Mesina: un uomo nel cellulare
lettera a Graziano Mesina
di Gian Luigi Deiana
o mesi’,
so che sarebbe molto più rispettoso lasciarti in pace, almeno in queste tue ultime ore sul mondo; ma dopo tanti anni tombali oggi di nuovo si parla molto di te, con tutta la moltiplicazione di esperti e di cellulari per scrivere, che a volte sono molto più freddi e crudeli di quelli a sbarre della polizia penitenziaria; così ne parlo anche io, chiedendoti scusa di questo; e anche chiedendoti scusa del fatto che qui non scrivo in sardo, come sarebbe giusto essendo queste righe scritte proprio per te, e però essendo scritte anche per cercare di acquietare le troppe dicerie gratuitamente in giro;
non so se per tua gratificazione o per tua disgrazia, tu sei diventato fin da giovane due cose: una persona ed un personaggio; è ben chiaro che le due entità sono assolutamente avulse l’una dall’altra; e tuttavia, per strade anche molto diverse quali i mandati di cattura, i verbali dei tribunali, le cronache dei giornali o la fascinazione nei ragazzini, è il tuo personaggio che ha sommerso fin da subito la tua persona, quasi prescrivendo di questa anche il destino: di ciò, in realtà, dovremmo tutti chiederti una specie di perdono; una persona che suo malgrado evapora nel personaggio montato come una maschera su di lui significa letteralmente, infatti, fine pena mai;
nella tua vicenda, istintivamente, io ho sempre sentito una intima solidarietà nelle evasioni; è una solidarietà di cui non mi vergogno affatto, e che sento anche oggi dopo vari decenni della nostra vita, come irrinunciabile; tutti hanno diritto di desiderare la liberazione da manette e prigioni, come tutti hanno diritto di riflettere da sé sulle ragioni della propria pena;
per il resto la tua vicenda, se ci si azzarda a passarla al vaglio di un esame onesto e razionale, resta interna a contesti più grandi e più antichi di quanto lo si sia io e di quanto lo sia tu: la diffidenza nei riguardi della legge, l’inaffidabilità dello stato, la chance persistente della vendetta privata, il furto come eccezione praticabile, l’inadeguatezza della norma statuale rispetto alle ingiustizie sociali e territoriali, ecc., sarebbero stati elementi costituenti della storia sarda a prescindere da te, e sarebbero stati tal quali anche se tu ti fossi votato alla santità, piuttosto che alla pastorizia o alla latitanza;
per questa ragione, io detesto, in questi giorni del tuo addio al mondo, tutte le sociologie che vengono montate per giudicarti, e che già dopodomani ospiteranno altre storie, e ottusamente altri giudizi, sui loro cellularini blindati nel loro vetro, dimenticandoti per sempre;
no, non è giusto giudicarti così, miscelando persona per personaggio, miti a vanvera e condizione di vita reale; quello che so, o che credo di sapere, comincia da quella visione, di quando le tue bestie si trovano senza erba, e implorano qualcosa che le faccia vivere fino a domani; e anche tutte le attese, le fughe visionarie e gli azzardi che conseguono a questo;
per il resto sono inorridito, ma non sorpreso, dal come questo Stato, questa sua risoluzione carceraria, ha trattato i tuoi ultimi anni di vita, le tue ultime settimane, le tue ultime ore: so bene che, per quanto tu abbia resistito fino che si esaurisse l’ultimo battito, in realtà te ne vai con la compagnia di tutte le vittime di carcere di questa cosiddetta repubblica, quella compagnia muta che non ha atteso l’ultimo battito, poiché è costituita in genere da suicidi: persone quasi senza nome, non personaggi da avvisi di taglia;
ma forse questa tua lunga pena, essere una persona ed insieme un personaggio, può avere il merito di parlare anche per loro, almeno per le ore dell’ultima veglia che ti riserveranno i paesani, e della tua sepoltura vicino a casa: come vedi si è compiuta su di te la vendetta, proprio questa orrida cosa: orrida poiché se la compie la pubblica autorità essa è impersonale e quindi senza alcun colpevole; ma la tua compagnia muta è il tuo perdono;
come che sia, è con tutte le vittime di prigione inutile e ingiusta, che troverai il conforto: e per quello che vale, anche col ricordo di chi tra noi, oggi e sempre, istintivamente come da bambini e anche ragionevolmente come da vecchi, continua a considerare irrinunciabile il diritto alla fuga, con tutte le ragioni che lo tendono vivo.
vai mesi’, a sa gloria
Gian Luigi Deiana 14 aprile 2025
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Taglia di Graziano Mesina rivista da Michele Marrocu Serra dalla mostra Eravamo davvero Far west? (Biblioteca Gramsciana, Casa Borrelli, Pau, OR), 2020 facebook