Messico: vola l’industria delle armi

Folle corsa alla produzione di armamenti in un paese dove le morti causate da armi da fuoco sono in continua crescita

di David Lifodi

La strage dello scorso ottobre a Las Vegas, una delle tante nella storia degli Stati uniti che continuano a rifiutare la messa al bando della vendita delle armi, ha delle ripercussioni anche in Messico. La Casa bianca non perde occasione per sfoggiare tutta la sua potenza militare, ma, come riportato da Alainet, in Messico nel corso di tre lustri sono morte circa duecentomila persone con armi provenienti dagli Stati uniti.

Trump, ma anche gli altri presidenti alla guida degli Stati uniti, inviano messaggi di condoglianze per i parenti delle vittime, ma si guardano bene dall’aprire quantomeno un dibattito sul controllo della vendita delle armi. Ora, secondo il settimanale Proceso, il Messico intende divenire autosufficiente per quanto riguarda la fabbricazione di armi e, con la complicità dell’ingombrante gigante nordamericano, che pure prende a pedate Los Pinos sulla questione migratoria, mira a costruire questi strumenti di morte senza dover essere obbligato ad avvertire Washington sull’utilizzo e sulla destinazione finale. Ad eccezione di alcuni congressisti democratici, allarmati per il bilancio stanziato dal Messico per la produzione di armi, negli Stati uniti sono disposti a chiudere entrambi gli occhi. Gli affari sono affari, ma le intenzioni del Messico sono bellicose. La Jornada ha scritto che, entro il 2020, il Messico punta a dotare esercito e aviazione di armi fatte in casa. Non solo. L’obiettivo della Sedena (Secretaría de la Defensa Nacional) è quello di utilizzare armamenti della famiglia FX, che comprende fucili FX-05 (con lanciagranate e baionette), pistole e mitragliatrici leggere. Se l’industria militare messicana spiccherà il volo, può darsi che il Messico provi a giocare un ruolo chiave anche nell’esportazione.

Di fronte alla corsa al riarmo del Messico, le industrie militari del vecchio continente si fregano le mani, a partire dalla tedesca Sig Sauer, che intravede l’opportunità di ricchi introiti nella militarizzazione della polizia statale e municipale del paese latinoamericano. Del resto, le spese militari dell’anno 2017, giunto ormai alla fine, sono cresciute di quasi dieci volte rispetto a quelle dell’anno precedente. In America latina il Messico è uno dei paesi che ha fatto registrare la spesa maggiore per quanto riguarda l’industria militare e, in questo contesto, si spiega l’impulso offerto dalla Sedena alla fabbricazione di veicoli da guerra terrestri, di armamenti di ultima generazione e di un centro di sviluppo tecnologico in seno all’industria militare. Ad esempio, il Centro de Investigación Aplicada y Desarrollo Tecnólogico sta lavorando da tempo alla costruzione di due cannoni prototipo calibro 05.56 millimetri. La volontà di Los Pinos, orientata a rifornire l’esercito di armi di ultima generazione, non può non far pensare che i primi a testarne l’efficacia, sulla loro pelle, saranno probabilmente le comunità indigene in resistenza, i movimenti sociali, le organizzazioni popolari e studentesche, i migranti in transito verso gli Stati uniti che spesso terminano il loro viaggio nel deserto al confine con gli Usa, braccati dai criminali e dalla polizia di frontiera.

Certo, lo sviluppo dell’industria militare messicana avrà ripercussioni anche sull’economia del paese, ma nessuno si è posto il problema che l’import-export delle armi non solo è immorale dal punto di vista etico, ma è foriero di morti e di stragi. Tra i vertici militari messicani prevale l’orgoglio di produrre armi da guerra made in Mexico per le forze armate del proprio paese in una sorta di mercato degli armamenti a chilometro zero. All’inizio di marzo il Messico ha commissionato alla tedesca Sig Sauer la produzione di circa 400mila fucili e pistole, ha evidenziato Proceso, con buona pace della denuncia, rimasta quasi isolata, del senatore democratico statunitense Patrick Leahy che un anno fa aveva espresso la sua preoccupazione evidenziando il rischio della presenza del crimine organizzato messicano, desideroso di mettere le mani su quelle armi che poi rappresentano il principale strumento di violazione dei diritti umani. Lo stesso allarme era stato lanciato anche dall’Atlas Comparativo de la Defensa en América Latina y el Caribe de la Red de Seguridad y Defensa de América Latina.

Di fronte alla scelta guerrafondaia del Messico, plaudono sia le lobby delle armi degli Stati uniti sia il loro maggior produttore, Donald Trump. Il rifiuto e il ripudio della comunità internazionale, in assenza di atti concreti, non faranno certo tornare sui suoi passi il Messico, sempre più in cima alla triste classifica dei paesi con il maggior numero di morti causati da armi da fuoco dell’intera America latina.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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