Messico: cresce la xenofobia contro i migranti

Razzismo, disprezzo e odio verso gli indocumentados diretti negli Stati uniti in transito dal suolo messicano. Gli argomenti sono identici a quelli utilizzati da Trump contro gli stessi messicani.

di David Lifodi

Esiste un Messico solidale, che condivide le traversie dei migranti che dal Centroamerica e dal Sudamerica cercano di raggiungere gli Stati uniti attraversando l’ultimo paese che li separa dall’american dream, ma c’è anche un Messico xenobo, come emerge sui social network, stufo dei tanti honduregni, guatemaltechi ecc.. che, nel tentativo di lasciarsi alle spalle il continente latinoamericano, spesso si scontrano con la realtà del muro, della polizia di frontiera, dei trafficanti di uomini e del clima inospitale, soprattutto nel deserto.

Gran parte dei migranti decide alla fine di restare in Messico, ritenuto il male minore, preferito da molti all’inferno del Triangulo Norte (El Salvador, Guatemala, Honduras). In una recente ricerca denominata Migrantes en Tránsito por México, quasi la metà degli indocumentados che è passata dal Messico ha denunciato atti di discriminazione di cui è stata vittima. Inoltre, se buona parte degli intervistati si dice favorevole a far attraversare ai migranti il territorio messicano, almeno un buon 60% è comunque contrario all’ingresso degli stessi indocumentados in terra messicana.

Secondo questo sondaggio, realizzato dal quotidiano El Universal, è emerso che almeno la metà dei messicani avrebbe in odio i migranti centroamericani nello stesso modo in cui il presidente Usa Trump disprezza i suoi vicini messicani. In più di una circostanza, le carovane di migranti in fuga dal Centroamerica sono state descritte come “pericolose” e “portatrici di delinquenti” sui media e sui social network. Il Conapred (Consejo Nacional para Prevenir la Discriminación) evidenzia che il razzismo ancora non è predominante tra i messicani, ma segnala che la pessima percezione dei migranti in Messico è in crescita. Inoltre, fa riflettere come il discorso razzista e xenofobo che ha preso piede in Messico contro i centroamericani sia un riflesso che, ad altre latitudini, viene esercitato proprio contro gli stessi messicani.

Già nel 2017, in occasione dell’ultima Encuesta Nacional sobre la Discriminación, se soltanto il 12% dei messicani si dichiarava favorevole alla chiusura delle frontiere, ben il 53% riteneva che, una volta prestato soccorso ai migranti, questi ultimi dovessero comunque far ritorno al loro paese d’origine. Non siamo di fronte ad una minaccia e non si tratta di un’invasione, soprattutto in un paese esteso come il Messico, precisano reti e movimenti antirazzisti, che peraltro segnalano come la vicinanza e la somiglianza con i popoli centroamericani non sia riuscita a creare quella fratellanza che invece ci si attenderebbe.

Eppure, fin dal 19° secolo il Messico ha ospitato migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, ma oggi il capitalismo è riuscito nel suo compito di mettere contro popoli fratelli in una guerra tra poveri in cui a farla da padroni sono discriminazione, razzismo e nazionalismo. Spesso vittime della tratta di persone, detenuti in maniera arbitraria o costretti a fuggire dai loro paesi d’origine in quanto rifugiati politici o per lasciarsi alle spalle le pandillas, la mancanza di lavoro, la criminalità e la povertà, i migranti sono percepiti come coloro che toglieranno determinati benefici agli stessi messicani, i quali non considerano come la loro fuga sia dettata dalla disperazione e dalla necessità di trovare un futuro migliore che spesso non riescono a raggiungere nemmeno negli Stati uniti.

Guatemala, Honduras ed El Salvador sono molto simili al Messico, a partire dalla povertà che attanaglia almeno l’80% di queste popolazioni. Tutti questi paesi hanno vissuto sulla loro pelle la rapina delle risorse da parte delle multinazionali, senza contare che lo stesso Messico è un paese da cui sono in molti a partire per cercare fortuna negli Stati uniti. Disoccupazione e sfruttamento caratterizzano allo stesso modo il Messico e il Triangulo Norte, eppure l’odiosa frase No soy racista… pero primero hay que ayudar a los nuestros comincia ad essere assai diffusa anche in questo paese. La paura di perdere il lavoro e che i migranti siano portatori di violenza sono timori in crescita anche da questa parte di mondo e l’attraversamento disperato del Río Suchiate, al confine tra Messico e Guatemala, invece di suscitare compassione verso gli indocumentados, ha rafforzato un forte sentimento antimigranti.

A soffiare sul fuoco del cittadino comune preoccupato di fronte all’arrivo dei migranti sono gruppi estremisti ancora piccoli, ma assai abili ad ottenere il consenso in rete, a partire dal Movimiento nacionalista mexicano, che equipara tutti i migranti ai criminali e li accomuna alla Mara Salvatrucha salvadoregna. Il Servizio Jesuita a Refugiados Migrantes denuncia la presenza di ronde organizzate autonomamente che danno la caccia ai migranti, mentre sui social network sono in crescita le foto di persone con l’inequivocabile cartello No más inmigrantes indeseables.

Il nazionalismo secondo lo stile Trump sembra aver fatto breccia in Messico e di fronte alla crescente ondata di xenofobia viene da chiedersi dov’è finita la solidarietà di quella Patria Grande che auspicava Simón Bolívar.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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