Mafie dei pascoli, territori che non ci appartengono più

Intervista alla professoressa Lina Calandra sullo studio che ha documentato la presenza mafiosa nei pascoli dell’Abruzzo.

di Alessio Di Florio (*)

 

 

foto gentilmente fornita dalla professoressa Lina Calandra

L’utilizzo dei fondi europei in Italia e le mire delle mafie sono entrati nel dibattito pubblico dopo la pubblicazione di un articolo su Die Welt in Germania, da diverse settimane ci sono molti allarmi sulle predazioni della mafia nella crisi economica e nella gestione del post emergenza sanitaria come abbiamo raccontato in vari articoli e nelle interviste con Antonio Ingroia e Catello Maresca.

Le mafie si infiltrano e deviano l’economia nei settori più diversi, non solo noti come l’azzardo, l’usura, il riciclaggio, l’edilizia, il ciclo dei rifiuti o gli appalti. Tra i settori meno noti ci sono i pascoli, a gennaio un’imponente inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia di Messina ha coinvolto l’Abruzzo.

I magistrati siciliani hanno documentato lo sfruttamento da parte del gruppo mafioso dei Batanesi di terreni intestati fittiziamente nei comuni abruzzesi di L’AquilaBariscianoOfenaPettorano sul GizioCrognaletoCortinoValle CastellanaRocca Santa MariaIsola del Gran SassoCaramanico e Castel del Monte.

«Un’organizzazione criminale – ha scritto il gip di Messina Mastroeni nell’ordinanza al termine dell’operazione giudiziaria – che non costituisce ricchezza per il territorio, non sviluppa agricoltura e pastorizia, ma fa ditte di carta, ingurgita profitti milionari, che come tutti i profitti di mafia spariscono e niente lasciano alla gente, al territorio, alla vera agricoltura e pastorizia».

Abbiamo intervistato la professoressa Lina Calandra della Facoltà di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila sulla presenza della mafia dei pascoli in Abruzzo da lei documentata nelle ricerche universitarie condotte con alcuni studenti in questi anni. Anche nei mesi precedenti e l’anno successivo alla terribile estate 2017 degli incendi a Campo Imperatore e sul Monte Morrone e alcune risposte alle interviste realizzate sul territorio la professoressa Calandra non esita a definirle inquietanti.

Come è nata la ricerca universitaria ed è approdata alla mafia dei pascoli?

«Non siamo partiti dalla mafia dei pascoli anche perché avevamo avuto solo alcuni segnali della sua presenza soprattutto lavorando nei territori dei parchi nazionali abruzzesi dove il rapporto uomo-ambiente, in particolare per la presenza di fauna selvatica e di vincoli, presenta peculiarità particolari e anche delle conflittualità. Avevamo raccolto solo delle specifiche indicazioni in uno studio nel Parco Gran Sasso-Monti della Laga in occasione di un progetto europeo sulle praterie: durante questo progetto condotto dalla nostra facoltà universitaria di scienze umane nel quale ci siamo occupati di una consulenza nell’ambito del processo partecipativo previsto nel progetto finalizzato alla realizzazione di linee guida per la gestione dei pascoli. Durante questo progetto sono accaduti fatti che ci hanno lasciato perplessi con alcuni segnali ma non avevamo ancora del tutto delineata questa realtà. Tra il 2017 e il 2018 abbiamo condotto vari studi sul territorio per vari progetti, nel caso del parco Gran Sasso si chiamava «il territorio dei miei sogni» finalizzato alla redazione del nuovo piano quinquennale socio-economico del Parco. Erano i mesi successivi al terribile inverno della tragedia dell’hotel Rigopiano e il nostro obiettivo era fotografare la situazione del territorio e comprendere le visioni sul futuro che chiamammo i sogni del territorio. Durante le interviste sul campo per questo progetto abbiamo incontrato forti resistenze da parte di persone disilluse rispetto ai risultati dei precedenti progetti, in quest’ambito sono arrivate prime esplicite segnalazioni di persone che arrivavano e portavano avanti movimenti di bestiame poco chiari. Dopo questo periodo si interruppe la collaborazione con l’Ente Parco e il nostro lavoro finì per essere ignorato. In quel periodo alcuni organi di stampa diedero spazio a forti attacchi contro il progetto europeo precedente su questioni marginali mentre la regolamentazione dei pascoli, il vero nodo importante, non è mai stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica. Al termine della ricerca fu evidente la presenza di speculazioni, truffe e furti di bestiame , fatti da noi sempre raccontato negli otto incontri pubblici organizzati nell’estate 2018. Si è capito che c’era un sistema organizzato che non faccio fatica a definire mafioso durante le interviste nel Parco della Majella finalizzate alla redazione di un piano di comunicazione sull’orso per prevenire i conflitti con la presenza umana. All’inizio dello studio abbiamo subito espresso perplessità che il vero problema del territorio è la presenza dell’orso marsicano, gli episodi di uccisione di lupi o orsi e di animali morti fatti ritrovare appesi negli anni precedenti fece emergere che c’erano ben altri conflitti. E da lì che la convivenza con gli orsi e i lupi poteva essere migliorata lavorando sui pascoli, così dal 2009 si approdò al Life Praterie. Abbiamo così capito negli anni che c’erano attività criminali anche di stampo mafioso lavorando nel territorio dei comuni all’interno del Parco della Majella dove sono apparse molto più esplicite e numerose le segnalazioni di intimidazioni e minacce e di incendi dolosi di stalle. Ulteriori e chiare conferme le abbiamo avute successivamente durante le interviste sul territorio realizzate nella bassa e media valle del fiume Aterno. La prima pubblicazione di un articolo sulla testata online Virtù Quotidiane ci ha fornito l’occasione di dare maggiore risonanza e pubblicità a quanto era emerso nelle nostre ricerche universitarie».

Questo sistema si intreccia e si è nutrito di fondi comunitari a partire da quelli previsti dalla riforma della Politica Agricola Comune (PAC) nel 2005. Con quali meccanismi?

«Stupisce che non tutti gli agricoltori, anche da chi ha il dovere di farlo, siano stati informati adeguatamente su come poter beneficiare dei fondi della PAC. Al contrario da subito ci sono stati grossi gruppi pronti ad approfittarne e alla speculazione prima ancora del varo della riforma della stessa PAC. In quegli anni L’Espresso pubblicò una prima inchiesta in cui documentò l’esistenza di una cooperativa fittizia che cercava di accaparrarsi titoli di pascoli in Abruzzo. Soggetti organizzati che qua in Abruzzo hanno trovato prestanomi e interlocuzioni per ottenere titoli e certificazioni fittizie e di comodo per ottenere i fondi comunitari. Abbiamo avuto segnalazioni di vere faide paesane e di amministrazioni cadute per quanto succede intorno ai pascoli fino a vere pedine inserito da queste organizzazioni in consigli comunali di comuni molto piccoli. E quindi anche una sola persona può essere decisiva. Assistiamo a territori che non ci appartengono più, che sembrano non appartenere più alla Repubblica Italiana, alla democrazia e ai meccanismi dell’economia tradizionale. E mentre queste scoperte diventavano palesi ci sono stati volti che si sono trasformati, atteggiamenti mutati nei nostri confronti. Credo che sarà sempre più difficile che qualcuno ci proponga ancora di essere coinvolti per nuovi progetti. Quanto abbiamo scoperto mi ha rubato la bellezza di Campo Imperatore, ormai quando la vedo non riesco più a contemplarla».

Campo Imperatore è stato colpito nell’estate del 2017 da un gravissimo incendio la cui causa fu individuata all’inizio agli effetti di un barbecue non controllato. Durante le ricerche sul territorio avete avuto segnalazioni su quanto accaduto? Quali?

«Sinceramente non riesco a credere più negli incidenti, non ho ovviamente elementi precisi su quanto accaduto però posso riportare che durante alcune interviste quanto accaduto a Campo Imperatore fu messo in relazione con l’altro incendio sul Monte Morrone che è fuori da ogni ragionevole dubbio possa essere stato un incidente. Nei mesi precedenti registrammo un’intervista all’interno del Gran Sasso-Monti della Laga che non esito a definire veramente inquietante: una persona ci disse – riferendosi ai pascoli che secondo lui dovevano darglieli e che poteva pagarli – vedrete l’inferno che scoppierà quest’estate. Durante le interviste dell’estate 2018 diversi intervistati misero in relazione i due incendi, quali siano queste relazioni, chi e come può averne tratto beneficio ovviamente non possiamo saperlo».

In queste settimane si è tornato a discutere dell’utilizzo dei fondi europei e delle mire delle mafie, quale riflessione può trarre dalla vostra esperienza?

«Le emergenze e le gestioni del post emergenza, come abbiamo visto anche con il terremoto del 6 aprile 2009, sono situazioni che amplificano quello che è già in atto. È facilmente immaginabile che se e quando ci sarà un post emergenza coronavirus accadrà lo stesso in una situazione che appare fortemente incancrenita. Non solo per quanto riguarda i pascoli ma anche per tanti altri settori finanziati anche con fondi europei».

A chi non ha ancora conosciuto il sistema della mafia dei pascoli come lo definirebbe?

«È difficilissimo racchiuderlo in poche parole, è tutto un sistema messo in piedi in cui nulla è lasciato al caso per accaparrarsi fondi pubblici. Il problema vero è che per intascarsi questi fondi non crea economia vera e scatena sui territori un putridume a più livelli. La mafia dei pascoli è quel sistema che quando guardi le nostre bellissime montagne ti impedisce di riempirti di meraviglia perché provoca angoscia pensando alle aziende che muoiono o si piegano ai ricatti. Ma non dobbiamo vedere tutto nero, ricordo la bellissima intervista di una ragazza che disse di non vedere in questo territorio il suo futuro ma che se ne occuperà sempre pronta ad andare ovunque diventare magistrato non potendo accettare quel che accade.

la foto è gentilmente fornita dalla professoressa Lina Calandra

 

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