Mario Lodi…

se proprio l’Italia avesse bisogno di eroi – 2


MarioLodi-copertina

Come ho scritto due giorni fa in “bottega” – ragionando di Danilo Dolci – se proprio avessimo bisogno di eroi (*) Mario Lodi sarebbe perfetto… per i valori che ha incarnato e per smentire l’immaginario guerresco tuttora dominante. Quando si ritrova un fucile in mano (è uno dei tanti giovani che hanno disertato per non combattere con i nazifascisti di Salò) e potrebbe usarlo per liberarsi del soldato che lo porta verso la prigione… Mario Lodi lo restituisce, preferendo il carcere a uccidere un ragazzo come lui. Inizia così nella neve del 1944 «Mario Lodi: pratiche di libertà nel Paese sbagliato», scritto – come l’altro su Dolci – da Alessio Surian e Diego Di Masi stavolta con i colori tenui e le figure sognanti di Silvio Boselli: edito da Becco Giallo (176 pagine per 18 euri) ma con licenza Creative Commons. E che belli quei colori che ogni tanto «fuggono dall’armadio dove stanno rinchiusi come prigionieri, escono nel mondo e lo dipingono»: quanto si è perso chi non ha mai conosciuto una matita volante…

«Se a scuola i bambini tacciono come possono diventare capaci di comunicare le proprie idee?» si chiede Lodi. Perché sono vivaci e intelligenti nel giocare ma stanno zitti in classe? E inizia, con altre/i, a inventare giorno dopo giorno «la scuola democratica della repubblica italiana» come ricorda un articolo di Gianfranco Zavalloni in apertura del volume.

Fra disegni e sogni, tra mongolfiere e giornalini da creare, fra l’incontro con uno strano prete (don Milani) e una chiocciola… «Quanta scienza c’è nel bambino che gioca? E quanto gioco c’è nello scienziato che ricerca?». Una lunga sperimentazione dove i saperi del maestro e della maestra sono importanti ma vengono dopo lo sguardo e l’ascolto che loro rivolgono ai piccoli. Come ricorda uno degli scritti che chiude il libro, con le parole di Lodi: «Molti hanno fatto confusione fra scuola attiva e scuola di promozione delle attività del fanciullo. Lasciar fare al bambino quello che vuole senza metterlo in situazioni continuamente stimolanti e senza tendere alla reazione di un collettivo che lo coinvolge è venir meno al nostro compito formativo di personalità equilibrate e creatrici. Noi dobbiamo influire sul bambino in modo positivo perché la società influisce su di lui in modo negativo, lasciarlo in balia di se stesso significa rinunciare al fine educativo della scuola». Mi viene in mente che tutto ciò vale, in altre forme, nel rapporto dei genitori con figli e figlie (**).

«Un padre, un maestro, un amico prezioso» scrivono Cosetta Lodi e Barbara Bertoletti che a Drizzona (vicino Cremona) oggi portano avanti la «Casa delle arti e del gioco» intitolata a Mario Lodi.

Non ci ha lasciato solo libri. come spiegano Carlo Ridolfi e Luciana Bertinato della rete di Cooperazione educativa «C’è speranza se accade a @». Anche in questo caso – come per Danilo Dolci – sono molte le persone che lo accompagnano in questa strada, alcuni nomi famosi ma per lo più coloro che questo sistema vorrebbe «nop» cioè le tante «non importanti persone» da opporre, svilendole e insultandole, ai pochi presunti «vip»

Una scuola che quotidianamente diverte e fa pensare, senza voti e senza «coercizione all’assenso», che vuole protagonisti «bambini liberi e felici» sembrò allora – e ahinoi tuttora sembra – ad alcune persone impossibile (siamo «nel Paese sbagliato» del sottotitolo). Così quando in tv arrivò, nel 1973, «Il diario di un maestro» di Vittorio De Seta, capitò che certi insegnanti parlassero e scrivessero di “finzione”, di invenzione: nella scuola reale non era pensabile che si lavorasse così. Allora De Seta decise di mostrare in 4 documentari (trasmessi nel 1979) che quella scuola – se si voleva – esisteva davvero; il primo di quei filmati era «Partire dal bambino: Mario Lodi». E se pensate che da quel titolo si possono anche togliere i due punti, beh… perché no?

 

EROI-BeatoIlPaese

(*) Eroi? Bisogna vedere cosa si intende. Un guerriero? Un uomo solo? Un essere superiore? In “bottega” ne ho scritto qui: Gli eroi son (quasi sempre)… e come si vede ho altre idee. Come Bertolt Brecht e il murale di Orgosolo qui sopra, io penso sia meglio non avere eroi. I quali nel pensiero dominante comunque dovrebbero essere uomini, virili che più non si può: tant’è che quando 101 anni fa l’Italia sentì il bisogno di un fiume “eroico” la Piave divenne maschio, il Piave, e da allora tale restò. Oggi per nascondere, scoraggiare, denigrare l’impegno collettivo il sistema dell’informazione e quello della fiction (a volte è persino difficile distinguerli) producono di continuo eroi e persino super-eroi. Quasi sempre fasulli. Mentre molte persone coraggiose, che lottano per i diritti di tutte/i, restano invisibili e anzi a volte marciscono a lungo in galera (Mordechai Vanunu per dirne uno) senza essere definiti eroi. In “bottega” Francesco Masala ha ripreso un film che parla di Glenn Greenwald, Julian Assange, Edward Snowden, cioè Eroi dei nostri tempi, i quali però vengono fatti passare per “gentaccia” dai potenti. Ancora più difficile che siano raccontate le vere eroine – dunque non quelle bionde e sexi dell’immaginario hollywoodiano – di ogni giorno. Anche persone informate non hanno mai sentito nominare Aminatou Ali Ahmed Haidar… E in Italia forse è persino peggio che altrove. Ma questo è un discorso per qualche prossimo post.

(**) Lo lascio suggerire ai versi di «Bambini a sinistra» di Erich Fried: «Chi dice ai bambini / dovete pensare a destra / è di destra, / chi dice ai bambini / dovete pensare a sinistra / è di destra. / Chi dice ai bambini /non dovete pensare affatto / è di destra, / chi dice ai bambini / quel che pensate è indifferente / è di destra. / Chi dice ai bambini / quello che lui pensa / e dice loro anche / che vi potrebbe essere qualcosa di sbagliato / è forse / di sinistra». Ovviamente con il riflettore acceso su quel «forse». (db)

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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