Marie, dubbi, duelli e fetenti
di Daniela Pia
Correggo compiti da alcuni giorni. Titolo di uno di essi – saggio breve – «Beni comuni e beni individuali». Mentre pongo segni rossi ed elargisco consigli mi si sviluppa una riflessione. Lenta e in sordina. Quasi tutti i ragazzi che si sono cimentati con la prova, anziché riflettere sui documenti proposti, tornavano sul momento attuale e basta. La difficoltà economica vissuta in famiglia, il divario incolmabile fra politica e cittadini; lo sfregio dei privilegi ostentati senza pudore; la vergogna di dover elemosinare il diritto, chiedendo consiglio a chi lo farà passare per favore. Naturalmente le parole non erano proprio queste ma il senso sì. Ancora una volta constato che le parole mancano, i miei ragazzi ne hanno quasi paura, le sentono ingannevoli, sfuggono loro. Come far capire che le cose dette da loro non sono poi così lontane da ciò che uno dei documenti proponeva? «Finché parecchi uomini riuniti si considerano come un solo corpo, non hanno che una sola volontà, che si riferisce alla comune conservazione e al benessere generale. Allora tutte le forze motrici dello Stato sono vigorose e semplici, le sue massime chiare e luminose; non vi sono interessi imbrogliati, contraddittori; il bene comune si mostra da per tutto con evidenza e non richiede che buon senso per essere scorto. La pace, l’unione, l’uguaglianza sono nemiche delle sottigliezze politiche» così Rousseau in «Del contratto sociale» (1762). Orbene qualche lustro è trascorso, ma la riflessione pare non abbia fatto breccia nel sistema che sinora ci ha governato, se non per brevi parentesi. Come giustificare il fatto che le parole, ancora una volta loro, siano rimaste vuote di contenuto? In nessun modo, lasciano intendere i ragazzi, con mezze frasi, piene di anacoluti e orfane di connettivi. Frasi che lasciano comunque trapelare il disincanto, la rassegnazione, la rabbia malcelata o la mera constatazione di un sistema che sentono come inscardinabile. Quali armi fornire loro dunque perché possano battersi senza pensare di essere sconfitti in partenza? Me ne viene in mente una, potentissima e gliela porgo su un piatto d’ argento, come il padrino di un duello d’ancien regime: il dubbio. Dubitate sempre ragazzi, di chiunque: andate a ricercare le ragioni che si trovano dietro le parole mendaci, le promesse facili, in ogni circostanza, iniziate con me e poi esercitatevi con gli altri, indagando sulla veridicità delle cose che sentite. Diventerete spadaccini abili solo con l’esercizio. In questo duello si può ritrovare la speranza di tornare protagonisti, non più solo spettatori passivi di spettacoli di terz’ordine. Attraverso il dubbio possiamo diventare tutti responsabili di scelte consapevoli, non avremo scuse.
Il dubbio è capace far cadere anche la maschera di ferro delle sottigliezze politiche. Le stesse che minano l’ uguaglianza.
Continuando a leggere i compiti però sento che questo allenamento è un esercizio scansato ripetutamente. Dubitare costa fatica: bisogna ricercare i segnali da interpretare, bisogna essere concentrati, fare rinunce; spegnere il cellulare, il computer, le Mariefilippesche più dannose ancora di Maria Juana, che pure frequentano con altrettanta assiduità. Eppure non c’ è molto tempo, domani è già qui . Il duello si farà all’alba e se gli spadaccini non combattono mi ritroverò ancora una volta a correggere compiti che terminano così: «adesso concludo perchè non sono tanto “fetente” in materia». Ma se sapranno diventare abili spadaccini scopriranno che i fetenti non sono loro.