«Manuale di scrittura di fantascienza»

L’introduzione di Giulia Abbate e Franco Ricciardiello

INTRODUZIONE

Scrivere fantascienza

I firmly believe that science fiction, far from being and unimportant minor offshoot, in fact represents the main literary tradition of the 20th century.

Sono fermamente convinto che la fantascienza, lungi dall’essere un trascurabile ramo minore, rappresenti di fatto la principale tradizione letteraria del Ventesimo secolo.

J. G. Ballard, Introduzione all’edizione francese di Crash (1973)

 

Scrivere fantascienza è un’attività che arricchirà sicuramente il tuo percorso di autore e autrice: una sfida intensa e divertente. Ti impegnerà molto, lasciandoti in cambio una “cassetta degli attrezzi” più ricca, funzionale e soprattutto efficace, che potrai utilizzare per qualsiasi altro genere letterario al quale sceglierai di dedicarti successivamente.

[…] Abbiamo pensato di aprire l’introduzione di questo manuale con un perché: perché scrivere fantascienza?

La nostra risposta è semplice: la fantascienza è forse il genere più difficile da scrivere. Impara a farlo in modo efficace e ogni altro genere, ogni stile, tutto ciò che vorrai scrivere in seguito ti sembrerà molto più facile e rilassante.

Non spaventarti: la fantascienza è anche molto divertente, e ti permetterà di affrontare questioni capitali dell’esistenza in modo anticonvenzionale, giocoso, rischioso, bizzarro, spensierato, eversivo, assolutamente pazzo, o quello che vorrai. Permette margini di libertà che sta a te ridefinire. La fantascienza è uno sguardo obliquo, un occhio alieno che autori e autrici sviluppano naturalmente dopo una serie di buone letture e un ragionevole periodo di apprendimento e pratica.

Abbiamo scritto questo manuale pensando proprio a questo. Vorremmo metterti in condizione di:

  • capire questo genere letterario;
  • imparare la scrittura di fantascienza nelle sue specificità;
  • invogliarti a leggere i romanzi più belli (in assoluto, non solo “più belli tra quelli di fantascienza”!).

Ti daremo un’infarinatura teorica, ti consiglieremo letture mirate e ti proporremo strategie operative, grazie alle quali potrai intraprendere un percorso autonomo… e non vedrai l’ora di cominciare!

Fantascienza: cos’è?

La fantascienza è un genere letterario nato nella seconda metà del Diciannovesimo secolo e sviluppatosi poi nel Ventesimo. Oggi, già quasi nel terzo decennio del secolo successivo, è molto diversa dagli albori e dai suoi decantati fasti novecenteschi; e ci troviamo da molti anni con un problema di definizione che crea discussioni, e a volte contrasti, nel mondo dei e delle fan.

La storia della fantascienza nel Ventesimo secolo porta una pesante eredità: una serie di definizioni teoriche inesatte che ormai fanno parte del senso comune. Esse contribuiscono a confondere sia i lettori, che gli autori stessi, e fanno spesso litigare i fan.

Eppure, questo destino pare scaturire dalla natura di un genere mutevole che malgrado in apparenza racconti del futuro, si fa interprete di istanze legate al presente, e quindi è intrinsecamente soggetto a una sorta di obsolescenza (solo riguardo certi aspetti, per fortuna). Inoltre, la fantascienza è versatile: una “coperta larga” che può essere usata in molti modi. È davvero stata intesa in accezioni molto diverse, talvolta perfino opposte, e comprende testi che possono sembrare assolutamente agli antipodi.

Facciamo alcuni esempi. Il viaggio spaziale non è necessario perché possiamo parlare di fantascienza, né da solo è sufficiente a rendere fantascientifica una narrazione. Stesso discorso per gli alieni: non necessari, né sufficienti. Il viaggio nel tempo è sufficiente perché si possa parlare di fantascienza, se se ne prendono in esame i paradossi; ma non è necessario, si può anche raccontare tutt’altro. La fantascienza non è (più) un genere positivista, e le tanto decantate premesse scientifiche dalle quali dovrebbe prendere le mosse non sono affatto necessarie (lo erano nel Diciannovesimo secolo, forse), né invero sufficienti per costituire da sole fantascienza. La speculazione filosofico-esistenziale, che negli ultimi anni sta vivendo una nuova fortuna critica e di pubblico, è necessaria perché si possa parlare di fantascienza, ma non è sufficiente.

L’elemento che da solo è sia necessario che sufficiente alla fantascienza è la traslazione, ovvero lo “spostamento”, la metafora, l’allegoria di un problema reale (filosofico, scientifico, esistenziale, sociale, umano, contemporaneo) in chiave critica; un elemento che trasmette a chi legge un messaggio, un monito, una particolare lettura tramite l’intreccio narrativo, e che con personaggi, avvenimenti e conflitti mette in scena implicazioni, conseguenze, riflessioni sul problema.

Detto in termini più immediati, la fantascienza è letteratura di speculazione e di immaginazione: meglio ancora, di speculazione tramite elementi immaginari sviluppati in modo metodico. Usa cioè elementi di fantasia per puntare l’attenzione su alcuni veri aspetti della realtà, ritenuti problematici dall’autore o dall’autrice; questi elementi vengono drammatizzati nelle loro più controverse implicazioni mediante lo “spostamento” o traslazione.

Lo spostamento – traslazione, allegoria, metafora – appena citato può essere temporale: ad esempio, quando si descrive un futuro da incubo che oggi può ancora essere evitato, o al contrario un futuro migliore grazie a lezioni che ancora dobbiamo imparare. Può essere uno spostamento spaziale: quando viaggiando nello spazio profondo ci troviamo a confrontarci, di nuovo, con problemi inscritti nella natura umana; oppure se esplorando un territorio ancora sconosciuto veniamo a contatto con civiltà nascoste che hanno qualcosa da insegnarci. Può essere uno spostamento della percezione: la droga e i suoi effetti psicotropi, oppure una tecnologia futuribile che altera i nostri sensi, sono da sempre ispirazione per una ricerca del senso del reale, della nostra vera natura. Oppure, semplicemente, lo spostamento è concettuale: l’uso dell’immaginazione applicato a un problema esistente in un’ambientazione realistica, ci porta a indagare gli sviluppi e le possibili implicazioni, ad esempio, di scoperte scientifico-tecnologiche sulla vita quotidiana.

Questo elemento di cambiamento, la traslazione, si mette in scena per creare in chi legge lo straniamento: parleremo più avanti di questo concetto, che è un effetto importante di uno scritto e può essere utile a sospendere l’incredulità, abbassare le difese e farsi condurre in quella che diventa una vera e propria indagine filosofica.

Ecco perché si parla di fantascienza come di letteratura di idee: bisogna che alla base del racconto ci sia un’idea chiara, sulla quale l’autore o l’autrice costruiscono la loro storia. Per “idea” non intendiamo solo “la trovata nuova e originale”: questa sarebbe un’interpretazione banale, elementare e anche riduttiva. L’idea è il motivo per cui scriviamo, il messaggio sul quale strutturiamo la nostra storia. Ci torneremo nel primo capitolo.

Inoltre, la fantascienza è scrittura di idee perché è scrittura razionale: bisogna sviluppare l’idea di base in modo metodico, anche se parliamo di visioni psichedeliche, di infernali vermi giganti o di viaggi stellari pieni di humour e paradossi. Molto dell’armamentario della fantascienza attinge direttamente al subconscio: ma quando scrivi devi avere ben chiaro quello che vuoi rappresentare, e devi padroneggiare al meglio lo sviluppo e le articolazioni narrative: la voce che vuoi dare, le funzioni dei tuoi personaggi, il peso dei vari elementi nell’economia generale dell’intreccio, e così via, vanno progettati per poter produrre uno scritto coerente e credibile.

Questo dovrebbe essere vero sempre: la scrittura creativa presuppone una padronanza della materia e del metodo che renda credibile la voce narrante e le sue storie. Capita che la padronanza sia istintiva, nel caso di storie estremamente semplici e quindi gestibili anche senza particolare abilità; ma il più delle volte va sviluppata attraverso lo studio e l’esercizio. Siamo qui per questo!

Aggiungiamo un’ulteriore consapevolezza, cioè che il genere fantascientifico ha bisogno di un’attenzione in più, perché è reso maggiormente complesso proprio dalle due componenti necessarie e sufficienti alla sua esistenza.

La prima componente è la speculazione, quindi l’idea, il messaggio o alla peggio la trovata alla base del racconto che ne rende possibile lo sviluppo. Ad esempio: una società oppressiva dove tutti sono controllati dai mezzi di comunicazione di massa; la colonizzazione di un pianeta raccontata da diversi punti di vista; un condominio organizzato come una città stato; un rapimento alieno raccontato in chiave umoristica dall’ultimo essere umano rimasto; la descrizione di una civiltà futuristica di stampo medievale con un forte sottotesto ecologista. E così via, in una serie amplissima di esempi possibili, tutti accomunati da una forte idea di base: comunicare un preciso messaggio che ha a che fare con la nostra quotidianità, la nostra contemporaneità, i nostri problemi e opportunità in quanto esseri umani.

La seconda componente è l’immaginazione, quindi il fantastico. L’invenzione pura di qualcosa che non corrisponde a nulla di esistente: che si estrinseca nella traslazione del messaggio di base dal vicino al lontano, dal presente al tempo altro, dal reale al fantastico, dallo scientifico allo scientificamente plausibile, dall’umano all’alieno, dal corpo all’ibrido, e così via. Immaginare un contesto fantastico nel quale inserire il nostro messaggio è un esercizio affascinante. E ha bisogno di tutta la presenza di spirito e la tecnica necessarie a rendere il nostro mondo credibile, verosimile e fedele a proprie regole interne, regole che dobbiamo creare da zero e applicare in modo rigoroso.

Può suonarti strano che parliamo di credibilità e verosimiglianza accostandole a parole come invenzione e immaginazione. Non è affatto una contraddizione, ci arriveremo gradualmente. Quello che devi sapere ora è il concetto di base: è più difficile creare un mondo dal nulla, che servirsi di quello che abbiamo già sotto gli occhi.

Ciò che abbiamo detto finora ci porta a un’altra conclusione importante per capire la fantascienza e poterla scrivere: ovvero che essa fa parte della più ampia categoria della scrittura fantastica, che contiene anche il fantastico, il fantasy, l’horror, il soprannaturale, e così via.

In questo grande e contenitore, la fantascienza non si profila come letteratura di evasione, cioè di mero (e rispettabilissimo) divertimento. Al contrario, è una indagine critica dell’esistente. È una letteratura che problematizza, che critica e a volte polemizza; un’esposizione inquieta, irrequieta, che punta il dito sulle implicazioni possibili e future di tendenze che già si verificano; oppure si pone domande di senso, sul significato profondo legato alle basi epistemologiche, morali, etiche del nostro essere al mondo, a questo mondo. Imparare come si scrive fantascienza per poi scrivere soltanto avventure ambientate su altri pianeti o in un futuro lontano è paragonabile allo sforzo di imparare una lingua straniera, e poi usarla solo per raccontare barzellette.

Alla luce di questo, si può ben dire che la fantascienza è il genere letterario rappresentativo della seconda metà del Novecento, come il giallo lo è stato della seconda metà dell’Ottocento. E ha espresso il meglio e il peggio del periodo: lasciandoci in eredità testi che sono tra i pilastri della letteratura mondiale, e una serie di tòpoi, cioè di luoghi comuni della narrazione, che hanno fatto la fortuna di una grande quantità di bestseller e blockbuster internazionali.

La fantascienza infatti è un genere popolare per definizione.

Sia perché è effettivamente popolare: è amata dal grande pubblico e protagonista di una produzione letteraria e cinematografica immensa. Sia perché, agli albori della modernità, si è affermata con pubblicazioni paraletterarie pensate per un consumo di massa. Da lì, si è sviluppata in direzioni sofisticate, ma è sempre stata vista come qualcosa di “basso”, di “non letterario”: studi accademici che riequilibrano questo fraintendimento sono stati fatti solo a partire dagli anni ’90 in poi, ma ancora oggi la percezione comune dipinge la fantascienza come una fiction di razzi e omini verdi… non meritevole di menzione attenzione critica né, ahinoi, di troppo sforzo nel produrla: un altro equivoco duro a morire.

Di questo parliamo nel prossimo capitolo: il primo passo del nostro viaggio, per imparare a scrivere fantascienza bella e di qualità, capace di parlare a tutti, di arricchire la vita di chi leggerà e il percorso narrativo ideale di te che vuoi scriverla.

Una noticina di db

Il libro è davvero molto importante, come probabilmente poteva prevedere chi conosce i romanzi di Franco Ricciardiello (*) e chi ha letto – anche qui in “bottega” – vari scritti (**) di Giulia Abbate. Così ho chiesto di poter pubblicare l’introduzione; per vincere anche uno stranissimo “timore reverenziale” che mi aveva colto dopo averlo letto, mesi fa, bloccando una mia recensione-riflessione. Spero che questo frammento conquisti pure voi e vi induca sia a leggere il libro che a muovervi sul versante «anticonvenzionale, giocoso, rischioso, bizzarro, spensierato, eversivo, assolutamente pazzo» se già non lo state facendo. E magari vi spinga ad aprire qui in bottega la discussione… nella quale vorrei intervenire (magari per secondo o terzo, che è più facile). Allora a chi tocca?

(*) dell’ultimo suo romanzo ho scritto qui: Ancora su «Nell’ombra della Luna»

(**) compresa la serie che si è conclusa – o forse no? – qui: Leggere e scrivere fantascienza – 15,

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • Un testo importante, direi anche decisivo, per avviare una riflessione seria sul fenomeno fantascienza, forma mascherata dell’eterno maistream (o viceversa, il mainstream forma mascherata dell’eterna fantascienza: si tratta della medesima forma artistica). Si potrebbero avanzare questa o quell’obiezione su quanto detto, in questo caso però l’attenzione del lettore verrebbe allontanata dall’essenziale sul quale gli autori stanno lavorando e ci invitano a lavorare. Che non è l’accessorio, l’esteriore, la trovata, il gadget tecnologico a caratterizzare la fantascienza, ma la sua capacità di trasferire altrove e romanzare le profonde problematiche che caratterizzano il presente, insieme alle lacerazioni storiche e ideologiche che lo rendono inquieto e persino poco vivibile. Cioé, la traslazione, se non ho capito male, della quale si parla nell’introduzione. Ma non è questo, appunto che sempre ha fatto il mainstream, anche se sempre meno a partire dall’Ottocento, e continua a fare (per mezzo dell’inaudita fantascienza) a tutt’oggi? La letteratura comincia, non lo dimentichiamo, con il fantastico viaggio di Ulisse; e raggiunge nuovamente il culmine con un secondo viaggio, quello di Dante, che inizia dentro la Terra e finisce nell’Empireo. Uno parla del ritorno a casa, l’altro della fuga alla ricerca di un aldilà/orizzonte migliore del presente. Dispiace, allora, se paragono il primo a Crociera nell’Infinito, la cui struttura è fin troppo simile all’Odissea; e il secondo ai viaggi all’interno della coscienza di Dick? O forse meglio al viaggio nell’Inferno di Cormac McCarthy (La Strada). Al quale, per rendere più credibile la similitudine, manca una trattazione diffusa delle beatitudini, sulla quali si attarda per una pagina alla fine del libro; ma chi potrebbe oggi, senza mentire, prefigurare una qualche visione paradisiaca. Potrebbe farlo per consolare, ma chi, onesto con se stesso, potrebbe riuscirci senza consapevolmente prendere in giro il lettore?
    Mi concedo una seconda obiezione. Un accenno alle spinte epocali che hanno costretto la letteratura a prendere la forma che poi ha preso, la fantascienza. Tre sono le costrizioni che determinano la forma nuova della letteratura (la fantascienza); forma che ha avuto, come ben gli autori sottolineano, un peso decisivo nella strutturazione della cultura contemporanea, nel linguaggio, nei costrumi, nelle stesse forme della rivolta (la fantasia al potere). Eccole:
    1) La necessità delle masse ottocentesche poste bruscamente al cospetto di una tecnologia sempre più invadente (oltre che sorprendente) e pervasiva, di avere spiegazioni attorno al dispiegarsi di questo fenomeno, la cui espansione assume forme visibilmente accelerate, travolgendo progetti, sicurezze e visioni del mondo;
    2) L’elaborazione di grandi progetti di ingegneria sociale, che solo in parte appagano gli spiriti inquieti che si interrogano sui destini dell’umanità. L’altra parte è soddisfatta dall’avvento della fantascienza. E tuttavia la fantascienza a sua volta è tributaria di tali progetti. E’ la loro presenza, più che la tecnologia, a aprire varchi psicologici e logici alla nuova letteratura. Sono loro, i progetti di ingegneria sociale, l’Utopia che le sottendono, a produrre l’idea base non detta, diciamo nascosta, che sostiene tutte le idee che rendeno significative la narrazioni. Prima di poter parlare di cosa c’è oltre l’orizzonte, devo ammettere che esiste un orizzonte con un aldilà da esplorare.
    3) L’epos, il motore della fantascienza (che sostanzialmente la letteratura non di fantascienza ha dimenticato o, sospetto, persino ripudiato), il motore che spinge innanzi tutta la letteratura. Insieme all’epos, all’avventura, al gioco, all’evasione, alla curiosità sugli altri popoli, altri mondi, altri costumi, altra possibilità di vita.
    Forse il libro ne parla, ma un accenno qui credo sarebbe stato necessario. Se non è detto, ritengo perché non ha ancora cittadinanza la convinzione di essere la fantascienza non solo la letteratura del presente,ma la letteratura di sempre, la corrente principale di sempre; e il cosidetto maistream una umile e perpetua ancella.
    Mauro Antonio Miglieruolo
    Milland@libero.it

    • Grazie mille per questo commento, sicuramente densissimo di spunti.
      Rispondo solo a uno degli ultimi – gli altri li considero ugualmente importanti, ma non sento l’esigenza di rispondere: esprimono un punto di vista che non è il mio in toto ma che trovo valido e interessante.

      Nel saggio abbiamo parlato di molte cose, accennando anche all’epos, ad esempio; ma abbiamo pensato questo testo come un manuale, una trattazione votata e orientata alla pratica, non come una storia delle radici storiche della fantascienza. Ne esistono già molte validissime e certamente chi volesse approfondire quell’aspetto le troverà e ne godrà.

      Nel Manuale, ci siamo concentrati sugli aspetti narratologici della fantascienza, e nel citare opere e correnti abbiamo dato la precedenza a quelle contemporanee, cercando di citare e chiamare in causa testi pubblicati negli ultimi decenni, quanto più possibile.

      Questo aspetto, a differenza degli altri da lei citati, non è molto presente in altri testi che trattano di fantascienza: questi ultimi (oltre a dare spesso la preminenza assoluta ad autori anglosassoni maschi bianchi positivisti, escludendo a volte “i mondi fuori”) si concentrano moltissimo sugli Anni d’Oro, o sulla New Wave, o sui proto-progenitori, e raramente si spingono dopo il cyberpunk…

      Il nostro principio di lavoro è stato quello di colmare questa lacuna e di dare spazio alla letteratura degli ultimi anni. Naturalmente, a fronte di una base teorica necessaria, alla quale abbiamo dato tutta la solidità e insieme la sinteticità possibile, poiché e è la base da cui partiamo, non l’oggetto in sé del Manuale nella sua interezza.

      Grazie 🙂

  • Grazie innanzitutto a Daniele Barbieri per avere ospitato la nostra prefazione, e a Mauro Antonio Miglieruolo per l’interesse attivo.
    Per dirla con Brian McHale, come la detective story è il genere letterario epistemologico per eccellenza, così la fantascienza è per eccellenza il genere ontologico. E’ vero che è la letteratura in generale a operare una ‘traslazione’ dal reale alla fiction, ma nella fantascienza questo elemento è centrale e costitutivo del suo essere, proprio perché il suo luogo letterario è l’altrove. La traslazione non è quindi metafora della funzione mimetica dell’arte, perché ha luogo tra due mondi letterari, non tra reale/fiction: è infatti a livello strutturale che il testo è costruito intorno a una giustapposizione tra due mondi, non in quanto trascrizione o interpretazione della realtà

  • Grazie delle risposte, soprattutto per come sono formulate. Siamo diversi, è evidente, ed è un bene, il massimo bene, direi. Tuttavia gli autori, che pure difendono legittimamente ciò in cui credono, forniscono risposte non date per sottolineare questo aspetto, ma per aiutare tutti a comprendere portata e caratteristiche del confronto; e per offrire a chi voglia la possibilità di ulteriori approfondimenti. Siamo lontani dalle risse per principio degli anni sessanta e settanta: la fantascienza è cresciuta, mentre la società tutta sembra piuttosto essere regredita.
    Tra le due, che aprono vaste praterie alla discussione, mi soffermo su quella di Ricciardiello, che ha addentato un boccone grosso, forse superiore alle mie possibilità di digestione.
    Anzitutto ho forti dubbi si possa definire la fantascienza “un genere ontologico”. L’essere del mondo è vero costituisce uno delle sue caratteristiche fondanti; manifestazione sua più significativa però mi sembra essere la sua attitudine alla storia, con frequenti ricadute storicistiche (specialmente quella delle origini). Cioé l’idea della storia come progresso continuo, salvo intoppi momentanei. A meno che non si voglia parlare di una sorta di ontologia storica, del mondo come luogo dell’inveramento (salvifico e maledetto) della scienza e della tecnologia (le sorti umane e progressive, i timori odierni sull’uso capitalistico della scienza).
    Avrei bisogno poi di ulteriori chiarimenti sul paragrafo finale, che temo non aver capito. Forse perché ritengo la pratica letteraria degli ultimi secoli e la critica letteraria relativa, non caratteristica permanente della pratica artistica, ma sua espressione contingente, provvisoria (concepita appunto come interpretazione o trascrizione della realtà). Una pratica artistica che dalla seconda metà del Novecento (a livello letterario) ha avuto sempre minore importanza. Credo tuttavia sia possibile analizzare questa letteratura degli ultimi secoli come “luogo letterario dell’altrove”. Mi riesce difficile infatti vedere i Tre Moschettieri, I Miserabili, Il Conte di Montecristo, Marianna Ucria, i libri dell’Arsan, quale mera “trascrizione o interpretazione della realtà”.
    Ma questo potrebbe essere soltanto un mio limite.
    Mauro Antonio Miglieruolo
    miglieruolo.wordpress.com

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