Mamma le turche: Fatto (o pregiudizio) quotidiano?

di Murat Cinar

Leggo spesso con piacere gli articoli pubblicati dal Fatto Quotidiano, che considero un giornale valido, fatto – con cura ed attenzione – da giornalisti e non da “imbrattacarte”. Domenica ho letto un articolo che, contrariamente alle aspettative, ha suscitato in me non poche perplessità, amplificate dal fatto che, oltre alla cittadinanza italiana, ho mantenuto la cittadinanza della Turchia, mio Paese natale, ma soprattutto perché, da anni, cerco, da giornalista indipendente, di promuovere l’informazione con lo scopo di combattere i pregiudizi e gli stereotipi. Già… l’articolo, intitolato Turchia, donna decapita il suo stupratore e ne getta in piazza la , che è stato rimosso dalla pagina online (ma su internet è ancora possibile trovare le sue tracce), mi ha deluso perché ha lo stesso sapore di quelli che, attraverso la disinformazione, fomentano la crescita di pregiudizi.

A prima vista, il pezzo contiene una semplice notizia di cronaca, liquidata con approssimazione. Dopo una ricerca approfondita, basandomi su diverse fonti in lingua, capisco meglio l’episodio.

Il marito della signora Nevin Yildirim, circa otto mesi fa, si trasferì in provincia di Antalya, nel Comune di Demre, per lavorare in una cava. Nevin, 26 anni e madre di due figli, rimase nella loro casa, al villaggio di Korukaya, nel distretto di Yalvaç, che fa parte della città di Isparta. Dopo tre mesi, un uomo, Nurettin Gider si introdusse con la forza in casa di Nevin e, armato di pistola iniziò ad abusare di lei ripetutamente e periodicamente. Un mese e mezzo fa, Nevin scoprì di essere incinta del suo violentatore e si rivolse all’ospedale per abortire. La legge turca riconosce il diritto ad abortire alle donne entro la decima settimana di gravidanza. La richiesta di Nevin, incinta da circa tre mesi e mezzo, venne respinta dal personale medico perché non conforme ai termini di legge. Nevin continuò a subire la violenza di Nurettin senza riuscire a parlarne con nessuno, perché l’uomo la minacciava di divulgare foto delle sue nudità nel villaggio. Una sera, Nurettin si presentò un’altra volta a casa di Nevin con lo scopo di violentarla. Lei decise di non subire più la sua violenza, afferrò il fucile appeso al muro e gli sparò in testa e nei genitali, secondo la ricostruzione dei medici legali (durante l’interrogatorio, infatti, Nevin ripete varie volte che non ricorda di come ha ucciso il proprio aguzzino). Dopo aver ucciso Nurettin, Nevin lo decapitò e gettò la sua testa nella piazza centrale del villaggio di Korukaya, urlando: “Ecco la testa di colui che mi ha umiliata”. Era il 28 Agosto del 2012. Poco dopo, Nevin venne arrestata e portata al tribunale, dove ammise la propria colpa e affermò di aver fatto tutto questo per salvare il proprio onore e proteggere i suoi figli dall’essere definiti “i figli di una puttana”. Ora sono i figli di “quella donna che ha salvato il suo onore”. Adesso Nevin è in galera, ma sin dal primo momento del suo arresto non smette di chiedere che le sia concesso di abortire, minacciando di togliersi la vita se non le fosse accordato questo diritto.

Questa storia agghiacciante viene riportata da Il Fatto Quotidiano il 2 settembre 2012, sotto la firma “Redazione Il Fatto Quotidiano” e con il titolo “Turchia. Donna decapita il suo stupratore e ne getta in piazza la testa”. Nell’articolo, la redazione specifica di aver preso come riferimento l’articolo pubblicato in inglese nell’Hurriyet Daily News (http://www.hurriyetdailynews.com/woman-who-murdered-her-rapist-seeks-to-abort-baby-.aspx?pageID=238&nID=29077&NewsCatID=341) che, ho potuto constatare, specifica di fare a sua volta riferimento alla notizia pubblicata dall’Agenzia di Notizie Dogan, del gruppo dello stesso giornale (particolare che Il Fatto non rimarca). Ma torniamo al titolo proposto dal quotidiano italiano: indubbiamente la Redazione ha desiderato porre l’accento sulla parte più sensazionale della vicenda – la cruenta vendetta di una donna violata- tacendo lo scottante argomento “aborto”. Sulle testate turche si percepisce come la vicenda abbia “fatto notizia” soprattutto per la ferma decisione di Nevin di abortire, nonostante ormai sia a cinque mesi di gravidanza, per eliminare il frutto della violenza subita.

L’Hurriyet Daily News titola: “Donna che uccide il suo stupratore chiede di poter abortire”, mentre sul portale online della CNN Turk leggiamo: “La richiesta riaccende la discussione sull’aborto”. Sul quotidiano nazionale Cumhuriyet campeggia il titolo: “Voglio abortire, anche se rischio di morire”, sull’Evrensel, altro quotidiano nazionale, “Donna rimasta incinta dopo la violenza, vuole abortire”.

Mi domando il perché della scelta de Il Fatto Quotidiano, considerando, soprattutto, che l’argomento “aborto” è stato trattato in due paragrafi su tre dell’articolo.

Ma la “svista” più scandalosa è senza dubbio l’affermazione sulla pena di morte che secondo la Redazione de Il Fatto Quotidiano (ma non secondo l’Hurriyet Daily News) esiste ancora ed è contemplata dal Codice penale del Paese. L’articolo 5218 che prevedeva questa pena è stato rimosso dal codice nel 2006 definitivamente ed è esattamente dal 1984 che il Parlamento nazionale non approva decisioni favorevoli a questo tipo di pena.

Il dettaglio sul quale vorrei soffermarmi è la frase: “La legge, nel Paese islamico, non permette di abortire oltre le dieci settimane.” In Turchia, è vero, per legge non è consentito abortire oltre la decima settimana di gravidanza. Non riesco a comprendere, però, l’utilità di una caratterizzazione religiosa del Paese, in questo contesto e perché non limitarsi a presentare i fatti senza soffermarsi ad appesantire il periodo. Perché parlare di “Paese islamico”, locuzione non abusata dallo stesso giornale in altre occasioni? E perché, eventualmente, e per la “falsa-e-cortese” par condicio non definire l’Italia “Paese cattolico”? Che significa “Paese islamico”, ancorché nella Costituzione turca non è specificata una religione di Stato? Il fatto che la maggior parte dei cittadini e delle cittadine turchi si definiscono musulmani, non dovrebbe bastare per trarre conclusioni. Il rischio di questa dichiarazione (il suo essere superflua non si discute) è che possa confermare la diffusione di stereotipi, a esempio… un tentativo di “giornalismo” etnocentrico non riuscito. Dico non riuscito perché se la Turchia fosse effettivamente un “Paese islamico”, di diritto all’aborto non si potrebbe neppure prendere in considerazione (non sarebbe così anche in un’ipotetica “Italia cattolica”?).

Ritengo che, di questa notizia, dei giornalisti avrebbero potuto trarre maggiori spunti. Gli articoli sui quotidiani turchi hanno sviluppato la notizia arricchendola di commenti di scienziati od attivisti, come la dottoressa Gürsel Öztunalı Kayır dell’Associazione di Solidarietà e Consulenza per le Donne di Antalya, che afferma : “Nevin deve abortire; se la donna volesse, dovrebbe avere la possibilità di abortire in questi casi”; la portavoce dell’Associazione, Kamile Yilmaz asserisce: “Non è facile per una donna portare in grembo il bambino del suo stupratore. Ha provato a punirlo da sola perché non esiste uno Stato del quale sente di potersi fidare. Potrebbe essere un peso troppo grosso partorire e crescere un bambino che appartiene anche al tuo stupratore”. L’avvocato Eren Kesin dell’Associazione per i Diritti Umani (IHD) dichiara: “Nevin potrebbe decidere di dare in adozione suo figlio dopo aver partorito. Bisogna discutere dell’aborto in questi casi e sentire il parere del medico, potrebbe anche non entrare subito in carcere”.

Infine specifico e segnalo che, non appena letto l’articolo ho commentato con buona educazione e in modo costruttivo e breve, cercando di segnalare errori e refusi per una correzione. Questo non è stato mai approvato/reso visibile dalla Redazione; un altro, scritto successivamente, è stato rimosso dalla Redazione poco dopo.

Avrei semplicemente sperato che il Fatto Quotidiano non rincorresse a facili sensazionalismi, ma che avesse osservato la questione da un punto di vista più “giornalistico”, tracciando la figura di una donna violata orribilmente, che ha reagito in modo cruento, preda di una lucida follia. Mi sarebbe piaciuto, anche se non è la parola adatta, se Il Fatto Quotidiano, avesse pubblicato, come il network dei giornalisti indipendenti Bianet, un report mensile sulle donne uccise con lo scopo di attirare veramente e sinceramente l’attenzione su una questione spesso volutamente e sistematicamente ignorata da buona parte dei media e, tristemente, dei Governi. Senza fare demagogia, perché oltre ad attirare l’attenzione, avrebbe ricevuto anche apprezzamenti per un lavoro giornalisticamente e umanamente dignitoso.

Redazione
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