Maria G. Di Rienzo: nel nome del “papi”

Credo si debba dar credito di almeno una cosa alla ministra Gelmini: pur facendo malissimo il suo lavoro, in una sola frase è riuscita a fotografare il “pensiero dominante” degli ultimi trent’anni italiani. Guardando dalla finestra, per così dire, la signora è sconcertata dal vedere pensionati e studenti protestare insieme. “Che hanno a che fare gli uni con gli altri?” si chiede basita, “Che interessi comuni possono avere?”.

Nel supermercato della giungla infatti, dove la ministra vive e dove il suo governo pascola, tutti si vendono e/o comprano altri, e ognuno è solo sino alla disperazione, perché chiunque si trovi accanto – se non è un oggetto da usare o un potente da agganciare – è un competitore, un ostacolo, un fastidio. Gli italiani non si sono tirati indietro: sulla base degli esempi e degli impulsi forniti dagli uomini e dalle donne “di successo”, incoraggiati dalla propaganda ossessiva dei media, abbagliati dai premi forniti alla disonestà e alla cialtroneria, hanno contribuito ad alzare il livello di violenza nel Paese senza pensare che sarebbe ricaduto su di loro. Hanno giustificato ogni iniquità propria e altrui esattamente sul fondamento di una solitudine egoista. Ma singolarizzati non si vive.

Se l’ambiente è un terreno di caccia e sfruttamento l’immondizia si accumula sulle tue strade, il tuo fiume straripa, le tue case crollano, le varie patologie da inquinamento fanno ammalare e uccidono te e i tuoi figli. Se le scuole sono aziende che devono produrre profitto, e parcheggi per i ragazzi in attesa che trovino da fare gli idioti in tv, è perfettamente normale che il bullismo sia esploso come un fungo atomico. Quando le donne non possono essere viste e rappresentate se non come imprenditrici del sesso a pagamento, hostess da tavolo, cigni da cubo, vassoi viventi e “talenti futuri”, ecco cosa aumenta: violenza domestica, violenza sessuale, disturbi dell’alimentazione nelle adolescenti, molestie sul lavoro (abbiamo il record europeo in quest’ultimo settore). Ed ecco cosa accade quotidianamente: bambine di quattro anni vestite come pornostar fanno balletti “sexy” nel giorno del loro compleanno o nel cortile dell’asilo, bambini delle elementari – tutti o quasi “fidanzati” con coetanee – cercano pornografia su internet, studenti delle medie molestano pesantemente le compagne in classe, quando non le stuprano nei bagni, sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti. Questi sono tutti episodi di cui io ho conoscenza diretta. Soli, ipersessualizzati, violenti e senza orizzonte: dai quattro anni in poi gli italiani e le italiane sembrano avere quest’unica prospettiva.

Di recente se n’è accorto anche il Censis (44° rapporto annuale sullo stato dell’Italia, dicembre 2010), definendo l’Italia “una società senza regole e senza sogni” attraversata dal “gusto apatico di compiere delitti comuni”. Il suo presidente De Rita ha rilasciato al proposito coltissime dichiarazioni piene di “auctoritas” e di “sregolazione pulsionale”, ma di fronte alla richiesta di rimedi si è rivelato un po’ meno profondo. Cosa possiamo fare, dunque? Preoccuparci del “padre che evapora” (santo cielo, abbassate i termostati!), quindi “ridare senso alla figura paterna” e “alla dimensione sociale del peccato”, ripartendo da un “desiderio” che nasca dalla “mancanza”. Il rapporto rileva con giusta perplessità i bambini affogati in giocattoli che neppure hanno chiesto e la mezza dozzina di cellulari a cranio italico, ma provate a portarglieli via e vedremo come il desiderio nato dalla mancanza si esprimerà: non si tratta solo di quante cose si hanno, signor presidente, ma di a che servono, di chi le usa e come le usa e per quali motivi, perché di fatto esse hanno sostituito le relazioni sociali e definiscono il posto nel mondo – il “successo”, il valore – di chi le possiede.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, contribuisce: ripartiamo dal singolo, invoca, per ritrovare “impulsi vitali” ed “energie positive”. No, grazie: al “singolo” (uno contro tutti nella competizione globale) ci siamo già. E’ la coscienza che il singolo esiste all’interno di un sistema di relazioni che manca, è la consapevolezza che ogni individuo umano è stato portato all’esistenza da una relazione che manca, e che il nostro stesso pianeta è una rete di relazioni viventi. E’ il riconoscere che viviamo grazie alla cooperazione, non grazie alla competizione, che manca. Quanto al desiderio di un “padre” che ci metta a posto fomentando in noi l’idea del peccato e strapazzandoci per farci rigare diritto lo rispedisco al mittente: ciò che i signori del Censis hanno osservato con le lacrime agli occhi è esattamente il prodotto estremo e spettacolarizzato della “legge dei padri”, il patriarcato.

Quando mister “ghe pensi mi” (l’attuale capo di governo) metteva in fila le cameriere nelle sue ville per dar loro lo sculaccione augurale, affinché quel giorno lavorassero bene e nessuna piega si formasse sulla tovaglia per gli ospiti, non stava facendo altro che il suo lavoro da padre-padrone e quasi nessuno – oltre a me – lo ha trovato ignobile; quando assieme ai suoi lacchè ha sponsorizzato la pagliacciata del “Family Day”, delegittimando ed insultando la mia, di famiglia, perché “sregolata” e “non tradizionale” (come non è “tradizionale” la maggioranza delle famiglie italiane), il padre-padrone si sentiva perfettamente in regola circondato da prelati, beghine, le sue due famiglie e il corteggio di amanti a pagamento: è “tradizione”, infatti, che il patriarca possa concedersi ciò che ai comuni mortali è negato; quando le suddette dame di compagnia sessuale gli chiedevano favori (risolvimi l’abuso edilizio, prestami l’avvocato da talk show per i miei problemi legali, trovami un posto in tv o da parlamentare: e quelle che hanno sollevato i veli dell’ipocrisia lo hanno fatto solo perché non hanno ottenuto ciò che volevano) stavano ridando pieno “senso alla figura paterna”, quella del “tradizionale” padre onnipotente che dà e toglie a suo capriccio, che ha piena potestà sulla figliolanza reale e simbolica, e che è autorizzato a usarla per il proprio godimento: fra i figli, quindi, deve scatenarsi la lotta più implacabile per ottenere i favori del padre, eliminare gli avversari, infine prenderne il posto.

In questo quadro, lo stupore ministeriale che citavo all’inizio (“Che interessi comuni possono avere pensionati e studenti?”) è perfettamente logico: ognun per sé e dio per chi può pagarlo con le regalie alle scuole private, mentre quella pubblica affonda. So che la ministra non leggerà mai la spiegazione che sto per fornirle, e che quand’anche ciò accadesse probabilmente non riuscirebbe (ancora) a capirla, tuttavia eccola qua: pensionati e studenti, lavoratori e attivisti sociali, stanno cominciando a ricordare di essere umani, e che sono umani solo grazie al fatto che altri esseri umani li hanno messi al mondo, hanno avuto cura di loro, si preoccupano per loro, li amano. Se al Censis non hanno le fette di “papi” sugli occhi dovrebbero accorgersi che tutto questo ricorda molto di più l’agire di una madre (o di un padre nient’affatto “tradizionale”). Una madre che non ti indica l’inferno più o meno trascendente – il “senso sociale del peccato” – ma un quotidiano esistere fatto di buone relazioni, di negoziazioni, di condivisione di abilità e risorse, di responsabilità e rispetto, come sistema per vivere meglio, insieme, tutte e tutti. Se vogliono prove di quanto dico, è probabile che non debbano guardare più lontano di casa propria.

Redazione
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2 commenti

  • Molti sanno bene che la Gelmini è una prestanome, una che la riforma l’ha letta e studiata con profitto appena sufficiente, ma non l’ha scritta; una che riveste quel ruolo “per innominabili motivi”; quella riforma che non è una “riforma”, sarebbe di troppo nobilitata, ma è solo una sequenza di tagli alle spese. Bel post.
    Ciao.

    “Una società che non ha altra risposta alla miseria che il clientelismo, la carità e l’arte di arrangiarsi è una società mafiosa. Mettere la scuola sotto il segno della competizione è incitare alla corruzione, che è la morale degli affari.”

    da AVVISO AGLI STUDENTI (1995) di R.Vaneigem

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    Fa il paio con B. quando dice “andate a casa a studiare” o “io alla vostra età andavo dietro alle ragazze”.

    A parte il fatto che ci va dietro ancora, a oltre 70 anni (e ci sarebbe poco da dire se…) e per questo la mattina “e’ stanco per i festini” (…ci sarebbe poco da dire se poi governasse bene…), questi due campioni dell’attuale Homo ignarus (ma se ne potrebbero aggiungere molti altri pescando randomicamente in Parlamento) dimostrano una completa ignoranza di cosa siano uno Stato moderno, una democrazia, i diritti dei cittadini, una opposizione, un dialogo. Ma dove sono vissuti finora? Hanno distrutto l’Italia.

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