L’uomo che sussurrava ai cavalli-vapore

Mondi bellicosi e invisibili reietti in Herbert George Wells, padre della fantascienza.

di Fabrizio Melodia, “Astrofilosofo”

«Gli uomini, infinitamente soddisfatti di se stessi, percorrevano il globo in lungo e in largo dietro alle loro piccole faccende, tranquilli nella loro sicurezza d’esser padroni della materia. Non è escluso che i microbi sotto il microscopio facciano lo stesso» (da «La guerra dei mondi», 1897).

Odore di vapore, fuori dalla casa, guardando verso il porto.

Un luogo operoso, ricco di movimento, bastimenti a vapore muovono le rispettive prue verso l’Atlantico, spinti da un fuoco poderoso.

Un uomo dall’aspetto comune, dai folti baffi, osserva il brulicare delle carrozze a motore, lo strombazzare sommesso, l’acciaio che ormai connota gran parte delle abitazioni londinesi.

Il futuro è alle porte, il mondo è nelle mani dell’uomo, la felicità è a un passo, sua ancella la scienza positivista, che connota ogni aspetto del reale.

La realtà è in movimento, le meravigliose sorti e progressive condurranno l’umanità verso il benessere, la felicità e la gioia.

L’esposizione universale a Parigi, le conquiste avvenute in poco tempo, in ogni luogo il Sapere pone se stesso, spazzando via a colpi di badile gli ultimi rimasugli dell’Antica Tradizione.

Le stelle… anche loro, da sempre ferme nel firmamento celeste, osservate per tanto tempo, agognate e bramate da filosofi e potenti, presto saranno conquistate e assoggettate alla Divina Scienza.

Il mondo cambia. L’uomo pensoso alla finestra, si liscia i baffi, depone gli occhiali, afferra la pipa e osserva ancora il tramestio che si dipana alla sua finestra cartesiana.

Vuole essere il cantore di quel mondo, desidera cantare il cambiamento che Madama Tecnologia sta apportando all’umanità e in ogni aspetto sociale e politico.

Ha paura di rimanere imbrigliato da una rete senza uscita, maglie troppo strette che potrebbero soffocare il suo discorso, un po’ troppo controcorrente all’attuale clima positivo instauratosi.

Deve trovare un sistema, uno stile, un qualcosa che possa aiutarlo a estrapolare filosoficamente il pensiero ma rendendolo palpabile con il garbo e la precisione di un sociologo, senza scatenare ire accademiche o incorrere in furenti ostracismi politici.

Herbert George Wells trovò il suo stile, dando corpo a una filosofia dura e di ferro, come i mostri di cui parla nelle pagine di uno dei suoi capolavori indiscussi, «La guerra dei mondi».

«L’amore per principio, l’ordine per fondamento, il progresso per fine» tuonava Auguste Comte nel 1852, quando sembrava che le meraviglie del Progresso, figlie della Ragione potessero assurgere a medicina di ogni possibile male.

Si scavano fiumi a colpi di dinamite, i battelli a vapore solcano gli oceani, la medicina compie passi da gigante nella chirurgia e nella farmacologia.

Tutto sembrava andare in ordine, procedere a gonfie vele spinto da un vento impetuoso, la Ragione pareva risolvere in pratica ogni problema sociale.

Il Positivismo divenne la Nuova Religione, di cui nessuno sembra mai sentir troppo la mancanza; gli esseri umani, si sa, hanno sempre necessità di avere qualcuno cui inchinarsi.

Ma a Herbert George Wells, classe 1866, questa imperante filosofia andava alquanto stretta: le sue convinzioni lo portavano a vedere più in là del velo che ricopriva di bello l’intero tessuto del reale, fatto di perbenismo e marciume abilmente nascosto.

Un velo d’ipocrita gioia che mascherava in realtà le forze brutali e violente della società, le quali non cessavano di pulsare mascherate da forze propulsive del Rinnovamento e dell’Evoluzione.

Wells aveva bisogno di parlarne, di estrapolare, di ipotizzare, di descrivere in concetti-immagine tutto ciò che ribolliva dentro di lui.

Sotto le sue mani, prendono forma gli incubi di un mondo migliore, con ampie venature marce nel progresso e le maglie d’impotenza di una rete troppo stretta, quasi cannibale.

La parabola del fondatore della fantascienza inizia quasi in sordina, con un romanzo che è un misto tra fantascienza e tematiche orrorifiche, «L’isola del dottor Moreau» (1896) allucinante vicenda di un insigne scienziato luminare in scienze della vivisezione, il quale opera innovativi esperimenti sugli animali dell’isola. Al naufrago sull’isola, il quale ci narrerà la triste vicenda, il dottor Moreau narrerà dei suoi esperimenti per umanizzare gli animali, attraverso innesti chirurgici pesanti e condizionamento ipnotico per stimolare il cervello. A un certo momento, il puma umano attacca il dottor Moreau, sbranandolo. E’ l’inizio della rivolta di tutti gli animali dell’isola sottoposti al trattamento. «Un animale può essere feroce e anche astuto, ma per mentire bene non c’è che l’uomo».

Dopo questo preludio, H. G. Wells, sicuro dei propri mezzi e del proprio pensiero, spinse il piede sull’acceleratore, gettando nel medesimo anno, le basi della fantascienza.

Nel romanzo «La guerra dei mondi», Wells descrive la prima, tremenda e devastante, invasione aliena, da parte di esseri provenienti da Marte, ispirandosi alle indagini sui canali marziani dell’astronomo Schiaparelli. Le creature, simili a piovre grosse quanto un orso, giunte sulla terra a bordo di razzi vettori, costruiscono sul luogo dell’atterraggio giganteschi mezzi meccanici a tre gambe, simili ai carri armati terrestri che verranno impiegati nel primo conflitto mondiale, dotati di devastanti raggi di calore simili al laser e di fumo nero altamente tossico, con il quale attaccheranno l’intera città di Londra.

L’esercito viene spazzato via e gli alieni prendono gli umani per cibarsi del loro sangue, mentre una pianta rossastra, del tutto simile a un’erica infestante, si espande per tutta la terra, segno che è in atto l’adattamento della Terra alle proprie esigenze fisiologiche.

Quando ormai tutte le difese sono state neutralizzate, dopo molti sapienti ritratti di follia collettiva e individuali, alla fine gli alieni vengono sconfitti da un nemico tanto piccolo quanto insidioso: i microbi, cui gli umani sono immuni. «E prima di giudicarli troppo pesantemente, dobbiamo ricordare quale crudele e estrema distruzione la nostra stessa specie ha imposto, non solo su animali, come gli ormai estinti bisonte e dodo, ma sulle sue razze inferiori».

Più intimi ma non meno problematici i dilemmi de «L’uomo invisibile» (pure del 1987) in cui il brillante e solitario scienziato Griffin, genio della fisica e della meccanica, scopre un siero che gli dona l’invisibilità. Purtroppo, inebriato dal successo e dall’illusione dei riconoscimenti che gli sono sempre stati negati, Griffin si renderà conto a sue spese che la sua geniale invenzione lo rende un diverso, un mostro agli occhi di chi non lo vede. Ora che è davvero invisibile agli occhi della società, disperatamente cercherà di recuperare quella normalità per reinserirsi. Non riuscendoci, arriverà a odiare gli uomini che prima lo avevano deriso, considerandoli inferiori rispetto alla sua intelligenza e degni di essere soggiogati.

La parabola si conclude con «La macchina del tempo», sconcertante storia del suo inventore e del suo tentativo di fuga da una società che lo emargina. Egli narra le sue peripezie alla platea dopo il suo viaggio avanti nel futuro, fino all’anno 802.701. La società è divisa in due caste, gli Eloi e i Morlocchi. I primi sono creature deboli, gentili e civilizzate, allevate dai Morlocchi, mostruosi e brutali, in vista di nutrire questi ultimi. Dopo varie peripezie per recuperare la macchina del tempo, il narratore sopravviverà all’attacco dei Morlocchi, per poi partire per una nuova epoca, che si rivelerà essere la fine dei giorni della Terra, quando le uniche forme di vita superstiti saranno crostacei e molluschi. Ritornato nella propria epoca, ripartirà poi per un altro tempo, senza più fare ritorno. «Suppongo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l’attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità».

Herbert George Wells ha tracciato un affresco senza paragoni: è la materializzazione di un incubo a occhi aperti, fatto di alterità e incomprensione, un inno alla solitudine e alla natura bestiale e violenta che risiede nell’essere umano, oltre la maschera del perbenismo e della Ragione Progressista, che trova nella Tecnica la panacea di ogni male.

«Quando, esplodendo passionalmente, gli istinti più alti e più forti sospingono l’individuo di gran lunga al di là e al di sopra della media e della bassezza della coscienza del gregge, perisce nella comunità la coscienza di sé, si spezza la sua fede in se stessa, per così dire la sua colonna vertebrale: per conseguenza, proprio questi istinti vengono stigmatizzati e denigrati. L’alta spiritualità indipendente, la volontà di far parte per sé, la grande ragione vengono già sentite come pericoli; tutto ciò che solleva l’individuo al di sopra del gregge e fa paura al prossimo, viene da ora in poi detto cattivo: ai principi di equità, di modestia, di integrazione sociale, di uguaglianza, alla mediocrità dei desideri, vengono conferiti nomi e oneri morali»: così Friedrich W. Nietzsche in «Al di là del bene e del male» (a cura di S. Giametta, Bur Rizzoli, Milano 1992, sezione V, aforisma 201, p. 155).

Wells sembra proprio rappresentare in pieno con le sue sapienti metafore l’apoteosi di questo pensiero, espresso in modo così chiaro da Friedrich Nietzsche, suo contemporaneo, morto prematuramente a causa di una sifilide contratta durante il servizio militare.

La paura di cui parla Nietzsche, il denigrare lo spirito forte, essenzialmente violento e soverchiatore, trovano nell’uomo invisibile, nelle bestie forzate a diventare umane, negli alieni, la piena e compunta espressione.

L’uomo invisibile è un reietto, una persona che viene denigrata dai suo consimili della “società buona”, di cui l’aurea mediocrità costituisce l’essenza: infatti è rispettosa delle leggi, delle convenzioni e di tutti quegli atteggiamenti placidi e tranquilli, che sono il fiore all’occhiello della Ragione e della Tecnica benefica.

Griffin vuole realizzare il sogno di avere qualcosa in più dalla vita, vuole affermare se stesso, raggiungere il riconoscimento del proprio genio, non per sopraffare gli altri, o almeno così pensava. Diventare invisibile determina la sua discesa all’Inferno, sancisce la definitiva morte agli occhi della società e la sua totale impossibilità a condurre una vita felice e piena di valore. La Ragione spinta dal vento della Presunzione ha condannato Griffin alla morte agli occhi del mondo e di se stesso, disperatamente alla ricerca di un sistema per invertire il processo.

Dopo vari tentativi fallimentari, Griffin arriverà alla totale “pazzia”, a odiare gli esseri umani, giudicandoli inferiori al suo genio e quindi degni solo di essere dominati da lui, Oltre Uomo.

«Il tipo del delinquente felice: è il tipo dell’uomo forte in condizioni sfavorevoli, un uomo forte reso malato. Gli manca l’ambiente selvaggio, una certa natura e forma d’esistenza più libera e pericolosa, in cui tutto quanto è arma di difesa e offesa nell’istinto dell’uomo forte abbia forza di diritto»: ancora Nietzsche in «Crepuscolo degli idoli, ovvero come si fa filosofia col martello» (a cura di S. Giametta, Bur Rizzoli, Milano 1998, “Scorribande di un inattuale”, aforisma 45, pag. 132).

Griffin diventa un delinquente felice, che usa la sua invisibilità come una potente arma, che gli conferisce un diritto il quale altrimenti verrebbe completamente negato dalla Società, il diritto a essere riconosciuto come tale, forte e vitale.

Una Società che lascia nell’ombra e nella totale ipocrisia i suoi figli, una matrigna che nega la natura della vita, che nega amore e passione come elementi fondamentali dell’esistenza. Una vita che considera i suoi figli solo se essi non fanno nulla di male, buoni e tranquilli accettano supini le pastoie e i costrutti appositamente realizzati per contenerli, come i recinti per le bestie da macello.

Il destino del dottor Moreau mette in luce completamente questi concetti, come appunto la Ragione realizzi se stesso solo nella sopraffazione che la Tecnica consente di attuare, ponendo al massimo grado e in modo inconscio la volontà di potenza, la volontà di sopraffare l’altro, essenza stessa di questo agire.

Le torture perfettamente tecnologiche condotte da una scienza medica dimentica dei comandamenti di Dio, visti come ipocrite pastoie, vogliono solo rendere cristallizzata la menzogna sulla bontà intrinseca della natura umana, cui tutto il Creato deve necessariamente uniformarsi, volente o nolente. Gli animali sono trasformati in umani, per poi ritrovare la strada alla bestialità in modo feroce e definitivo, portandosi appresso il fautore di questa brutalità, il medico scienziato, il quale non riesce ad affermare il dominio della Ragione sulla parte più caotica del mondo, che ancora gli rimane preclusa, presente e incombente.

Come predominante rimane la presenza terribile degli alieni, i quali conquistano l’umanità per cibarsi del sangue dei suoi abitanti, un vampirismo cannibale che rappresenta per ammissione dello stesso Wells la ferocia del colonialismo britannico, ammantato dall’aura civilizzatrice occidentale, in realtà bieco sfruttamento della forza lavoro e territoriale umana, che ancora oggi trova nelle speculazioni dei poteri mafiosi la massima espressione.

«La vita stessa è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, incorporazione e perlomeno, nel caso più moderato sfruttamento. […] Lo “sfruttamento” non appartiene a una società corrotta o imperfetta o primitiva; appartiene all’essenza del vivente come funzione organica fondamentale, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà di vivere»: è sempre Nietzsche, in «Al di là del bene e del male» (a cura di S. Giametta, Bur Rizzoli, Milano 1992, sezione V, aforisma 259, pag. 248).

Con buona pace di chi afferma che nessuno più al mondo dovrà essere sfruttato, Wells e Nietzsche affermano chiaramente che la società scientifica tanto ragionevole ed etica non lo è per sua stessa essenza; la Ragione è sopraffazione, è guidata dalla volontà di vivere, la quale afferma se stessa in tutta la propria personalità.

La lotta per la sopravvivenza dunque è un’evoluzione nel tempo, i valori si determinano storicamente nel dipanarsi in ciò che viene chiamata civiltà. Gli alieni, appunto la forza altra della Volontà di Potenza sostenuta dalla Tecnica, possono essere sconfitti solo da una forza parassitaria da cui gli umani sono immuni, i microbi. Temo che metafora più abrasiva e sincera non potesse essere trovata, gli esseri umani sono dipinti come parassiti che s’insinuano in questa forza vitale e la portano alla morte inesorabile.

La mediocrità e l’ipocrisia vincono sempre, a quanto pare, è l’amara denuncia di Wells, il quale indaga con la fantascienza le stesse tematiche affrontate dal punto di vista filosofico da Nietzsche in modo poetico, appunto con una menzogna.

Si usa menzogna per distruggere la menzogna, come un veleno distrugge il veleno, il fuoco si combatte con il fuoco.

I Morlocchi divorano gli Eloi, esattamente per affermare questo principio, che la Ragione, la quale appare debole e bella, viene divorata e abusata dalla volontà caotica e brutale.

Il viaggio nel tempo del narratore rimane impresso nella nostra mente come la voce di Wells, per il quale nessun uomo potrà facilmente trovare una via alla pace e alla fratellanza universale, se prima non si comprendono e si accettano le basi brutali dell’essenza del vivente.

E il salto nel tempo, dove alla fine nessuno sopravvivrà alla fine della stella che ci riscalda, la dice lunga sulla visione a lungo termine dell’uomo che creò la fantascienza e che come Zarathustra o l’Uomo Folle parlò senza essere ascoltato alla folla degli uomini che in realtà non credevano in Dio.

Un mondo senza più valori, caotico, prepotente e assimilante.

BREVE NOTA SU QUESTA SERIE

Asimov, Moebius, Ursula, ora Wells. Per qualche martedì (tanti come i grane.lli della sabbia?) Fabrizio Melodia detto “Astrofilosofo” disegnerà i profili di autori e autrici che hanno allargato il nostro sguardo sugli spazi e sugli altroquando interni, esterni, possibili e impossibili, insomma sulle fantascienze. Si continua dunque fra 7 giorni, non mancate. (db)


Redazione
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Un commento

  • Trovo un attimo di tempo (ahimè, meno di quel che mi servirebbe) per dialogare con questo eccellente ritratto filosofico di Astro-Fabrizio.
    Mi interessa fare due veloci considerazioni.
    La prima è che Wells (come molti altri sedicenti “socialisti” o progressisti) era piuttosto reazionario e razzista. Chi vuole rileggere con questi occhi “La macchina del tempo” capirà che i proletari ridotti a bestie sono un incubo classista. Questo non ha impedito a Wells di scrivere grandi romanzi ma noi oggi possiamo anche rifiutarne la parte politica o rovesciarla…. come fece John Varley in “La persistenza della visione” che riscrive il wellsiano “Nel paese dei ciechi” (questo il titolo italiano mi pare, ora non ho modo di controllare).
    Seconda considerazione. Nel passaggio fra ‘800 e ‘900, negli sconvolgimenti della tecnica e poi del social-politico si annuncia la fine di un mondo e naturalmente c’è chi, anche nel segmento della science-fiction nascente o delle utopie, ha paura del nuovo e chi tifa per la rivoluzione. Sarebbe un discorso lungo e magari tenterò di farlo ma per ora consiglio… non un romanzo di fantascienza ma un libro che ha anche pagine straordinarie sulla science fiction. Sto parlando di “SEI MORTO” dello svedese Sven Lindqvist (Ponte alle grazie 2001, ma poi forse è uscito in economica) con il doppio sotto-titolo: “Il secolo delle bombe” e “Labirinto con 22 ingressi e nessuna uscita”; vedrete che di fantascienza e razzismi si parla di continuo e, a me pare, con saggezza.
    Infine, nel ringraziare di nuovo Fabrizio, vorrei dirgli da fanta-amico che io non sono del tutto pessimista e dunque interpreto la sua frase “Con buona pace di chi afferma che nessuno più al mondo dovrà essere sfruttato” in questo modo: se usciremo dalla preistoria umana, quando andremo incontro al sovra-uomo nicciano, sarà perchè la volontà di potenza non si indirizzerà più sul dominio-guerra e sulla violenza dello sfruttamento. Metter fine all’arbitrio degli esseri umani sui loro simili resta un (difficile ma praticabile) buon programma.

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