Maria Di Rienzo ci regala un romanzo per uscire dal buio

E alla fine Treviso fu libera. Non dalla Lega, dalle irragionevoli paure e dagli egoismi dell’oggi ma dal grande buio in cui, in un’epoca lontana, anche lei – come tutto il mondo – sprofondò, guerra dopo guerra. Buio letterale perchè il Sole filtra pochissimo ma per scoprirne la causa dovrete arrivare quasi in fondo alle 238 pagine del romanzo «Nostra signora della luce».

Un libro così appassionante che per finirlo prima possibile ho rimandato… tutto il rimandabile (capita anche a voi vero?). Le ultime righe mi hanno fatto sgorgare una lacrimuccia e da oggi guarderò con rinnovata passione i sassetti colorati.

La sciagurata che mi fa piangere a distanza – e senza che la conosca di persona – si chiama Maria G. Di Rienzo, vive a Treviso, collabora con numerose riviste pacifiste (tra cui «Azione nonviolenta») ed era a me nota soprattutto per due bei saggi scritti con Monica Lanfranco («Donne disarmanti» e «Senza velo» entrambi pubblicati da Intramoenia) e per la sua penna pungente, arrabbiata, talvolta geniale che trovo spesso su «Telegrammi della nonviolenza in cammino», una newsletter molto vivace (potete chiedere a nbwac@tin.it che ve la inviino). Mi erano sfuggiti invece le sue «Favole per adultere» e il romanzo del 2007, «Il giudizio di Morna», che si muove – come quest’ultimo, appena uscito – sui sentieri del fantastico. Recupererò.
Prima di raccontarvi qualcosa – poco, perchè non si deve farlo quando ci sono tanti personaggi, intrecci e colpi di scena a pioggia – su «
Nostra signora della luce», devo aggiungere che per la prima volta recensisco un libro senza indicazione di prezzo ovvero su licenza «creative commons»: dunque, se ho ben capito, potete leggerlo sul sito www.autistici.org/stellecadenti; a meno che non siate (un po’ come me) feticisti del cartaceo: in questo caso esiste il volume, in tiratura limitata, e pagate all’editore (stellecadenti@tiscali.it) solamente le spese di stampa e di spedizione.
Preambolo lungo ma, si sa, «leggere è una delle pericolose arti» – come ben si spiega in questo romanzo – e dunque vi ho prima dato tutte le istruzioni.

Il prologo del romanzo ci butta subito in una società dominata dai maschi, ossessionata da «Shaitan, nemico dell’umanità», in attesa che «il Padrone» (un dio crudele) torni. «La donna è disordine», il diavolo spesso usa le femmine per manifestarsi e dunque la religione ordina che esse non accedano alla conoscenza «perchè come insetti rapaci suggeranno il sangue divino per trasformarlo in veleno». Così le donne indossano un «pudore» per tutto coprire, viso incluso.

Non particolarmente contento del tempo in cui vive ma privilegiato sotto molti aspetti, Fausto Balbi è pieno d’amore per Nila ed escogita ogni stratagemma per sposarla. Ci riesce ma lei non gli dà un figlio, in 10 anni di matrimonio pare mai ascoltarlo, non ride né piange e alla fine scompare: non è bene dirlo apertamente ma è a tutti chiaro che Nila si è uccisa.

Adesso Fausto dovrà scavare con mille coltelli dentro la testa e il cuore per capire; e dubitare che… il suo amore non era corrisposto. Subito si chiederà se lei amava un altro. Ma scoprirà che la realtà è molto più complessa. Ecco un passaggio della sua tardiva e incompleta presa di coscienza.

«La sua dolcezza stranita, la sua malinconia. Cosa pensi, Nila, amor mio? Cosa avrebbe potuto mai rispondergli? E che reazione avrebbe avuto lui se Nila avesse replicato: Alla possibilità di calcolare la distanza fra la terra e la stella del nord servendomi di un mestolo da cucina e della terra battuta del cortile».

Rifletterà poi Fausto che «l’odio è un sentimento povero e triste» ma anche il suo amore era misero, egoista, sbagliato. Anche lui, come tutti i personaggi di questo romanzo, dovrà disfarsi di pesanti fardelli. Lui sarà capace di crescere libera una figlia arrivata per strade imprevedibili. Ma… dovranno passare generazioni prima che in questa buia Treviso si possa iniziare ad amare.

Attorno regna la follia: «quando la vita è una serie di divieti, di punizioni feroci, di esclusioni, di paure e peccati, quando la vita si svolge per la maggior parte sotto un cielo di piombo, un cielo cieco e crudele, e l’unica vaga speranza è in un giardino futuro e trascendente… trovi tanto strano che un così gran numero di persone impazzisca?». Qualche donna rompe le gabbie, il «pudore» imposto anche al cervello. Sembra che il loro motto sia «Per costruire un futuro bisogna prima sognarlo» proprio come è scritto sotto la testata di codesto blog. A fatica, anche un uomo (è un «non uomo» pensa di lui la maggioranza) si lascia contagiare dalle eresie… o da qualche amore non “normale”. Persino i maschi migliori si macchiano di atroci delitti: «questo dovrebbe darti un’indicazione, mio caro, dello stato in cui gli uomini versano attualmente».

Gli anni passano e ai vecchi dominatori se ne sostituiscono di nuovi; ma pure i guerrieri che cacciano i preti hanno «un disprezzo totale, annichilente» verso le donne.

Alcune vecchie tramandano, fra i sussurri, un’eresia: sta per tornare «nostra signora della luce». Nel basso-evo dove il mondo è sprofondato (per intero o qualche angolo si è salvato?) suonano incomprensibili parole come sonda spaziale, sequenze da inserire nel computer, cloni, controllore climatico, identità genetica, celle di ibernazione… Sarebbe il trionfo dei paradossi se ad aiutare «nostra signora della luce» fosse proprio «il bastardo toccato»: un servo oggetto solo di pietà e scherno, facile a perdere la memoria, figlio non voluto e maledetto. Ed è impensabile che un guerriero crudele quasi rinsavisca nel ricordare una favola che sua madre gli raccontava di nascosto. Altrettanto folle pensare che una sorta di rivoluzione nonviolenta spazzi via milizie armate: «poteva esserci una speranza che non comportasse massacro e conquista?». Nè appare concepibile dare «carezze, incerte in un modo stranissimo, come se fossero gesti del tutto nuovi, colmi di significato in boccio». Chi potrà spiegare che Sole e Terra non ci appartengono ma «siano noi ad appartenere a essi»? E quando finalmente si capirà che «l’unico nemico dell’umanità è l’umanità stessa quando diviene immemore di ciò che è»? L’impossibile però è in cammino.

Mentre contempla la rivoluzione impensabile e, fra le righe, ci ricorda che i veri problemi sono quelli del «giorno dopo», di sfuggita – cioè senza predicare, pontificare, retoricizzare – Maria Di Rienzo ci dà un consiglio utile anche oggi: ribelliamoci alla «onnipresente minaccia di cadere nell’idiozia», anche se in certi momenti la stupidità appare comoda, persino «desiderabile».

A me è parso un gran libro.

Se lo leggerete e concorderete… passate voce. C’è bisogno di luce. E non solo a Treviso.

Redazione
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2 commenti

  • Bellissima ed acuta recensione. Complimenti vivissimi.
    Nel corso dei secoli, sul tragico teatro della vita, sono mutati i fondali, solo il prode e crudele guerriero è rimasto lo stesso. Dal mio libro ” L’amore Imperfetto”(2003) Helicon Edizioni, a cura di Neuro Bonifazi, segnalo il breve testo:-
    “Ancora una volta”.
    “Ancora una volta / in nome di un amore/ che non senti /
    profani la mia vita./ Docile come agnello/ assecondo la tua ira/
    impetuosa che si accanisce / sulla mia fragile apparenza, /
    ma in realtà / sono io la più forte.” Siena, 1979.
    ——-
    Grazie per la commovente lettura che induce a riflettere e a
    cercare la luce.
    M. Teresa Santalucia

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