Ma che non lo sapete cos’è il «babbìo»?

Viaggio, attraverso un prezioso manoscritto, nella lingua e nelle abitudini dei siciliani

di Lella Di Marco

Lella-teatroMassimoPalermo

Mi sembra azzardato parlare di siciliani, forse è più corretto riferirsi a palermitani, trapanesi, catanesi, ragusani … quando si vuol parlare del loro dialetto, abitudini etc. Non sono frammentati . E’ la loro natura-identitaria. Le molte invasioni straniere subite o vissute in pacifica convivenza sono ancora visibili e non solo nella lingua.

Il BABBIO, a esempio, nel palermitano è di casa: si babbìa per scherzare, per offendere, per spruzzare veleno, per fare ironia malevola o semplicemente per giocare con i pensieri, usando parole diverse o meglio che non corrispondono a ciò che si pensa.

Questo è chiaro a chi “babbìa”, non sempre al suo interlocutore il quale, se non è palermitano, rimane destabilizzato, incredulo e forse anche turbato. Se è palermitano e comprende, risponde «ma chi fai babbii?». E così il trucco è scoperto.

L’origine della parola è ancora oggetto di ricerca: forse greca, forse latina o addirittura araba. Linguaggio popolare e anche colto. Comunque penso sia stato un metodo, inventato sapientemente, per sfuggire al controllo, alle censure, alle punizioni… Con tanti padroni che andavano e venivano e non certo per turismo.

Io me ne sto occupando, sia perché il BABBIO mi appartiene per provenienza geografica e lo pratico divertendomi… e poi perché trafficando fra vecchi libri mi sono imbattuta, con mio grande piacere, in un vecchio e prezioso manoscritto pubblicato agli inizi del ‘900 e oggi introvabile .

Il riferimento è a un discorso «IL BABBIO ATTRAVERSO I SECOLI», tenuto da Luigi Natoli – accademico palermitano di chiara fede repubblicana – in una manifestazione al teatro Massimo di Palermo, a un anno dal terremoto del 28 dicembre 1908 che – alle 5,30 di quella mattina – in soli 40 minuti di scosse telluriche con onde marine altissime, distrusse la città di Messina e fece contare centomila morti.

Palermo era ancora in lutto quando, anno dopo, Luigi Natoli decise di parlare agli abitanti della città, dialettofoni o no, che il BABBIO ben conoscono. Per gli intellettuali e per i governanti che solevano frequentare il teatro, l’organizzazione della serata fu consona alla sua figura di pensatore, intellettuale raffinato, storico apprezzato, dentro e fuori l’accademia. Il discorso, ben strutturato scientificamente, fu una vera “ bomba” e nelle diverse pieghe si rivelano la sua chiave interpretativa e l’obiettivo cui arrivare.

Natoli prende le mosse dalla ricerca etimologica, poi da quella filologica per arrivare ai significati, usando il suo percorso ludico-etimologico-politico per dire che ci sono forme di BABBIO di cui la storia deve occuparsi, come quelle messe in atto dai governanti ai danni dei “governati”. Così ci sono forme di BABBIO velenose, crudeli, disastrose: da denunciare, contrastare, respingere. Per scoprire babbìature e babbìatori di ogni genere e statura: nella filosofia, nella religione, nella politica, nel governo delle grandi nazioni del mondo, nei piccoli Stati e perfino nelle città come Palermo.

Ho trovato di grande lucidità e profetica l’ultima pagina de «Il babbìo attraverso i secoli» e per tale motivo la ripropongo. Ci può aiutare a riflettere, lungi da ogni tentazione di nikilismo o di appiattimento del pensiero

«… Tutta la nostra vita civile non procede se non babbìando. Non abbiamo mai pensato ad educare e ad abituare alla vita politica le masse, non abbiamo grandi industrie né grandi agglomerazioni operaie, non abbiamo grandi traffici, non sappiamo creare quelli che i nostri prodotti e i nostri mezzi ci consiglierebbero; e tuttavia costituiamo circoli politici, camere di lavoro, industrie inutili.

In una cosa soltanto non si babbìa : nella mancanza di ogni culto per i nonni che sono il nostro vanto, la nostra gloria, il nostro decoro… così è, noi non facciamo altro che BABBIARE.

La città non ha tante beccherie quanti ha invece magazzini di cravatte , colletti, cappelli, scarpe, abiti… Il peggio è che quelli che non dovrebbero, giungendo qui, rimangono travolti dalla corrente.

Sbarcando al molo, smontando alla stazione, prefetti, questori, commissari regi, magistrati, commissioni d’inchiesta, vedono volteggiare nell’aria le famose parole: QUI SI BABBIA e babbìano e il governo che li manda non chiede di meglio perché guai se dovessero fare sul serio.

E così i malandrini passeggiano indisturbati e accoltellano i cittadini, la mafia continua le sue gesta, i ladri scassinano le botteghe, le amministrazioni pubbliche imbrogliano, le cose vanno in rovina, e le autorità … BABBIANO.

E LE COSE SI TRASCINANO MISERAMENTE … FRA UNA BABBIATA E L’ALTRA.

Riepilogando.

Si BABBIA al governo,nelle prefetture nei municipi, al Vaticano e a Corte , nelle aule dei tribunali e nelle chiese, nei comizi, nelle camere del lavoro, nei circoli, nei gabinetti. Babbìano i deputati socialisti, monarchici e repubblicani, maestri, artisti e letterati; babbìano i banchieri, babbìano gli uomini e le donne da ogni luogo, da qualunque istituzione…

La babbìata penetra, guizza, serpeggia, trasforma, conquista, adatta .Va, vive, dice come Allah, come Javè, come Brama: IO SONO.

Babbìata il patriottismo, babbìata il disinteresse, la elemosina alle chiese e i comitati di beneficienza , gli istituti di don Bosco, i ricreatori, l’invenzione di santo Espedito, i concorsi, i monumenti, i banchetti, le conferenze . UNA BABBIATA, GENTILI SIGNORE E SIGNORI, IL VOSTRO INTERVENTO. UNA BABBIATA, LA PEGGIORE DI TUTTE, LA BIRBONERIA CHE IO HO QUI COMMESSO OGGI».

 

Redazione
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2 commenti

  • domenico stimolo

    Così, di getto…per passione.

    L’intelletto umano è uno strumento molto fino, interclassista di fatto. Non conosce censi e “nobiltà” etichettate che abbiano il monopolio dell’uso. Lo “babbiamento” rientra pienamente in questa considerazione.
    Ricordo, da catanese, per avere frequentato gli ambiti palermitani nella mia ex (lunga) esperienza lavorativa e sindacale, che il termine “babbiare” era molto in uso nel gergo diffuso e popolare. Di certo, suppongo a ragione, è ancora così.
    Un “gioco” linguistico alquanto sofisticato nella sfida dell’intelletto. Infatti, “babbia” Chi ironizza deliberatamente per scherno o scherzo, pur sapendo –l’interlocutore – che chi pratica quest’arte dialettica, lo fa per scienza d’uso o non per ignoranza, lo fa per “prendere in giro…o per il “…..non riferibile”.
    ( Azzardo) più in uso in città che non nel resto del vasto territorio del palermitano.

    Forse più un “gioco” lasciato alle povere e sfruttate classi subalterne, giusto per far prendere magra rivincita quotidiana.

    Rifletto sul pezzo dell’intervento di Luigi Natoli nel 1909 come riportato da Lella di Marco.
    Certò, anche lui “babbiò” dal palco del comizio, per vezzo, per nobiltà di censo?

    Però, in quella fase storica, molti siciliani che non vollero essere più servi, non vollero più “babbiare”. Lo dimostrarono con i fatti, pagandone fino in fondo le nefaste conseguenze impartite dal Potere in auge.
    Al di la di tanti altri fatti, lo dimostro l’esperienza di lotta dei Fasci Siciliani nell’epopea che si consumò in Sicilia ( e in tutto il palermitano) tra il 1891 e il 1984.
    Centinaia di migliaia di siciliani, gli struttati di sempre: specie contadini, zolfatari, umili artigiani, uomini e donne, i senza nulla, soli con la propria fame e disperazione, non “babbairono” più!

    Sfidarono i nobili, i proprietari feudali, i mafiosi, il Potere regio che mando l’esercito per la repressione.
    Non sempre si è “babbiato”.

  • Grazie per le nuove parole sulla babbiatura ; ci vendichiamo sui toscani o quali (avrebbero inventato l’italiano) AVREBBERO ! LA PAROLA: BABBIARE la usiamo anche in provincia di Foggia MA BABBIATO POTRA’ DIVENIRE UN AGGETTIVO ?

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