«Memphis all’infinito» di Livio Horrakh

recensione di Gian Filippo Pizzo

Che cosa è veramente successo l’11 settembre 2011? I servizi segreti americani hanno cercato di modificare la storia per cancellare quel tragico evento? L’Esperimento Philadelphia e il Progetto Montauk non sono mai stati interrotti? A tutti questi interrogativi dovrà rispondere Jim Lowell, un giovane fisico coinvolto suo malgrado in una rete di spionaggio e coperture, e costretto a sperimentare di persona una disastrosa crono-traslazione nel passato.

Livio Horrakh non è uno scrittore molto prolifico ma la sua importanza nell’ambito della fantascienza italiana è notevole, soprattutto per quanto prodotto negli anni Settanta, vale a dire una serie di racconti profondamente immersi nella cultura dell’epoca, che segnano da una parte l’adesione al movimento New Wave e dall’altra (ma le due cose sono collegate) hanno come riferimento la cultura beat e la musica rock. Non a caso un suo racconto, l’ottimo «Dove muore l’astragalo» (una road story in cui il protagonista decide che in previsione della fine del mondo è meglio andare a morire nella città che fu la culla di tutte le civiltà, Babele) ottenne nel 1972 il Premio Italia nella primissima edizione di questo riconoscimento che quell’anno coincise con il premio europeo Eurocon.

Dopo notevoli romanzi come «Grattanuvole» (1977), il più breve «Il Buddha dell’era oscura» (2003) e racconti rimasti nella memoria come «Tutto l’acido dell’Impero» (1977) o «Il viaggio di D. Bow» o ancora «Heartbreak Hotel» (1984) che descrive le molte vite di Elvis Presley in vari universi paralleli, Horrakh ha recentemente dato alle stampe«Memphis all’infinito» (2017).

Un solido e ponderoso thriller fantascientifico che potrebbe essere stato scritto da uno dei più celebrati scrittori statunitensi di genere, sia per il taglio quasi cinematografico delle scene che si susseguono con ritmo frenetico che per l’accuratezza dei particolari, la descrizione dei luoghi e dei personaggi, tutto reso vivido agli occhi dei lettori. Vi si immagina che nel 2004, precisamente l’11 settembre, ci sia stato un nuovo attacco di Al Qaida che ha distrutto la Casa Bianca e che il presidente Wallace, prossimo alle elezioni e in calo nei sondaggi, autorizzi una missione segreta: inviare soldati nel passato per impedire la missione dei terroristi. Tutta la prima parte, in una narrazione alternata delle vicende dei vari personaggi che tiene viva la suspence, racconta del Presidente e dei suoi collaboratori, degli esperimenti di viaggi nel tempo, di giornalisti che hanno fiutato qualcosa e cercano di indagare, del rapporto fra gli scienziati e i generali e del ruolo dei servizi nell’eliminare le persone scomode.

Protagonista è Jim Lowel, fisico teorico che scrive articoli scientifici e che è figliastro di Sam, il capo della troupe di scienziati; implicato suo malgrado nella vicenda verrà inviato dal patrigno a Memphis nel 1954 per salvargli la vita. Ma il passato – siamo nella seconda parte – sembra non essere univoco: gli universi paralleli si accavallano continuamente cambiando tutto quello che sta intorno a Jim, cosa che fra l’altro gli consente di sfuggire ai killer che lo avevano seguito. Nella terza parte Jim, assieme a una ragazza che ha conosciuto nel passato, torna nel 2004, ma sarà lo stesso presente che aveva lasciato oppure un’altra linea temporale del futuro? Diciamo solo che che il 2004 da cui era partito non è il nostro: non esistevano gli Oasis! Vale la pena di leggere il romanzo anche solo per scoprire come va a finire, ma pure per godersi le sensazioni dei personaggi immersi in realtà sconosciute e felicemente descritte. Al contrario degli altri suoi scritti qui Horrack usa il linguaggio asciutto richiesto dalla trama, ma non va tralasciato il fatto chi si tratta sempre di uno dei pochi scrittori italiani di fantascienza capace di invenzioni linguistiche e di utilizzare uno stile che non di rado possiamo definire poetico.

(*) |Editore: Cut-Up Publishing, 2017: 420 pagine, 17 euro

 

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