«Memorie di una astronauta» di Naomi Mitchison

di Giulia Abbate (*)

Memoirs of a spacewoman” è uscito nel 1962 ma a leggerlo oggi resta un romanzo affascinante e coinvolgente.

Mary, esperta di primo contatto con vite aliene, racconta le sue esperienze “di lavoro”, che sono spesso vicende in cui ella si immerge completamente e che le cambiano la vita – le danno persino dei figli!

Ho citato questo romanzo nel mio speciale “Sesso alieno / Attacco all’uomo vitruviano” uscito sulla rivista LINUS ad agosto 2019. In “Memoirs of a spacewoman” c’è dell’erotismo sottile e venato di emozione, e ci sono degli accoppiamenti, tra Mary e alcuni amici/alieni, davvero particolari. Ma in sè, questo non è un romanzo erotico, tanto meno pornografico.

Penso ai miei amici, e ai padri dei miei figli.
Inizia così uno dei più celebri romanzi che uniscono sessualità e fantascienza: «Memorie di una astronauta» di Naomi Mitchison.
Pensare a padri e figli non è quello che ci aspetteremmo in un testo con simili temi. Ma in questa esplorazione, poco o nulla sarà come ci aspettiamo. Magari pensiamo a pornografia, ma incontreremo morale. Pensiamo a esseri tentacolari, e ci troveremo tra umani, troppo umani.
Questo perché il sesso alieno è un esperimento intellettuale. È il dono più sovversivo della fantascienza, sviluppato principalmente dalla fantascienza delle donne.

“Sesso Alieno” – Leggi l’articolo completo su La Bottega Del Barbieri

In questo romanzo, Mitchison ha inventato la figura di “esperto di primo contatto”, che poi è stata ripresa in molte altre storie di fantascienza.

E lo ha fatto dando il massimo risalto non solo e non tanto alla comunicazione, quanto alla relazione: che coinvolge noi stessi nell’incontro con l’Altro, che ci cambia, a volte ci destabilizza perché scopriamo cose (in noi, non nell’Altro!) che non sapevamo.

Immagine realizzata da me, per Sci-fi Pop Culture

La voce narrante di Mary ha un tono familiare, quasi malinconico, a volte, nel ricordare collegh* e avventure: perché sta raccontando la sua vita in un momento in cui essa è già accaduta, e lei è anziana, e rende conto di alcuni importanti progressi nella sua disciplina e nella comunicazione con i “vicini spaziali”, progressi avvenuti grazie alle sue sperimentazioni. Mary li racconta alle sue giovani studentesse.

Un tratto importante del romanzo, che mi è piaciuto moltissimo e che a mio avviso è ancora quasi un unicum, è che la femminilità di Mary, esperta importante e ricercatrice sul campo, non è un ostacolo al suo lavoro, tanto meno una “differenza” dalla quale redimersi in qualche modo: è una realtà fisica, psicologica ed emotiva.

Il fatto che Mary a volte sia fecondata, o che i suo sentimenti materni rovinino un esperimento, non sono problemi, ma parti della scoperta e variabili delle ricerche, come tante altre.

Mary mette in primo piano il suo essere donna di per sé, senza giudizi; e Naomi Mitchison accoglie nel racconto il femminile alla sua radice, senza paragoni o contrasti, ma raccontandoci “il suo genere di forza” (per citare il titolo di un saggio molto bello).

Ripeto: è uscito per la prima volta nel 1962!
In anticipo sul suo tempo, e persino sui movimenti femministi e radicali che avrebbero poi cambiato per sempre la letteratura negli anni ’70 (ne parlo ad esempio nel post “La fantascienza delle donne“).
In Italia è stato pubblicato per la prima volta dalla casa editrice “La tartaruga blu”, di Oriana Palusci e Carlo Pagetti, negli anni Ottanta.

In questo romanzo c’è una storia, quella di Mary e del suo lavoro; e tante storie, suddivise in tanti capitoli separati, una per ogni sperimentazione, o scoperta, o progresso o incidente che Mary vuole raccontare alla sua classe.

Se non leggi e non ti piace la fantascienza, non preoccuparti: questo romanzo non contiene tecnoblabla o mirabolanti guerre spaziali: è una bella storia in sé, scorrevole ed emozionante.

Si legge con grande piacere, si capisce bene (anche troppo bene, nelle sue splendide allegorie!) e pone domande e questioni molto importanti (come quella dell’Altro, dell’alienus) che servono a tutt* noi per vivere.

Buona lettura! 🙂

(*) ripreso da www.giulia-abbate.it

In “bottega” cfr Donne astronaute con felice futuro : una vecchia recensione di Erremme Dibbì (cioè Riccardo Mancini e Daniele Barbieri) ripubblicata quando – nel 2016 – uscì la terza edizione italiana da Castelvecchi nella collana Biblioteca dell’immaginario; eBook e cartaceo.

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