stato compiuto un altro passo in avanti nello scontro politico-militare con la Russia ed un passo indietro rispetto alla possibilità di ricercare un’intesa di pace. Anzi sono state poste le premesse perché la guerra continui anche dopo il cessate il fuoco. Infatti, come sarà possibile ristabilire una convivenza pacifica in Europa se l’interlocutore è uno “Stato terrorista”?

Dal 18 al 21 novembre si è svolta a Madrid la 68ma sessione annuale dell’Assemblea parlamentare della Nato. Si tratta di un organo ausiliare del tutto irrilevante che non ha alcuna voce in capitolo nelle scelte che vengono compiute nell’ambito della Nato, salvo un ruolo meramente decorativo per abbellire con una spruzzata di consenso parlamentare le decisioni altrui. Quindi non sarebbe neanche il caso di parlarne, ma questa volta, con la guerra in corso, l’Assemblea parlamentare ha alzato la voce per superare il fragore degli annunci bellicosi in campo. Così, a parte la rituale dichiarazione di sostegno all’Ucraina e di approvazione delle decisioni adottate al vertice Nato di Madrid, l’Assemblea ha lanciato un acuto adottando una risoluzione che dichiara, tra altre cose, che “lo Stato della Russia, con il suo regime attuale, è uno Stato terrorista”. Il documento, inoltre, afferma che la Russia è la “minaccia più diretta per la sicurezza euro-atlantica” e ribadisce “solidarietà indistruttibile” nei confronti dell’Ucraina, invitando i Paesi alleati a mantenere il sostegno militare a Kiev. Qualificando la Russia come “Stato terrorista”, è stato compiuto un altro passo in avanti nello scontro politico-militare con la Russia ed un passo indietro rispetto alla possibilità di ricercare un’intesa di pace. Anzi sono state poste le premesse perché la guerra continui anche dopo il cessate il fuoco. Infatti, come sarà possibile ristabilire una convivenza pacifica in Europa se l’interlocutore è uno “Stato terrorista”? Noi siamo convinti che la guerra è una forma di terrorismo elevato alla massima potenza, per questo tutti gli Stati che ricorrono alla guerra compiono atti di terrorismo su vasta scala. Del resto quando gli Stati Uniti hanno scatenato la loro “operazione militare speciale” contro l’Iraq nel 2003, l’hanno chiamata: “shock and awe” (colpisci e terrorizza). Se si vuol fare una guerra e si vuole anche vincerla, bisogna colpire (cioè uccidere) molto e terrorizzare anche di più.  Tuttavia a nessuno nel 2003 venne in mente di definire gli USA come “Stato terrorista”. Curiosamente l’Assemblea parlamentare della NATO, non si è accorta che la notte fra il 19 e il 20 novembre un suo Stato membro, ha scatenato un attacco terroristico nella Siria settentrionale e nel nord dell’Iraq. Aerei da guerra turchi hanno bombardato Kobanê, la città martire già assediata nel 2014/15 dallo Stato islamico, i villaggi limitrofi ed altre località nel Kurdistan meridionale, provocando la morte di 35 persone. Secondo la Turchia, l’operazione militare denominata: “Spada ad artiglio” viene condotta “in conformità con il diritto alla legittima difesa contenuto nell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” e ha il fine di “eliminare gli attacchi terroristici dal nord dell’Iraq e della Siria, di garantire la sicurezza delle frontiere e di eliminare il terrorismo alla radice”. L’attentato terroristico avvenuto a Taksim, Istanbul, il 13 novembre è stato un comodo pretesto per coprire la vergogna di un attacco ingiustificato alla Federazione democratica della Siria del Nord. Con i suoi ripetuti attacchi contro il Rojava, la Turchia  mira a distruggere un’esperienza straordinaria di autogoverno democratico, multietnico e pluralistico, basato sulla civile convivenza e sul rispetto di tutte le minoranze. Adesso è stato annunziato l’avvio di una operazione di terra, l’obiettivo è quello di riconsegnare la regione nelle mani delle milizie integraliste islamiche filoturche. Per i paladini dell’atlantismo c’è terrorismo e terrorismo, quello cattivo da condannare e contrastare con le armi, e quello buono sul quale si può chiudere un occhio. Purtroppo il proseguire della guerra in Ucraina accresce la sofferenza delle popolazioni coinvolte. La nuova strategia militare della Russia che ha scatenato un diluvio di missili contro gli impianti di produzione di energia elettrica, ha provocato l’allarme dell’Organizzazione mondiale della Sanità. L’OMS ha denunziato che è a rischio la vita di milioni di persone perché “il freddo può uccidere” dal momento che 10 milioni di persone in Ucraina sono senza elettricità a temperature che con tutta probabilità scenderanno a -20°C in alcune parti del Paese. Non c’è dubbio che prendere di mira gli impianti di energia elettrica è un’ulteriore barbarie che aggrava l’inferno della guerra. Anche su questo fronte viene in evidenza il superiore livello di civiltà dell’Occidente. Infatti quando la Nato nel 1999, ha preso di mira gli impianti elettrici in Jugoslavia, seminandoli di bombe a graffite, correva il mese di aprile/maggio, quindi l’inverno era passato.

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Bomba atomica ottimista – Lorenzo Merlo

Non so se sia una visione, un miraggio o un chiaro filo rosso. In ogni caso, ci sono motivi e illazioni che lasciano credere che l’apertura al negoziato di pace tra Russia e Ucraina, da pochi giorni affermata da Biden, veda nel rischio di un’autarchia americana il suo primo e più profondo movente. Un fatto storicamente unico e socialmente imperdonabile, ad eventuale carico dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Per scongiurarlo ci voleva un’idea. Eccola in forma di passaggi.

Questioni interne

Constatato l’elevato rischio di dover cedere il passo a Trump o ai Repubblicani, Biden ascolta la protesta di suoi connazionali e di 30 deputati Democratici, che manifestano contro l’assistenza in armamenti, intelligence, addestramenti e denaro agli ucraini. Il fine è quello di recuperare consensi in occasione delle imminenti elezioni di medio mandato.

Da qui, l’apertura americana al tavolo della pace con Putin.

Quindi, il pretesto del G20 – dei prossimi martedì 15 e mercoledì 16 novembre 2022 – per avviare concretamente l’intento annunciato.

La manfrina nucleare avrebbe termine e pure lo svenamento delle risorse sottratte ad un paese incredibilmente indebitato e povero.

La raccolta di consensi a favore dei Democratici sarebbe garantita. Cosa potrebbero fare per la loro causa?

 

Questioni esterne

L’Orso russo – ripresosi forse più velocemente del previsto dal tracollo sovietico o, addirittura, inaspettatamente – doveva essere demolito. La lungimirante strategia Nato, ricca di provocazioni nei confronti della Russia e avvallata dal sostanziale silenzio europeo, era andata in porto. Il mostro in forma di Putin aveva attaccato un paese sovrano. C’era tutto il necessario per porre fine alla partita. Vincerla era eliminare o sottomettere un potenziale rivale nei confronti dell’egemonia mondiale, rispetto alla quale gli americani ci avevano fatto il callo e ci vedevano la semplice realizzazione di quel destino manifesto (1), mandato divino che li impone alla guida del mondo…

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IL MITO AMERICANO E IL SACRIFICIO EUROPEO» – Riccardo Alberto Quattrini

Avrei voluto riprodurre il lunghissimo discorso di Putin tenuto al Valdai Club nel quale il presidente russo disegna un mondo di Paesi sovrani che collaborano tra di loro al posto di un globalismo che crea enormi ingiustizie sociali, ma purtroppo non ho ancora una traduzione affidabile e così mi concentrerò sul suo contrario ovvero sul mito americano, su cui si è costruito il mondo attuale e che ha potentemente contribuito a far sopportare agli europei l’occupazione  militare e adesso ad immolarci agli interessi egemonici degli Usa. Come scrisse Thomas Friedman  “La mano nascosta del mercato non funzionerà mai senza il pugno nascosto. McDonald’s non può prosperare senza McDonnell Douglas ”. Ovvero la potenza militare. In effetti se si va a vedere attraverso la filigrana di un mito diffuso dalla comunicazione che in occidente è sempre stata a prevalenza Usa, gli Stati Uniti sarebbero la vetrina del capitalismo con una competitività senza pari e una capacità tecnologica inarrivabile. Come dimostrano anche i casi di Alexander Graham Bell che non ha inventato il telefono, di Thomas Edison che, per sua stessa ammissione, non ha mai inventato nulla – compresa la lampadina che era già stata commercializzata prima in Germania e poi in Gran Bretagna, dei fratelli Wright che non furono mai i primi ad avere il volo a motore. Si tratta solo di leggenda: se si vanno ad esaminare i dati le principali società statunitensi hanno avuto successo non grazie a un vantaggio competitivo, ma grazie alle pressioni e alle minacce provenienti dal Dipartimento di Stato e dalla forza.

Nonostante questo enorme vantaggio competitivo, sia pure estraneo ai veri fattori di mercato, molti giganti hanno dimostrato di avere i piedi di argilla: Xerox una volta era quasi l’unico produttore di fotocopiatrici al mondo. Kodak una volta era quasi l’unico produttore al mondo di fotocamere non professionali e pellicole fotografiche; Dove sono oggi Xerox e Kodak? Più recentemente, Motorola è stato il principale produttore di telefoni cellulari; Dov’è Motorola oggi? La RCA Victor è stata uno dei maggiori produttori di televisori al mondo. Dove puoi acquistare un televisore RCA oggi? Dove sono le grandi compagnie aeree Pan Am World Airways. Twa e Continental Airlines? Dove sono EF Hutton , General Foods, RCA, DEC, Compaq ? Dove sono American Motors, Bethlehem Steel, Polaroid e tante altre? Finite perché non potevano affrontare una concorrenza effettiva. E tuttavia noi ogni giorno sentiamo sermoni tecnologici e futuristici da parte del signor Elon Musk, il quale in pratica sostiene di aver inventato l’auto elettrica con la Tesla: ma molti brevetti sono stati acquisiti da quelli della Peugeot Citroen degli anni ’80 e ’90, mentre le batterie erano fino a poco tempo costituite da pacchi di comuni pile al litio 18650 rigorosamente costruite in Cina? Per non parlare dei satelliti inviati in orbita grazie a vecchi motori a razzo dell’era sovietica. Ma se una cosa è americana non può che essere eccezionale. Boeing sarebbe sparita se non fosse stato per gli ingenti sussidi che riceve dal governo degli Stati Uniti. È vero che anche l’Airbus riceve sussidi, ma Boeing è sostenuta da miliardi di borse di ricerca militari statunitensi a fronte delle quali può applicare gran parte delle sue spese correnti. General Electric un tempo era il più grande produttore di elettrodomestici, luci e apparecchi di illuminazione. Dov’è oggi? Trasformata in una società finanziaria, espulsa da tutti i mercati di consumo perché non poteva competere. Lo stesso accade per le tre principali case automobilistiche statunitensi si trovano nella stessa posizione. Chrysler è già fallita tre volte ed è stata infine salvata immolando la Fiat e con essa la maggiore industria italiana. General Motors è fallita ed è stata risparmiata solo da 60 miliardi di iniezioni di contanti dai governi statunitense e canadese, denaro che non sarà mai recuperato. E, nonostante ciò, GM sarebbe comunque scomparsa dalla terra se non fosse stato per le sue vendite in Cina – che ora sono tre volte le vendite di GM nel proprio paese…

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Ucraina, dollari e yuan – Guido Ortona

 

  1. Guerra ed economia. I commentatori italiani, e non solo, hanno perlopiù ignorato i dati macroeconomici di fondo che stanno alla base della guerra d’Ucraina. Eppure non dovrebbero essere trascurati, perché senza prenderli in considerazione non è possibile capire perché sia la Russia che gli USA abbiano preferito la guerra a un’intesa diplomatica. Come è (o dovrebbe essere) noto, la causa prossimadella guerra è stata il patto americano-ucraino del novembre 2021 (il testo è facilmente reperibile su internet), che sanciva l’impegno USA ad aiutare l’Ucraina nella riconquista di Crimea e Donbass e il rapido ingresso dell’Ucraina nella NATO (patto a cui la Russia rispose con un documento inviato agli USA in dicembre, in cui si chiedeva la neutralità dell’Ucraina e la sua esclusione dalla NATO e che non venne preso in considerazione). La Russia preferiva, e ha preferito, la guerra e l’intervento della NATO piuttosto che consentire che ciò avvenisse; e gli USA hanno preferito la guerra piuttosto che rinunciare a tale ingresso. Fin qui i fatti. Fare una guerra contro un nemico forte non è un’impresa da poco, occorre chiedersi perché entrambi i contendenti abbiano scelto di farla, o almeno di correre molto seriamente il rischio che scoppiasse. Non ho elementi per valutare appieno le ragioni della Russia, per capire cioè se accettare la massiccia subordinazione dell’Ucraina da parte degli USA prevista dal trattato non potesse andare a vantaggio anche del popolo russo; e se avesse a disposizione alternative meno sanguinarie o strategie geopolitiche più collaborative per impedirlo. In questo articolo mi occuperò solo delle ragioni degli USA.
  2. Economia e Stati Uniti. Si pone quindi questa domanda: perché gli USA sono intervenuti così massicciamente nella guerra d’Ucraina, sia finanziariamente (a oggi, circa 54 miliardi di dollari, cui vanno aggiunti altri 29 miliardi forniti dai paesi satelliti: dati dell’Institute for the world Economy, Kiel) che politicamente? Escludiamo ovviamente che l’abbiano fatto per motivi ideali (ma su ciò tornerò: il fatto che sia così facile crederlo è importante). Negli USA le scelte politiche importanti non si fanno se chi comanda nel paese reale è contrario. Quindi questa guerra conviene agli USA, intendendo con ciò il suo governo e chi lo controlla. Perché?
    Cominciamo dalla bilancia dei pagamenti. Nel primi sette mesi del 2022 gli USA hanno esportato beni e servizi per un valore di 1199 miliardi di dollari; e hanno importato beni e servizi per 1937 (più o meno il 10% del PIL), con un disavanzo di ben 738 miliardi. In teoria uno stato manda la sua valuta all’estero in pagamento delle importazioni, e questa ritorna per pagare le esportazioni. Cosa se ne fanno i possessori di quei 738 miliardi, visto che non comprano esportazioni USA? Due cose. In primo luogo, li usano per comprare prodotti di altri paesi, dato che il dollaro ha valore ovunque; e comprano titoli, privati e pubblici, emessi dagli USA. Le statistiche ufficiali ci dicono che l’afflusso netto di capitali negli USA ha superato, nei primi sette mesi del 2022, i 900 miliardi di dollari.
    Inoltre, fra le esportazioni degli USA è rilevante il peso dei prodotti energetici (circa 120 miliardi) e delle armi (50 miliardi). Questi 170 miliardi traggono notevoli vantaggi dalla guerra, per non parlare dei guadagni della cosiddetta (da Eisenhower) “lobby militare-industriale” (LMI). Per fare un esempio, un’azione della Lockheed-Martin (il principale produttore mondiale di armi) aveva toccato un minimo di 331 dollari il 2 dicembre 2021 per poi risalire a 450 il 2 marzo, calare molto lentamente fino a 389 il 14 ottobre e raggiungere 465 oggi, 24 ottobre (cosa che non fa presagire niente di buono). Lo scoppio della pace sarebbe evidentemente un guaio per i suoi padroni.
    Abbiamo qui già individuato tre motivi per i quali agli USA non dispiace che a livello mondiale ci siano delle tensioni: propiziare la vendita di armi (e di altri servizi militari, come addestramento e approvvigionamenti), tenere alto il prezzo dei prodotti energetici,  favorire la potentissima LMI. C’è anche un quarto motivo, e cioè che la guerra favorisce di per sé il circuito che abbiamo visto sopra, per il quale gli USA possono mantenere una bilancia commerciale in eccesso grazie a un continuo afflusso di capitali. La politica “populista” con cui il governo americano ha affrontato il Covid, vale a dire l’emissione di enormi quantità di dollari, ha seriamente danneggiato il circuito “importazione di beni tramite importazioni di capitali”. L’altissima inflazione che si è prodotta (oltre l’8%) rende più economiche le importazioni, e più care le esportazioni. Occorre aumentare l’afflusso di dollari per compensare il maggior deficit. Ora, quando nel mondo ci sono serie turbolenze, i flussi di capitale si spostano verso gli impieghi più sicuri, e normalmente i titoli denominati in dollari sono i più sicuri. Chi può, preferisce spostare i capitali dall’Europa, minacciata dalla recessione, dai conflitti interni, dalla rottura del mercato russo e (forse) dalle bombe verso i più sicuri impieghi americani. E infatti l’afflusso netto di capitali verso gli USA è in continua crescita. Borse, la grande fuga dei capitali dall’Europaè un titolo de La Stampadel 17 settembre. Non c’è da stupirsi; da sempre, tanto più un paese è forte tanto più è in grado di far pagare ad altri il costo dei suoi problemi interni. L’impero romano ha disboscato a mani basse l’Europa mediterranea per far fronte alla carenza di legname; gli imperi europei hanno reagito alla long depression iniziata nel 1873 con l’imperialismo.
  3. Economia, Cina e Stati Uniti. Però credo che ci sia un motivo ancora più importante che spiega perché, dal punto di vista americano, la guerra fosse inevitabile. Per capirlo bisogna guardare un po’ più lontano, vale a dire al conflitto USA-Cina. Che gli USA stiano soffiando su due fuochi (Ucraina e Taiwan) è fuor di dubbio. Indipendentemente da due dicotomie ben poco esplicative nel campo dell’economia internazionale, e cioè chi sia buono e chi cattivo (ma su ciò tornerò) e chi abbia torto e chi ragione, e indipendentemente da chi abbia cominciato (la Russia in Ucraina, difficile dirlo a Taiwan), è evidente come gli USA non stiano perseguendo politiche di appeasement, bensì il contrario. Tra l’altro, stanno impegnando la NATO ben al di là del suo statuto, il che implica una forzatura politica non banale. Perché? Di nuovo, bisogna guardare ai dati economici fondamentali.
    Supponiamo che nel mondo si instauri un libero mercato capitalista globale, non vincolato da sanzioni e embarghi. L’economia europea si integrerebbe sempre più con quella cinese (e indiana), coinvolgendo ovviamente anche la Russia. Il mondo cesserebbe di essere unipolare e diverrebbe almeno bipolare. Bene, questa tendenza sarebbe catastrofica per gli Stati Uniti; e credo che sia questo il motivo principale per il quale gli Stati Uniti sono obbligati a fare di tutto per impedirlo. Questa integrazione porterebbe, progressivamente ma inevitabilmente, a una riduzione del potere di ricatto degli USA sull’economia mondiale, oggi gestito soprattutto tramite un sistema di sanzioni (come vedremo), e anche (forse soprattutto) a una riduzione del ruolo del dollaro come moneta privilegiata per gli scambi internazionali. In effetti la Cina ha già intrapreso notevoli iniziative che propiziano questi esiti. La prima è la cosiddetta Belt and Road Initiativ (BRI), un insieme di accordi politici e acquisto e/o costruzione di infrastrutture rivolte a propiziare il commercio estero cinese. Basta leggere la relativa voce su Wikipedia per rendersi conto della portata storica del progetto. Cito: «Secondo alcuni studi, [la BRI] coinvolgerebbe fino a 68 nazioni: più della metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale, e rappresenterebbe il più grande progetto di investimento mai compiuto prima, superando, al netto dell’inflazione odierna, di almeno 12 volte l’European Recovery Program, ovvero il celebre Piano Marshall». L’espansione del mercato cinese deve passare necessariamente attraverso la Russia, che ne trarrebbe enormi vantaggi, per arrivare all’Europa, la quale a sua volta ne sarebbe enormemente avvantaggiata. Ma questi sviluppi comporterebbero ovviamente la perdita dello status di unico impero mondiale attualmente goduto dagli USA. Sarebbe veramente ingenuo pensare che gli USA possano stare tranquillamente a guardare. Ma c’è di più – come dicevamo – e cioè il serio pericolo che il dollaro perda il suo status di moneta principe nelle riserve valutarie mondiali e negli scambi commerciali mondiali. Questo sarebbe catastrofico per l’impero americano. Ecco una citazione presa poco più che a caso fra le molte possibili: «Degli economisti, fra cui Barry Eichengreen dell’Università della California a Berkeley e Camille Macaire della Banca Centrale Francese hanno pubblicato un articolo che analizza le potenzialità dello yuan come valuta di riserva. I ricercatori ritengono che rimpiazzare il dollaro non sarà né facile né rapido. Tuttavia hanno verificato che le riserve in yuan stanno stabilmente crescendo nei paesi che hanno strette relazioni commerciali con la Cina. Questa crescente influenza potrebbe fare sì che lo yuan diventi un’alternativa al dollaro in un mondo “multipolare”. In altre parole, la Cina potrebbe via via scalfire l’influenza del dollaro. Gli autori dello studio osservano che l’attuale posizione della moneta cinese ricorda quella del dollaro negli anni ’50. Sulla base di ciò, potrebbero bastare pochi decenni perché lo yuan raggiunga il dollaro» (V. Raisinghani, su Yahoo-Finance, 29 agosto 2022, traduzione mia).
  4. Come possono reagire gli USA?Il declino del dollaro renderebbe impossibile mantenere il tradizionale deficit della bilancia dei pagamenti, e la riduzione della centralità degli USA renderebbe i suoi titoli meno appetibili. Se gli USA tornassero a essere un paese normale anziché imperiale dovrebbero puntare sulle esportazioni per pagare le importazioni, e il loro settore industriale, il cui peso già adesso sta riducendosi progressivamente (attualmente costituisce circa il 10% del PIL, nel 2000 era il 16%, in Italia è circa il 20%), dovrebbe competere con quelli della Cina, dell’India (e dell’Europa), e attrezzarsi per questo sarebbe nel migliore dei casi un processo lungo e difficile.
    La storia e il buon senso ci insegnano che quando un impero si sente minacciato adotta tutte le misure necessarie per difendere il suo potere, senza tenere molto conto degli interessi dei popoli soggetti all’impero. È successo, per esempio, coll’impero romano e con quello inglese. E, infatti, contro il pericolo della fine del mondo unipolare gli USA stanno combattendo duramente. L’arma principale (fino ad oggi) sono state le sanzioni (su internet è facile trovare i dati: ci sono 38 programmi di sanzioni in vigore da Afghanistan-related a Zimbabwe-related, i cui contenuti vengono costantemente aggiornati. Guardate i siti dell’OFAC, Office of Foreign Assets Control). Nel 2021, gli enti e gli individui negli elenchi delle sanzioni statunitensi erano più di 9.421, il 933% in più rispetto all’anno fiscale 2004. In teoria esse sono legate esclusivamente al mancato rispetto dei diritti umani o a un presunto o reale sostegno a gruppi terroristi, ma in realtà sono un potente strumento di intervento a correzione del funzionamento dei mercati. È di questi giorni, per esempio, la notizia che gli USA stanno applicando nuove sanzioni alla Cina con particolare riferimento alle tecnologie di calcolo elettronico. Cito un articolo apparso su una rivista non sospettabile (traduzione mia): «In teoria, le superpotenze dovrebbero possedere tutto un insieme di strumenti politici: potenza militare, predominio culturale, persuasione diplomatica, capacità tecnologiche, aiuti economici, eccetera. Ma a tutti coloro che hanno esaminato attentamente la politica estera americana dell’ultimo decennio è risultato ovvio che gli Stati Uniti hanno fatto ricorso soprattutto a uno strumento: le sanzioni» (D. W. Drezner, The United States of Sanctions, “Foreign Affairs”, settembre-ottobre 2021, traduzione mia). Le sanzioni sono talmente complicate e mutevoli che un apposito sito, aperto al pubblico e facilmente raggiungibile, consente agli operatori di valutare se una transazione di loro interesse è lecita o meno. Le sanzioni non riguardano solo i rapporti fra soggetti americani e soggetti di paesi sanzionati ma anche, e forse soprattutto, le imprese straniere che intrattengono relazioni con quei paesi. Non ho trovato stime degli effetti delle sanzioni sull’economia globale e su quella dei paesi (e delle imprese) che possono fare concorrenza agli USA e alle loro imprese; ma questi effetti sono sicuramente colossali. E hanno certamente avuto effetti deleteri anche sui paesi satelliti. Per esempio, l’Italia godeva di un “permesso temporaneo di acquisto” di petrolio dall’Iran, che è stato revocato nel 2019, senza che si potesse protestare. Come scrive (in inglese, traduzione mia) Adriana Castagnoli «la visita del segretario di Stato Mike Pompeo a Roma in ottobre [2019] fu il segnale di una più stretta alleanza fra USA e Italia. L’Italia avrebbe sviluppato le sue relazioni bilaterali con la Cina solo in questa cornice multipolare. Draghi riposizionò apertamente la collocazione internazionale dell’Italia in linea con Washington e Bruxelles» (The US–Italy Economic Relations,in a Divided World, Istituto Affari Internazionali, 2022).
    Se le sanzioni (e le pressioni dirette) non bastano, e quanto sta succedendo indica che non stanno bastando, non resta che ricorrere all’intervento militare. La guerra in Ucraina rafforza il dollaro, blocca la via della seta e obbliga i paesi europei a rinunciare alle risorse energetiche russe e a sottoporsi alle decisioni americane sul piano militare. Così come la Russia ha ritenuto preferibile la guerra all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, gli USA (che, non dimentichiamolo, avrebbero potuto impedire la guerra) hanno preferito la guerra al rischio che attraverso la Russia l’integrazione fra l’Europa e la Cina, e quindi la nascita di un impero cinese in concorrenza con quello americano, diventassero inevitabili. In questa guerra fra giganti, fredda nelle metropoli e calda ai confini, così come è stato per la precedente guerra fredda, l’Ucraina è sacrificabile e sacrificata; l’Unione Europea è per ora solo piuttosto parzialmente sacrificata, ma è sicuramente sacrificabile in caso di necessità.
  5. E noi? Cosa può fare l’Europa, e in essa l’Italia?La linea ufficiale del governo, stabilita dal primo ministro Gentiloni nel 2017 e mai smentita, sarebbe la partecipazione entusiasta alla BRI, dato che essa avrebbe ricadute economiche estremamente positive; in effetti l’idea era che l’Italia fosse il principale hub dell’iniziativa, data la centralità del suo sistema portuale una volta che i trasporti transatlantici fossero diventati meno rilevanti. Anche il resto dell’Europa, comunque, manifestava una grande disponibilità. Chi non vorrebbe che l’Europa si aprisse maggiormente al commercio con la seconda economia mondiale che si avvia a diventare la prima?
    Questa politica è oggi improponibile. La scelta per l’Europa e per l’Italia è fra puntare ancora sulla BRI, affrontando l’opposizione degli Stati Uniti, o cedere alle loro pressioni, alle loro minacce e alle loro sanzioni, come stiamo facendo. In entrambi i casi si tratta di una scommessa: continuare nella politica BRI vuol dire scommettere che dopo le inevitabili turbolenze politiche ed economiche propiziate da questa scelta si tornerà a un mercato mondiale “normale”, con la Cina (e l’India, e la Russia) sempre più integrate. Scommettere sulla seconda vuol dire invece ritenere che i danni che gli USA possono infliggere all’Europa in caso di “tradimento” sarebbero troppo gravi per potere essere sopportati; e che nonostante tutto si possa restare nel “primo cerchio”, sperando che l’evoluzione della guerra non comporti troppi sacrifici. I fatti purtroppo dimostrano che chi ha fatto questa scelta ha avuto probabilmente ragione.
    Esiste una terza via? Certamente la serietà del contenzioso fra USA e Cina rende molto difficile percorrerla. Se entrambi i contendenti preferiscono la guerra a un compromesso la guerra è inevitabile. Ma paradossalmente è proprio questa inevitabilità che rende necessario trovarne uno. Nemmeno Molinari o Di Maio possono preferire un bombardamento atomico sull’Italia a un compromesso. Il soggetto più indicato a cercare questo compromesso è l’Unione Europea. È possibile che qualcuno stia lavorando sotto traccia a ciò. Ma molti di noi avevano sperato che che l’Unione intervenisse con più decisione.
  6. Guerra e ideologia. Il conflitto fra USA e Cina è un “normale” conflitto fra un impero nascente e uno in declino, paragonabile a quello fra Inghilterra e Germania nel 1914 o a quello fra Roma e Cartagine nel secondo e terzo secolo avanti Cristo. E come anche in quei casi l’opinione pubblica dei paesi “buoni” è stata facilmente convinta che si trattava in realtà di una lotta di civiltà, di una battaglia fra il progresso e la barbarie. In tutti e tre i casi c’erano validi motivi per cui questa interpretazione prendesse piede, ma soprattutto in quello odierno. L’Europa occidentale è certamente più ricca della Russia; l’Ucraina è stata aggredita quando ha cercato di sottrarsi all’orbita russa per entrare in quella occidentale; i confini sono sacri (tranne quelli della Serbia), altrimenti si autorizza l’anarchia nelle relazioni internazionali; soprattutto, è vero che i paesi occidentali godono di libertà di parola, di pensiero e di protezione dall’arbitrio molto più della Russia (forse questo non vale per gli USA: è difficile considerare “libero” un paese che ospita il 4.2% circa della popolazione mondiale e il 25% circa della popolazione carceraria mondiale), e questo propizia la lettura del conflitto “lotta fra la libertà e l’autocrazia”. Chi leggesse i giornali inglesi del 1914 troverà argomenti molto simili; ma oggi come allora avevano un solido fondamento (non a caso Putin non ha potuto invocare ideali simili, ed ha dovuto per così dire ripiegare sul nazionalismo e la lotta al nazismo). Chi sia stato indotto a ritenere (in contrasto con Gentiloni) che il nuovo mondo multipolare implicherebbe necessariamente il passaggio dalla subordinazione agli USA alla subordinazione alla Cina (o alla Russia) riterrà ragionevolmente che sia meglio la prima.
    Che i governi propizino questa interpretazione può essere giustificabile; una volta scelto di essere fedeli agli USA diventa politicamente sensato questo imbonimento. Non è agevole dire al proprio popolo che si è obbligati a servire gli interessi di un paese straniero a spese di quelli del proprio. In effetti non è agevole dirlo nemmeno a sé stessi; nell’isteria bellicista di un Letta è agevole vedere il tipico atteggiamento di chi ricorre all’ira per evitare di dovere ragionare. Assai meno giustificabile è che lo facciano i giornalisti. Non so se la verità sia rivoluzionaria, come si diceva una volta; penso però che sia molto pericoloso per una democrazia che la verità venga sistematicamente nascosta. E ancora meno lo è che lo facciano alcuni, in effetti troppi, intellettuali e commentatori di centro-sinistra. Per chi aspira a essere un maître à penserignorare volutamente i dati che ho qui riportato e le conseguenze che bisogna trarne, rinunciare a riflettere sui costi umani e sulle conseguenze del prolungamento della guerra, lanciare in sostanza il messaggio che “siccome la guerra a fianco dell’Ucraina è giusta bisogna combattere fino alla vittoria e tutto il resto non conta, nemmeno cercare di capirne le cause” è un atteggiamento scorretto, direi una mancanza di dignità professionale. Ignorare i dati e le conseguenze non volutamente, per semplice ignoranza, lo è ancora di più. Ma questo è un altro discorso.

da qui

 

Anche a Kobane c’è chiaramente un aggredito e un aggressore. Che si fa? – Giulio Cavalli

 

La differenza è che in questo caso chi bombarda è un Paese Nato ed è uno dei migliori clienti dell’industria delle armi italiana

C’è stato un tempo in cui le donne yazide, curde, circasse e arabe campeggiavano sulle prime pagine di tutte le riviste patinate in Italia. Erano quelle che ci avevano aiutato a sconfiggere l’Isis, liberando Kobane. A Kobane ora cadono le bombe. Per Erdogan è stato fin troppo facile: l’attentato avvenuto a Istanbul lo scorso 13 novembre ha spinto l’autocrate turco ad additare il Pkk, formazione di guerriglia curda socialista, come colpevole. Da lì il passo è stato breve. Secondo Erdogan le bombe sono il modo migliore per creare una “zona cuscinetto” per garantire i propri confini.

Le bombe turche sono cadute su Kobane e altri territori curdi nel Nord della Siria e dell’Iraq, provocando vittime, tra cui anche un giornalista. Al momento, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime sarebbero quindici, di cui nove membri delle Forze democratiche siriane e sei militari siriani. Altre fonti, invece, preannunciano un bilancio più pesante: almeno quarantacinque morti, tra forze siriane e miliziani curdi. Farhad Shami, portavoce delle Forze democratiche siriane, su Twitterha scritto che tra i morti ci sarebbe anche un giornalista. E ha aggiunto: «L’occupazione turca sta prendendo di mira i giornalisti, cercando di coprire i suoi crimini».

In nome della propria sicurezza e sulla base di prove non verificate dalla comunità internazionale la Turchia ha aggredito. Anche a Kobane c’è chiaramente un aggredito e un aggressore. Solo che in questo caso l’aggressore è un Paese Nato ed è uno dei migliori clienti dell’industria delle armi italiana.

Ora che si fa? L’evento è significativo. Si potrebbe organizzare un aperiguerra a Milano e urlare la necessità di armare il più possibile gli aggrediti. Ci ritroveremmo nella situazione di spedire armi a un Paese che si difende dalle armi che noi abbiamo venduto all’aggressore. Lo vedete il tilt?

Qualcuno è riuscito anche in una situazione del genere a dare addosso ai “pacifisti”. I pacifisti (di cui tutti parlano ma che in pochi hanno ascoltato) risponderebbero sempre allo stesso modo poiché da sempre tengono la stessa linea senza modificarla in base all’amicizia con una delle parti. Chiederebbero una pressione internazionale per un cessate il fuoco immediato (e con la Turchia è molto più facile che con la foga assassina di Putin perché la Turchia senza i soldi dell’Europa rimarrebbe molto prima in mutande) e chiederebbero che non si usino le armi per risolvere una tensione tra Stati.

Ora basta osservare gli eventi per notare limpidamente l’ipocrisia.

da qui

 

 

 

SINISTRA, PACE, POLITICA ESTERA – Franco Astengo

 

In questa fase di estrema incertezza è necessario avviare, almeno a sinistra, una riflessione sui temi di fondo con lo scopo di recuperare identità e capacità di progettazione politica.

Nella direzione che si è appena cercato di indicare,il tema della pace della politica estera appare quello decisivo ma anche il più complesso da analizzare.

Due elementi vanno presi subito in considerazione:

1) L’esito (positivo, sul campo) della manifestazione per la pace del 5 novembre ha lasciato comunque intatta la questione del deficit di risvolto politico;

2) L’elaborazione delle linee di politica estera portata avanti da un gruppo di lavoro del PD che ha prodotto il documento “valori e interessi per una nuova politica estera del PD” ha posto in rilievo elementi di ritardo nella valutazione di ciò che si sta muovendo in relazione agli sviluppi degli eventi bellici in Ucraina e conseguenti risvolti diplomatici.

Il testo del documento redatto dagli esperti del PD appare ,infatti, ancora ancorato alle idee di multilateralismo e di globalizzazione che in questo momento appaiono in forte difficoltà, in un quadro generale di sottovalutazione degli spostamenti d’asse in corso, in particolare nel quadro europeo.

Sono in discussione punti fondamentali:

  1. a) E’ in atto un tentativo di far coincidere l’UE con la NATO;
  2. b) Nella logica di ricostituzione dei blocchi (analizzo con l’accetta, ma è per fornire un senso della direzione di marcia) si sta lavorando per un nuovo assetto dell’Unione Europea fondato sulla relazione diretta tra USA e gruppo di Visegrad (Polonia in testa). E’ da questo punto che arriva il maggior pericolo di conflitto globale;
  3. c) ciò che è descritto nel punto b) sembra rappresentare la cifra di riferimento della maggioranza del governo italiano (che al riguardo non è unanime).

Cosa si può opporre a questa strategia:

1) Prima di tutto la proclamazione dell’obiettivo di una “Pace senza aggettivi” che parta dall’immediato “cessate il fuoco” in Ucraina e dall’intervento dell’ONU;

2) La considerazione del terreno europeo come punto di riferimento dell’azione politica e dell’internazionalizzazione dei movimenti pacifisti anche attraverso la realizzazione di momenti di confronto nei quali discutere di iniziative comuni (viene sempre in mente l’esempio delle conferenze di Zimmerwald e Kienthal svolte dai socialisti pacifisti durante la prima guerra mondiale);

3) L’apertura di un chiaro fronte dialettico tra UE e NATO attraverso l’elaborazione di proposte concrete come,ad esempio, quello di una zona denuclearizzata e smilitarizzata al centro del continente europeo.

 

 

Conferenza stampa davanti le prefetture di Trieste e Pordenone, per il rilascio dei Piani di emergenza in caso di rischio nucleare alla base di Aviano e al porto militare di Trieste

 

La Tavola per la Pace del Friuli Venezia Giulia e il Comitato di Liberazione Nazionale di Pordenone hanno esposto congiuntamente oggi 24 novembre, davanti al Commissariato del Governo di Trieste e alla Prefettura di Pordenone, le motivazioni del sollecito ai rispettivi Prefetti a rispondere alle richieste di rilascio dei Piani di emergenza nucleare per la base di Aviano e il porto di Trieste, inviate loro le scorse settimane.

 

Durante la conferenza stampa è stato presentato il Corteo contro la Guerra, promosso sabato 26 novembre a Trieste dal Coordinamento no green pass; la cui immagine sul volantino promo (allegato alla presente in italiano e sloveno) evoca l’Olocausto nucleare. E sono stati esposti i pannelli del “Duran Adam” antinucleare promosso in tutta Italia dal Comitato di Liberazione Nazionale.

 

Alla presentazione stampa hanno aderito gli Studenti contro il green pass di Trieste, l’associazione Fronte della Primavera triestina, Europa Verde Friuli Venezia Giulia e Costituzione in Azione di Udine.

 

Nel 2017, ben 122 Paesi delle Nazioni Unite hanno approvato il nuovo Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, entrato in vigore il 21 gennaio 2021 e ratificato da 68 Stati.

 

E’ nota, da fonti governative e giornalistiche, la sostituzione delle bombe nucleari B61 dislocate ad Aviano con le B61-12, dotate di supporto missilistico e la cui potenza si regola in 4 valori, il più piccolo dei quali è 30 volte maggiore degli ordigni convenzionali. Una bomba nucleare adatta all’uso sul campo di battaglia – il nostro? – che rompe un “tabù”, avviando un’escalation e aumentando il rischio di divenire bersaglio nucleare per forze ostili.

 

Considerata la guerra in atto nella vicina Ucraina e le tensioni mai spente nei Balcani, è palese la preoccupazione per lo stato di pre belligeranza di Unione Europea e Italia verso la Russia. Si chiede pertanto al Prefetto di Pordenone, di promuovere la redazione urgente dei Piani di emergenza esterna relativi alla base aerea a capacità nucleare di Aviano, e di avviare il monitoraggio delle radiazioni al suolo e nell’aria per alcuni chilometri, sul territorio circostante.

 

Nonché di informare di concerto con gli Enti Locali e l’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione, la popolazione sui rischi inerenti la presenza e l’attività nucleare nella base, e le relative misure di protezione da adottare in caso di incidente attentato o atto bellico deliberato, che si dovesse verificare.

 

Sempre in Friuli Venezia Giulia, la città di Trieste è nell’elenco dei porti messi a disposizione dal Governo italiano per il transito e la sosta di navi e sommergibili da guerra a propulsione nucleare, di flotte “alleate” che potrebbero detenere ordigni nucleari a bordo.

 

Dopo ripetute richieste di Tavola della pace del Friuli Venezia Giulia, Associazioni ambientaliste e Sindacati la Prefettura di Trieste emise nel 2007 un Piano d’emergenza in caso d’incidente nucleare militare in porto, come imposto dalla Legge e le Direttive europee.

 

Piano che chiediamo di attualizzare alla luce delle nuove norme in argomento, contenute nella Direttiva Euratom 2013/59 recepita dal Parlamento italiano con Decreto Legge 31 luglio 2020 n.101, per quanto previsto all’art.185 “Piano di emergenza esterna per le aree portuali”; o di divulgare nel caso il Piano stesso o alcune sue parti siano state rinnovate.

 

L’Italia aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare, ma non è dato sapere se armi di distruzione di massa, la cui presenza è vincolata dal segreto, siano presenti sulle navi ospiti; inoltre, i reattori nucleari militari non sono sottoposti alle norme di sicurezza previste per gli impianti civili, fatto anacronistico in un Paese espressosi due volte contro il nucleare, per via Referendaria.

 

La Provincia di Trieste è stata il primo Ente locale a chiedere la derubricazione dall’elenco dei Porti nucleari nazionali, seguita dai Comuni di Sgonico/Zgonik, Muggia/Milje e Monrupino/Repentabor i quali, assieme a S.Dorligo della Valle/Dolina, Duino-Aurisina/Devin-Nabrezina e Trieste, hanno aderito alla 2020 Vision per un mondo libero da armi nucleari promossa dal Sindaco di Hiroshima.

 

Dopo l’adesione della vicina Repubblica alla Nato, anche il porto Sloveno di Capodistria, che insiste sul Golfo di Trieste, è divenuto scalo di transito per navi nucleari militari.

 

La novità nel Diritto internazionale, imposta dal citato Trattato ONU di Proibizione delle Armi Nucleari cui l’Italia non aderisce, per asseriti obblighi derivanti dall’Alleanza atlantica ci ha permesso di depositare, alla Conferenza Onu istitutiva dello stesso, la proposta di denuclearizzare il Golfo, coi porti di Trieste e Koper-Capodistria; proposta fondata anche sul Trattato di Pace del 1947 con l’Italia, del quale è Garante il Commissario del Governo. Trattato che sancisce la Smilitarizzazione e Neutralità del nostro Territorio.

 

Infatti, il Golfo di Trieste ospita due porti nucleari militari di transito in contrasto col Trattato di Pace. Mentre la presenza dei due centri urbani rende impossibile prevenire incidenti, rispetto alla propulsione nucleare delle navi, alla presenza a bordo di armi di distruzione di massa, alla possibilità di divenire bersaglio nucleare bellico. Basti ricordare i bombardamenti della seconda guerra mondiale e l’attentato alla Siot del 1972.

 

Inoltre, il segreto imposto “per motivi di sicurezza” su notizie necessarie a una puntuale informazione impedisce la corretta valutazione dei pericoli, costringe le istituzioni a omettere importanti conoscenze e nasconde le situazioni di pericolo alla popolazione.

 

Si chiede quindi al Commissario del Governo, la redazione urgente di nuovi Piani di emergenza nucleare militare per il Porto di Trieste in base al DL 101/’20; l’informazione alla popolazione sui rischi inerenti la presenza di naviglio nucleare militare in porto e sulle misure di protezione da adottare in caso di incidente, attentato o atto bellico deliberato. Di concerto con gli Enti Locali e l’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione.

 

Riguardo la stesura del Piano di emergenza, esso dovrebbe essere esclusiva competenza delle autorità italiane, con carattere vincolante per le navi ospiti. E’ importante che il Documento tecnico, di competenza del Ministero della Difesa, faccia riferimento alle procedure di emergenza delle navi ospiti in rada. Sono documenti militari, che devono essere messi a conoscenza delle autorità italiane al fine di predisporre un attendibile “Piano di emergenza esterna per le aree portuali“.

 

Altra richiesta, è che da subito si predisponga un monitoraggio periodico del livello di radiazioni al suolo per una profondità di alcuni Km, e un equivalente monitoraggio radiale delle acque marine per una distanza di 30 Km dal porto; per fissare il valore di fondo rispetto alle variazioni di radioattività con presenza di naviglio a propulsione nucleare, anche in condizioni non incidentali e in relazione allo stato delle correnti nel golfo.

 

La lettera al Prefetto di Pordenone è stata recapitata nella Giornata Onu contro le armi nucleari, dedicata al colonnello Petrov che salvò il mondo da un secondo Olocausto nucleare; e quella al Commissario del Governo di Trieste nel 1° anniversario della brutale repressione contro migliaia di pacifici dimostranti al Varco 4 del Porto, affinché atti simili di violenza non abbiano più a verificarsi.

Per gli organizzatori, Alessandro Capuzzo

 

Peace is the victory people need – STOP the war in Ukraine now!

Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF) is a feminist peace movement founded in 1915 to stop wars and prevent future wars by dismantling the causes of war and armed conflict. We work through solidarity in global networks of women and feminist activists, with old, new and creative methods and organize for peace, equality and justice for all.

 

The undersigned members and Sections of WILPF Europe express our support for all people and actors struggling to bring about an end to the brutal and illegal war in Ukraine with all the harm it is causing people, society, and the environment.

 

We appreciate the European Parliament’s efforts, in its resolution on Russia’s escalation of its war of aggression against Ukraine, to uphold respect for international law and democratic institutions through, inter alia, the condemnation of the sham referendums held by Russia in occupied Ukrainian territories, of involuntary conscriptions and violations of the Fourth Geneva Conventions, and of the recent Russian threats to use nuclear weapons as irresponsible and dangerous, and the recognition of the global consequences that any nuclear catastrophe would have for human life and the environment for decades to come.

 

Ending the war with minimal human suffering, deaths and harm must always be the highest priority. To this point, we express our deep concern regarding the highly militarized calls expressed in the resolution, too, among other things, increase military assistance and deliver weapons systems to Ukraine, train Ukrainian soldiers and “prepare a quick and decisive response should Russia conduct a nuclear strike on Ukraine”.

 

Militarization of societies, through high levels of military spending and underfunding of social goods, the glorification of conservative gender ideals of strong men as soldiers and caring women as mothers, and the idea that conflicts are best solved through violence and domination, are some of the root causes of war. The militarized focus of the calls of the European Parliament risks further increasing the very same militarism that has enabled Russia to start this illegal war in Ukraine.

 

Two wrongs don’t make a right. Russia’s unacceptable behaviour does not mean that others have to follow suit. The European Union has the opportunity to support the people of both Ukraine and Russia in their desires for peace and freedom.

 

We call on the European Parliament to:

  • Provide new and full support to civil society organizations and networks, especially those led by women or working for gender equality, peace, democracy and social justice in Ukraine, Russia, Belarus, and neighbouring countries, through increased and flexible funding, logistical support, removal of any travel restrictions and other support based on their expressed needs, to aid in their efforts to create the conditions for lasting peace and democracy in the region,
  • Call on all Member States to participate in the de-escalation of nuclear threats and risks by not participating in any activities preparing for the use, or threat of use, of nuclear weapons, such as NATO’s Steadfast Noon or any other nuclear capabilities exercises,
  • Call on all Member States to participate in the de-escalation of nuclear threats and risks by joining the Treaty for the Prohibition of Nuclear Weapons,
  • Ensure safe entry into the European Union by all refugees from Ukraine and Russia, including dissidents, conscientious objectors, and political activists, and provide permanent resident permits and resources for activists to continue their anti-war efforts from safe spaces within the European Union,
  • Bring together actors to prepare for inclusive peace negotiations that include civil society and gender equal representation, since this is proven to create more sustainable peace agreements, to ensure a readiness to bring an end to the war whenever an opportunity to do so appears.

 

WILPF was founded to bring about an end to the horrors of World War I and we have seen throughout our history how the continued militarism in our societies has led countries to the next war and the next. Training only soldiers and leaving civilians with no resources creates a country that only knows how to fight a war, not how to build peace. We have seen that investments in human security, people, and fair and equal societies are the best ways to prevent armed conflict. This is true even during an ongoing war, and we call on everyone to remember this in all their actions, for the sake of every human being.

 

Ariana Durani and Rosa Logar, European Regional Representatives to the WILPF International Board, in the name of our sections in Austria, Denmark, Finland, Italy, Netherlans, Norway, Spain, Sweden, Switzerland and the United Kingdom.

 

 

Nei giorni scorsi l’Assemblea parlamentare della NATO ha adottato la seguente risoluzione: 

“lo Stato della Russia, con il suo regime attuale, è uno Stato terrorista”.

Oggi il Parlamento europeo, a larga maggioranza, ha approvato una risoluzione con la quale riconosce

“la Russia come Stato sponsor del terrorismo…”

Con queste “terribili e incredibili risoluzioni” la strada della guerra ad oltranza alla Russia, senza se e senza ma, a tutti i costi, quanto costi non importa, è indicata con estrema precisione.

Gli USA e la NATO esigono lo scontro globale e frontale con la Russia.

L’UE, da parte sua, per l’ennesima volta, risponde, da suddito fedele e amorevole, signorsì!

Per la guerra totale è però indispensabile marchiare di terrorismo il nemico russo! Perché con il terrorismo non si tratta, non si scende a patti, ma va debellato, distrutto e basta!Ecco il motivo reale delle due risoluzioni!

In questo modo gli USA, con il loro “gioiello guerrafondaio”, la NATO, impongono la legge muscolare del più forte!

Come già successo più volte in passato!

Al riguardo cito come esempi illuminanti:

1) nel 1973 il colpo di stato in Cile, con il coinvolgimento degli USA, contro il presidente Salvador Allende democraticamente eletto. Allende fu ucciso e il Cile per molti anni subì la sanguinaria dittatura del generale Pinochet.

2) nel 2003 gli Stati Uniti, con l’appoggio dell’Inghilterra, iniziarono una guerra di aggressione all’IRAQ, giustificandola con una colossale serie di menzogne quali l’esistenza di armi di distruzione di massa e di presunti legami con la rete terroristica di Al Qaeda. Tutti i media occidentali riportarono le due accuse come prove inoppugnabili: tutto invece era clamorosamente falso! La guerra poi ha completamente distrutto il paese, lo ha fortemente destabilizzato ed ha provocato oltre mezzo milione di morti.

Ma questa volta gli USA e NATO, molto probabilmente, hanno fatto male i loro cinici calcoli egemonici (il mondo deve essere solo unipolare e sotto il dominio militare degli USA) e l’esito finale della guerra (la terza guerra mondiale, in versione questa volta pienamente nucleare) non avrà un vincitore (gli USA), ma soltanto tanti perdenti, tardivamente e inutilmente pentiti!

 

Noi che invece vogliamo la PACE subito! Sappiamo che la SPERANZA è l’ultima a morire e faremo tutto il possibile, perché la lungimiranza, la saggezza, la ragione e la logica della PACE abbiano infine a prevalere, malgrado tutto e contro ogni possibile Golia di turno!

EVVIVA LA PACE! ABBASSO LA GUERRA!

 

CORDIALI SALUTI di PACE 

Per il Comitato PACEsubito! (bg) il coordinatore Giuliano Donadoni

 

Redazione
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