Marocco: ragazza italo-marocchina condannata per blasfemia

La storia di Siham, cittadina cittadina italo-marocchina fermata dalla polizia all’aeroporto di Marrakesh per un suo post pubblicato su Facebook nel 2019.

di Anas Chariai (*)

Il 20 giugno, Siham (nome di fantasia), cittadina italo-marocchina, è stata fermata all’aeroporto di Marrakesh, dove era giunta dalla Francia, per un suo post pubblicato su Facebook nel 2019. Nel post, Siham aveva ribattezzato i versetti coranici della sura Al-Kawthar (L’abbondanza) come “versetti del whiskey”: la ragazza è stata bloccata dalle autorità aeroportuali con l’accusa di blasfemia.

Classe 1998, Siham è nata in Italia, a Vimercate. Cresciuta a Monza, ha preso la decisione di trasferirsi in Francia, dove studia giurisprudenza all’università di Marsiglia. È stata fermata in Marocco perché per la legge è marocchina, e quindi per forza di cose musulmana, in un paese che non contempla la libertà religiosa della propria popolazione e condanna l’apostasia e la blasfemia con il carcere. Il 28 giugno, nell’udienza di primo grado, la ragazza è stata condannata a tre anni e mezzo di carcere e a una multa di 50mila dirham (quasi 5mila euro). 

Per una buona mezz’ora, dopo aver letto la notizia, mi sono perso nei miei pensieri. Fissavo la parete bianca della stanza.

Mi chiedo se Siham abbia memoria di quel post scritto quasi tre anni fa. Mi chiedo se qualcuno l’abbia denunciata. Mi chiedo se abbia indizi. Mi chiedo se quel qualcuno sia unə suə parente, come accadde anni fa a Hajar e Sanae, denunciate dalla zia di una delle due perché lesbiche. Mi chiedo se lei fosse felice di ritornare in Marocco. Mi chiedo da quanto tempo non ritornasse in Marocco. Mi domando cosa abbia provato nel tragitto dall’aeroporto alla caserma.

egitto donna araba tristeMi domando da quanto tempo fosse stata denunciata. Mi chiedo perché non abbia mai ricevuto un avviso di garanzia. Mi chiedo se il questore le abbia letto ad alta voce il post scritto nel 2019 in italiano o l’abbia letto direttamente in arabo. Mi chiedo da quanto tempo l’avesse nel cassetto e se una volta tirato fuori le abbia detto a gran voce: “Ah ah, ora ti abbiamo presa!“. Mi chiedo se l’abbia detto anche ad altri.

Mi domando se si sia sentita braccata. Mi chiedo se, alla notizia, abbia pensato a Patrick Zaki. Mi domando se ci sia davvero un grande occhio dell’intelligence marocchina messo a osservare noi ragazzi di seconda generazione fuori dal Marocco. Mi chiedo se ciò che scrivo e ciò che condivido da anni sia già sotto al grande occhio del governo marocchino. Mi chiedo se questo ufficio dell’inquisizione abbia altri nomi (i nostri nomi) in quel cassetto. Mi chiedo se sia nello stesso carcere di quei ragazzi condannati per il solo fatto di aver condiviso sui social canzoni critiche nei confronti del governo e del re. Un verso. Un solo verso, ma 3 anni di prigione.

Mi chiedo se la notizia sia già giunta alle orecchie di quei giornalisti in attesa di giudizio perché invisi al potere. Mi chiedo se sia già giunta la notizia ai giornalisti Omar Radi e Soulaiman Raissouni, in prigione da più di un anno perché i loro articoli non vengono digeriti dal re. Chissà se la notizia è giunta anche al giornalista Maati Monjib, perseguitato dal 2015 con accuse farlocche, il cui processo viene continuamente rimandato da sette anni, perché non hanno assolutamente nulla su di lui. Nel frattempo è in carcere, a marcire con le voci libere del paese e con il leader delle proteste del Rif marocchino.

Mi chiedo se per paradosso il re abbia visto nella pandemia una soluzione e non un problema: un paese in lockdown, senza manifestazioni, proteste, isolato e sempre più militarizzato. Mi chiedo come mai, ad aprile, per scongiurare eccessivi contagi da COVID-19 nelle carceri, il re abbia dato l’amnistia a 5.654 detenutə. Ma nessuna delle 5.654 persone liberate era stata condannata per reati di opinione.

carcere prigione persona detenutaMi chiedo se l’opinione pubblica italiana si sentirà toccata dalla notizia e reagirà con forza. Mi chiedo come si muoveranno le seconde generazioni che vivono qui in Italia. Mi chiedo se il governo italiano interverrà per salvare una sua cittadina da uno stato sciacallo, invasivo, patriarcale, omofobo, lo stesso stato che l’anno scorso in un famoso caso di revenge porn punì la vittima e non il carnefice. Mi chiedo se il governo italiano avrà la stessa incapacità di reazione e presa di posizione che ha avuto con l’Egitto. Mi domando se predominerà lo stato di diritto o lo stato di interesse economico.

Mi chiedo se la sua università – l’Università di Marsiglia – avrà il coraggio di battersi per riavere libera la sua studente, come l’Università di Bologna ha fatto e fa per Patrick Zaki. Mi chiedo invece se sarà omertosa e inutile come l’Università di Cambridge, quella di Giulio Regeni.

Mi chiedo se le mie amicizie italo-marocchine critiche nei confronti delle leggi oppressive e repressive del Marocco abbiano ora timore di ritornarci. Mi chiedo se l’opinione pubblica marocchina e la società civile si sia mossa in suo favore. Mi chiedo quantə marocchinə siano statə condannatə al carcere per apostasia e blasfemia. Mi domando se stia condividendo la cella con ragazze condannate al carcere perché “adultere” o magari perché trovate ad avere rapporti sessuali prima del matrimonio, o perché hanno preso la difficile decisione di abortire, o ancora perché lesbiche.

Mi chiedo se ritornerò mai in Marocco. Mi chiedo se questo mio autoesilio di 9 anni durerà ancora. Mi chiedo se non sto esagerando con queste parole, e poi mi ricordo che sto commentando la carcerazione a tre anni e mezzo di una ragazza per un post. Mi chiedo se il grande occhio, o qualche parente fascista dalla denuncia facile, leggerà mai questo articolo e magari sono già in quella lista, in quel cassetto… In tal caso ci tengo a dirvi qualcosa:” Versetto del whiskey! Versetto del whiskey! VERSETTO DEL WHISKEY! VERSETTO DEL WHISKEY!”.

(*) Link all’articolo originale: https://www.ilgrandecolibri.com/marocco-carcere-blasfemia/

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