Mezzo milione di poveri in più, l’ultimo rapporto Caritas

di Gianluca Cicinelli

Nuovo rapporto e nuovo allarme della Caritas sull’aumento della povertà in Italia. Ieri è stato presentato il quarto monitoraggio, un anno e tre mesi dopo il primo lockdown, e le cifre sono sempre peggiori: 453 mila persone, il 60% italiani e il 53,8% donne, sono state prese in carico per la prima volta dal sistema di assistenza delle parrocchie e dei centri di ascolto soltanto nei sette mesi che vanno da settembre 2020 a marzo 2021. Si aggiungono quindi ai 4 milioni e mezzo di persone ritenute, in base agli standard internazionali, al di sotto della soglia di sopravvivenza. Oltre 5 milioni di persone in Italia non potrebbero mangiare, dormire al coperto e affrontare cure mediche se non intervenissero a sostegno le istituzioni pubbliche e le associazioni laiche e confessionali di lotta alla povertà. E’ sbagliato però parlare di una faccia nascosta della crisi economica derivata dal covid. Questi dati sono soltanto il prologo di una lacerazione del tessuto sociale italiano destinata a diventare frattura vera e proprio quando terminerà il blocco dei licenziamenti.

Al monitoraggio hanno partecipato 190 Caritas diocesane, portando i dati ricavati dal primo settembre 2020 al 31 marzo 2021. Alle Caritas durante questo periodo esaminato si sono rivolte per chiedere aiuto 545 mila persone e una su quattro di loro, è caduta in povertà assoluta durante la seconda ondata di chiusure imposte dal contrasto al virus. Sembrerebbe un nesso di causa ed effetto naturale ma in realtà è un dato estremamente importante che diventa politico. Va fatto notare che il periodo preso in esame riguarda il momento preciso in cui, poco e male, il governo aveva materialmente erogato aiuti, dopo aver disposto nelle settimane precedenti provvedimenti economici a sostegno delle fasce di popolazione ritenute maggiormente colpite dalla crisi. L’incremento dei poveri è dunque avvenuto quando il governo aveva individuato le categorie da sostenere e il dato dimostra, qui lo cito senza dialettizzare implicazioni che chi legge potrà sviluppare da solo, che categorie ed entità dei sostegni erano nel migliore dei casi insufficienti se non frutto di un errore di valutazione molto grave. Si potrebbe obiettare che se non fossero stati presi quei provvedimenti la situazione sarebbe anche peggiore, tuttavia risalgono proprio a quel periodo le proteste delle categorie escluse o scarsamente risarcite a cui il governo oggettivamente non ha dato il giusto peso. Questo accade quando si governa senza un confronto con le parti sociali e senza dialettica parlamentare, pur con tutti i distinguo relativi alla situazione altrettanto oggettiva di emergenza.

La conferma a questa tesi viene proprio dagli ulteriori dati raccolti dalla Caritas, perchè le persone a cui si è rivolto l’aiuto dell’associazione cattolica nel 61% dei casi avevano impieghi già precari o al di fuori dei meccanismi di protezione sociale di legge da prima della crisi da covid e il 40% delle persone aiutate erano autonomi e stagionali in attesa delle misure di sostegno. Un terzo degli assistiti invece erano dipendenti che ancora non avevano ricevuto la cassa integrazione. Se quindi la Caritas ci segnala che la povertà prevale a partire dal precariato lavorativo, soprattutto femminile, e dalla disoccupazione giovanile, dobbiamo concludere che i ceti sociali su cui si è abbattuta con maggior forza la crisi sono quelli già a rischio da molto prima del covid. Anche qui è utile lasciare al lettore le sue valutazioni, ma è importante sottolineare che non c’è una vita interrotta e sospesa in attesa della fine dell’emergenza, c’è una parabola economica che accelera esponenzialmente con la pandemia perchè già destinata da prima a esplodere più lentamente.

Come sempre le cifre fornite dalla Caritas sono spietate. Sul totale del campione in esame l’84% si è ritrovato in emergenza abitativa, e la povertà educativa, abbandono scolastico e difficoltà a seguire le lezioni online, si è verificata sull’80% del territorio italiano. Come abbiamo spesso ribadito dare da mangiare a chi non ha cibo è naturalmente l’intervento primario da realizzare ma la povertà educativa è una mina che se colpisce come cifra statistica nell’oggi diventa una bomba a orologeria per i poveri di domani. Significa mancanza di possibilità di aspirare a molteplicità di lavori e a uscire dalla condizione di povertà permanente. E se per il momento non è un dato direttamente economico diventa però socialmente inquietante quando scopriamo che dai colloqui con gli operatori diocesani l’80% dei giovani monitorati ha denunciato un disagio psicologico e sociale nell’affrontare la vita in questo momento. Certo, quando devi rinunciare alle cure per motivi economici non sei portato all’ottimismo nel futuro. La povertà minorile poi riguarda il 66% dei nuclei familiari analizzati, mentre resta senza un dato numerico ma in costante crescita, secondo quanto segnalato da metà delle Caritas impegnate in questa ricerca, la violenza tra le mura domestiche. Sembra davvero il ritratto di un Paese che ha gettato il proprio futuro alle spalle.

ciuoti

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