Mestrovich, Montelius, Recami, Torre e Waite

recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio (*)   

Ora. In rete. Deanna Madden, in arte Jess Reilly, magnifica 21enne mora vergine disinibita, 1,75, occhi grandi e zigomi alti, quasi sorda da un orecchio, lavora tanto con le webcam, soprattutto uomini pagano per fare sesso virtuale con lei. C’è un open space dove tutti possono entrare e chat room privata per chi paga sette dollari al minuto. E’ sempre disponibile, non si risparmia niente, ogni atto sessuale da sola, non incontra nessuno. In realtà, soffre di antropofobia (paura di interagire) e dacnomania (impulso a mordere e ossessione omicida). Da tre anni non tocca più una persona, vive in un appartamento per metà sotto luci e telecamere, per metà con scatoloni dei prodotti che il bel fattorino Jeremy le recapita a domicilio. Ha un trauma familiare, la mamma ha massacrato il padre e i fratellini piccoli quando lei era poco più che 17enne, è stata coi nonni e al college. Poi si è chiusa dentro, capisce che un suo cliente potrebbe uccidere una bimba, reagisce. Ti prende l’hot noir dell’americana 28enne Alessandra Torre («La ragazza del 6E», Bookme 2014, pagg. 318. euro 12,90; traduzione di Luca Fusari), in prima e terza. Gemiti e cibo spazzatura.

Stoccolma. Autunno 1990. Lo spettinato Tobias Meijtens, precario dottore di studi storici, tassista, piano barista, ora ha un contratto per il nuovo importante settimanale «7plus», sei mesi come redattore semplice e factotum. Sta dietro al caso dell’area che può divenire edificabile, l’inghippo viene scaricato su un funzionario che si suicida. Vive dalla giovane graziosa studentessa di pediatria Hanna, si prendono una pausa. Sente puzza di bruciato intorno alla morte di un uomo con passaporto albanese, non riconosciuto, con segni di torture scoperte dall’autopsia. Il senzatetto, unico potenziale testimone, viene investito. Viene fuori un vecchio scandalo del 1965, la scomparsa di una presunta spia sovietica, il suicidio di un’altra. I servizi vogliono coprire identità vere e false, allora c’erano i comunisti. E come si stava in Albania? Meijtens indaga con la collega Natalie, senza coperture. Bella storia abbastanza ben raccontata l’esordio letterario del 49enne diplomatico ambientale internazionale Magnus Montelius («L’inganno del passato», Marsilio 2014, pag. 366, euro 18,50; originale «Mannen fran Albanien» 2011, traduzione di Laura Cangemi), in terza varia.

Urban Waite

«Gli sciacalli»

traduzione di Stefano Viviani

Piemme

304 pagine, 16.50 euro

Frontiera Usa-Messico, Las Cruces-Coronado (New Mexico). Primi anni novanta. Ennesima efferata ambientazione nel narcotraffico per il secondo romanzo del bravo 30enne Urban Waite, «Gli sciacalli». Il freddo infallibile 50enne Ray Lamar, testa rotonda e carnagione scura, sopracciglia folte e capelli corti (grigi ormai), vuole smettere con gli ammazzamenti e tornare a casa (dal figlio che ormai nemmeno lo ricorda). Accetta dallo spietato capo Memo un ultimo delicato lavoro, come sempre più complicato del previsto, questa volta si mette contro pure il cartello di Juarez. Feroce è feroce, sembra però tutto già un poco letto.

Milano (e Lugano). Gennaio 2013. Nella casa di ringhiera non passa settimana senza nuovi sconvolgimenti. Il bel 65enne pensionato investigatore (e coglione) dilettante Amedeo (appartamento 8) viene incaricato da una ricchissima vedova mora (stile Crudelia De Mon) di trovare la figlia Marilou. E’ distratto perché Angela (2) non lo vuol più vedere, la figlia non gli fa più tenere il nipote e l’alcolizzato Claudio (ex 15) gli chiede asilo, ma ci si mette di buzzo buono e scopre molto. La regina del gossip falsa invalida Mattei Ferri (12) gli fa utili ricerche e spia tutti gli altri inquilini. Angela tiene lezioni di buone maniere ad Antonio (9), il manovale che sistema l’altro suo appartamento (22), pur molto preoccupata per il proprio manoscritto (un’incredibile storia vera) finito nelle mani del grande editore e di un editor antipatico, senza il finale. Esilarante e molto ben congegnato anche il quarto ottimo romanzo della dissacratoria serie (di sei) del fiorentino 58enne Francesco Recami («Il caso Kakoiannis-Sforza», Sellerio 2014, pagg. 378, euro 14), in terza varia al passato, più noir degli altri. Ravel e trattoria “La bella Trapani”.

Venezia. Carnevale 2008 (aprile?). Lo scapolo 56enne ex ispettore capo della Polizia Giangiorgio Tartini, studi classici e laurea in Giurisprudenza, esce da un brutto periodo. Nel gennaio dell’anno prima l’amata prostituta Mitzi era scappata con i suoi soldi e lui aveva tentato il suicidio con la pistola d’ordinanza. Dopo convalescenza ed esonero, torna in Corte Colombina con il gatto Annibale, vivendo di lezioni private (insegna violoncello). L’amico ed ex collega Dario Farsetti lo coinvolge nel caso di una giovane graziosa biondina uccisa da un uomo alto e grosso con forbici per mancini e strani rituali. Seguiranno nei giorni successivi altri quattro analoghi omicidi: motto in latino, biglietti di banca (30 euro), maschera stile libro di Poe. Indaga che t’indaga, con richiami settecenteschi in un’ottima ambientazione lagunare, alla fine lo prendono. Un po’ scontato e zoppicante il nuovo romanzo del musicologo 68enne Stelvio Mestrovich («La maschera della morte rossa», Flaccovio 2014, pagg. 128, euro 13), in terza fissa, oppure in prima sul cattivo Elemosiniere. Trattoria riservata e cucina zaratina. Musiche barocche ed esecuzioni memorabili.

(*) Le recensioni di Valerio Calzolaio escono in prima battuta sul settimanale «Il salvagente» (db)

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