Messico: la privatizzazione del controllo migratorio

Affidata alle imprese di sicurezza privata la gestione, ma soprattutto la repressione, dei migranti, che paradossalmente è cresciuta sotto la presidenza di Andrés Manuel López Obrador. Il lavoro sporco dei respingimenti e delle deportazioni è delegato alle imprese private.

di David Lifodi

                                           Foto: https://laverdadjuarez.com/ (Rocio Gallegos)

Sono le imprese di sicurezza private a gestire il controllo dell’estesa frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti e dei confini tra lo stesso Messico e i paesi del Centroamerica. La denuncia, rilanciata dal sito web di controinformazione Pie de Página, proviene dalle organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti dei migranti.

In particolare, gli agenti delle imprese di sicurezza privata si distinguono per torture e abusi, in collaborazione con la polizia nazionale messicana, ma soprattutto per la deportazione in estaciones de alojamiento che sono ben diverse dalle case di accoglienza dei migranti gestite dalle organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani o da sacerdoti come Alejandro Solalinde, ma assomigliano, piuttosto, a dei veri e propri centri di detenzione.

L’aspetto più grave, tuttavia, non riguarda solo le violenze commesse dagli agenti a libro paga delle imprese private, ma anche i contratti in essere tra le imprese stesse e lo Stato messicano stipulate dal governo del presidente Andrés Manuel López Obrador. Il Colectivo de Observación y Monitoreo de Derechos Humanos en el Sureste Mexicano sostiene che, probabilmente, il governo non è in grado di assumere un alto numero di agenti per destinarli al controllo delle frontiere e, per questo, delega il lavoro sporco dei respingimenti e delle deportazioni alle imprese private.

Sono molti gli abusi segnalati, spesso dagli stessi migranti, che accusano le imprese private e la Guardia nazionale. In Messico, la militarizzazione delle politiche migratorie è divenuta una realtà consolidata. Nel 2022, il rapporto Bajo la bota. Militarización de la política migratoria en México, presentato dalla Fundación para la Justicia y el Estado Democrático de Derecho, già evidenziava molteplici abusi, soprattutto sulle donne afrodiscendenti, e più in generale, denunciava violenze secondo il profilo etnico, razziale e di classe delle vittime.

La garanzia di tutelare i diritti dei migranti ha finito per lasciare il posto ai sempre più frequenti casi di sparizione forzata, sequestri e traffico di esseri umani, scarsamente contrastati sia dalla Guardia nazionale sia dall’Instituto Nacional de Migración, ma quello che fa più male è la militarizzazione delle frontiere cresciuta sotto la presidenza di Andrés Manuel López Obrador, il cui governo si è distinto per destinare gran parte del bilancio dello Stato e di uomini (circa 28.000) proprio alla repressione dei migranti.

Il governo della destra panista di Vicente Fox, ad esempio, aveva impiegato meno militari, non più di 18.000, nel controllo dei migranti, nonostante l’Operación Centinela non fosse certo stata ideata per accogliere coloro che cercavano di attraversare la frontiera tra Messico e Usa o comunque di raggiungere il Messico.

Eppure, nonostante l’evidenza dei dati, Amlo nega la militarizzazione della questione migratoria sostenendo, al contrario, che l’utilizzo delle Forze Armate non implica “né l’autoritarismo né il militarismo”, ma, piuttosto, consente alla popolazione di sentirsi maggiormente sicura proprio grazie all’intervento dell’esercito messicano.

In realtà, l’utilizzo sistematico della Guardia nazionale da parte del governo, nonostante la stessa Gn sia definita dalla Costituzione come un’autorità civile, implica che le sue attività siano di natura prevalentemente militare, così come lascia forti perplessità l’utilizzo delle Forze Armate nel controllo migratorio poiché mira a collocare i singoli agenti nelle stazioni migratorie ritenute strategiche dall’ Instituto Nacional de Migración.

Tra le principali conseguenze della militarizzazione della politica migratoria vi sono le detenzioni e le deportazioni arbitrarie dei migranti, contrarie agli standard internazionali, ma che non sembrano turbare più di tanto i sonni di Amlo.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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