Matematica Nera

a proposito del film «Hidden Figures» che il 25 dicembre esce negli Usa

di Jeff Foust (*)

Uno dei film più attesi dei prossimi mesi è Hidden Figures, la cui distribuzione su larga scala, programmata per il mese di gennaio 2017, sarà preceduta prima della fine dell’anno da una distribuzione limitata a una preselezione per i premi cinematografici. Il film, interpretato da Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe, si concentra su tre donne afroamericane che lavorarono all’inizio dell’era spaziale come computer umani presso il Langley Research Center della NASA, eseguendo i calcoli prima che quel termine venisse associato con l’hardware. Secondo la sinossi un elemento chiave del film è il lavoro che esse fecero per garantire il successo dello storico volo orbitale di John Glenn nel 1962.

Ma c’è molto di più, come l’autrice Margot Lee Shetterly racconta nel libro dallo stesso titolo. Cresciuta a Hampton (Virginia) era abituata a conoscere il personale, anche afroamericano, che lavorava per la Nasa, e non aveva prestato loro una particolare attenzione. Solo alcuni anni fa, tornata a casa per una visita alla famiglia, scoprì il ruolo pionieristico avuto da un certo numero di donne di colore che avevano lavorato a Langley per la Nasa, e il suo predecessore NACA, in un’epoca in cui gli incarichi di carattere scientifico e ingegneristico erano rari sia per gli afroamericani che per le donne in generale. Ne seguirono anni di ricerca per ritrovare queste donne e conoscere le loro storie.

 

Taraji P. Henson nella parte di Katherine Johnson

 

La vicenda raccontata in «Hidden Figures» inizia durante la seconda guerra mondiale, quando a Langley veniva svolta la ricerca aeronautica fondamentale per lo sforzo bellico. Il centro aveva già assunto molte donne bianche come computer con l’incarico di fare i calcoli necessari al lavoro svolto altrove dagli ingegneri, ma una carenza di manodopera spinse i funzionari di Langley a ricercare il personale più a vasto raggio. Si iniziò così ad assumere donne di colore, le quali crearono un gruppo piccolo ma in crescita che lavorava in una stanza del centro separata da quella delle loro controparti bianche.

Octavia Spencer nella parte di Dorothy Vaughan

 

L’autrice ripercorre la carriera di diverse donne, la più nota delle quali è Katherine Johnson, la donna che fece i calcoli per il volo di Glenn, o meglio, confermò quelli fatti da un calcolatore elettronico su richiesta, a quanto pare, dello stesso Glenn. Johnson, che oggi ha 98 anni, ha ricevuto lo scorso anno la Medaglia Presidenziale della Libertà per il suo lavoro, e all’inizio di quest’anno la Nasa ha inaugurato a Langley il Katherine G. Johnson Computational Research Facility, dedicandolo a lei.

Il lavoro fatto per confermare i calcoli per il volo di Glenn occupa solo una piccola porzione del libro, verso la sua conclusione. A quell’epoca, Johnson, Dorothy Vaughn, Mary Jackson e altre erano ormai riuscite a farsi accettare a Langley, avendo dovuto superare poco per volta ogni sorta di ostacoli basati sia sulla loro razza che sul loro genere. Nel frattempo si erano trasformate da computer anonimi in ingegneri e manager che lavoravano fianco a fianco con il personale maschile prevalentemente bianco. Nonostante la graduale integrazione, professionale e di altro genere, di cui godevano entro i confini di Langley, fuori dai suoi cancelli dovevano ancora affrontare la segregazione.

 

Janelle Monáe nella parte di Mary Jackson

 

«Hidden Figures» presenta alcune analogie con un altro libro sulle donne che lavorarono alla Nasa o nelle sue organizzazioni precedenti, «L’irresistibile ascesa delle Rocket Girls», sulle prime donne che lavorarono al JPL (Jet Propulsion Laboratory). In entrambi i casi le donne furono assunte come computer, lavorando separate dal resto dei laboratori e degli uffici, e passando poi gradualmente a ruoli ingegneristici grazie ai cambiamenti tecnologici e sociali. La vera differenza stava nella vita fuori dal laboratorio: nel sud della California al JPL non c’era segregazione, tuttavia non c’era quasi nessuna donna afroamericana tra quelle che vi lavoravano come computer. Nel JPL le donne si dovettero confrontare principalmente con pregiudizi di genere; le donne di Langley affrontarono oltre alla discriminazione di genere anche quella razziale.

 

Quando uscirà, la versione cinematografica di «Hidden Figures» si prenderà probabilmente alcune libertà rispetto alla storia reale: dopotutto è un’opera di fiction, non un documentario. Ma la vera storia raccontata nelle pagine di questo libro spiega bene le sfide che queste donne dovettero affrontare, rendendo le loro realizzazioni e le loro conquiste ancora più straordinarie.

(*) Recensione scritta da Jeff Foust e pubblicata su «The Space Review» lunedì 26 settembre 2016; la traduzione è di Donatella Levi, e la riprendo da «Il Tredicesimo Cavaliere 2.0»: sotto troverete il link.   Il titolo originale del volume è «Hidden Figures: The American Dream and the Untold Story of the Black Women Mathematicians Who Helped Win the Space Race» di Margot Lee Shetterly – ISBN 978-0-06-236359-6.

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