Michele Licheri: «Angeli operai»

«ANGELI OPERAI» (*) è divisa in tre parti. Il primo tempo va dall’inizio sino al brano GLI OPERAI DEL XXI°; il secondo tempo comprende IL CICLISTA ANGELICO; il terzo tempo: LEGALITA’.

OTTO ORE NEL CANTIERE

Il martello pneumatico penetra la terra stanca,

percuote la strada antica,

ne sgretola le pietre

e ti ubriaca i timpani sempre.

Nel cantiere dove lavoro,

ti urla contro per otto ore

il martello pneumatico.

Colpi di piccone sulla terra arsa,

sulla roccia dura;

sotto un estremo cielo rosso-azzurro libertario;

colpi di piccone che vibri colmo di rabbia

in fondo alla trincea fangosa,

o a volte sbeffeggiando il destino.

Bocche dal ghigno sardonico

che sanno d’alcol e di tabacco;

che imprecano, fischiano e cantano;

corpi di atleti immolati sull’altare del profitto,

titanici e polverosi badilanti

che grondano sudore sui giorni,

sui mesi, sugli anni,

sulle otto ore:

sommate, moltiplicate, indivisibili

per soddisfare lor signori “i padroni” pochi

e stancare gli insoddisfatti, tanti,

che dispongono di una notte breve

per prepararsi a reinterpretare l’indomani:

lo show delle otto ore.

1975

MERIGGIO AL LOMBRICO

Niente disseta meglio dell’acqua.

Forse che la natura sbaglia?

Eppure quel meriggio assolato

abbisognava del consolatorio spumeggiante.

Cinquanta metri di cavo da cento coppie

inderogabilmente andavano posati;

le gole arse rinfrescate;

l’umore in calando pure risollevato:

e la fatica -per Giove- ammansita.

Caso volle che l’attenzione

in un momento di stanca

si spostò dal lavoro verso un lombrico

che si muoveva tra le zolle della trincea.

Lesto fu Antonio a lanciare la tenzone

seguito da Gary Cooper Francesco

che raccolse la sfida.

Si trattava di mangiare il verme

-mezzo per uno-

in cambio di alcune fresche casse di birra.

La squadra operaia avrebbe pagato il conto.

Si sottoscrisse il patto

e l’anelide fu divorato.

Il cavo fu posato (e sopra sabbia, mattoni e terra

il tutto ben rullato)…………………..

A fine lavoro la birra traboccava;

altro e alto era l’umore dei lavoratori

nell’ora che volgea al disio………….

Solo un ricordo il cavo sbobinato.

1975

ERKULES ARKELAO

A dispetto della sua personalissima struttura:

poco sopra l’uno e sessanta

(normo-tipo nevrile, magro),

manovrava il martello pneumatico pesante

infinitamente meglio di tanti

all’apparenza più prestanti.

Triturava una quantità di terra, pietra e roccia

nell’unità di tempo del lavoro,

difficilmente raggiungibile da altri.

Rendeva quell’unità produttiva!

Il cantiere annoverava uno Stachanov?

I suoi scavi erano simmetricamente,

metricamente perfetti:

lunghezza e altezza proporzionali al tempo.

Lavorava duro Arkelao.

Con quel lavoro tum-tum rumoroso

e spacca-tutto,

spacca se stesso

-piuttosto polveroso-

sosteneva al meglio la famiglia

che rivedeva a fine settimana;

permetteva a un figlio

di studiare all’università.

Un dì mancò.

L’assenza si notava.

Inusuale.

E ancora giorni d’assenza.

Lo rincontrai una mattina

sul primo bus per la città.

Più magro, si recava all’ospedale

per curare un’ulcera degenerata.

Non durò tanto quell’ercole minuto:

lui dipartiva,

il figlio si laureava.

1975

DA SCAVEZZACOLLO A RIVOLUZIONARI

Da scavezzacollo a giovane di buone intenzioni

il passo può essere breve.

Destino fu riscoprirsi sabotatore

dell’ordine morale,

dell’ordine costituito,

mettendosi alla testa di certa umanità

che poco capiva certe teorie

capaci di cambiare il mondo.

Teatro dei subblugli, delle assemblee:

Il Cantiere Operaio.

Un nemico comune: il padrone!

Ma le generazioni tra loro collidevano:

anime temprate dal fuoco della necessità

e avvezze alla fatica,

resistenti al dolore e al peggio del mondo,

mal digerivano i proclami;

i giovinastri velleitari,

rivoluzionari.

Che mai era per noi:

l’etica del lavoro,

il senso del dovere?

Per “chi e come lavori”

restavano domande insolute.

Che mai sarà se impolveri fegato e polmoni?

Quando c’è il lavoro c’è tutto.

La ricapitalizzazione,

gli utili?

Non è affare nostro.

E così via a condividere fatiche

e mai gli utili.

Gli operai sono nel presente

mai proiettati nel futuro;

ancorati a diversi credi,

a diverse chiese,

ignari del Kolchotz,

della neo-solidarietà.

Identificano il socialismo

con un dittatore baffuto

che ha deportato

e ha ordinato esecuzioni,

fortuna nostra che ha proclamato

-vincendola!-

La Guerra Patriottica.

Il resto, storicamente inoffensivi restano:

i giovani rivoluzionari.

1975

ARCORE

Quando il “burlesque”

e le imprese

le glorie

d’un certo “Cav.” in arnese

erano ancora da venire

ad Arcore pulsava la Gilera:

Fabbrica Di Motocicli

e di motori vari.

Vi lavora anche Sandro

-mio amico e disfattista-

che completati il numero dei pezzi

imposti dalla Direzione

soleva leggersi il giornale.

Ben visto -non era-

il gesto della lettura in produzione;

quantunque la richiesta produttiva

fosse espletata.

Per questo, qualcuno, puntuale

giungeva a redarguire;

chiedendo un surplus di pezzi

così da occupare il “tempo”

imposto dalla Fabbrica.

Vi sono regole che non puoi trasgredire!

La Fabbrica, prima che sia occasione

o possibilità di guadagnarsi il “pane”

è gerarchia, caserma, orizzonte concentrazionario.

Qualcuno pensa che al “lavoro” ci si elevi

o ci si affranchi da qualcosa;

piuttosto, mi par s’insegni:

il gesto di certa pronitudine;

che vuole il debole soccombere

perpetuando il dominio onnipresente

del potere.

ACCANTO ALLA GILERA

Di fianco alla GILERA fabbrica di motocicli

in Via Nazario Sauro Patriota in via Falk angolo Tankys patriota

v’era il maniero di Garancini Jo: di Ludo Fruttidoro

scrittore, poeta e direttore di “abiti-lavoro”.

Operaio era anche all’ AUTOBIANCHI; Operaio era anche all’AUTOBRASCHI;

ma avendo non pochi grilli per la testa,

fondò una rivista letteraria:

di Letteratura Operaia,

quindi non pago dell’impresa

aprì pure la Libreria 92. detta 63.

Non so che faccia adesso

ma ho un bel ricordo;

di lui e del suo genio

capace di volare

mai domo

mai domato.

UN VECCHIO AMICO

Un vechio amico che lavorava in fonderia

tra gironi danteschi che neppure la “Commedia” annoverava,

quantunque la pesantezza dell’aria,

che corrodeva o torceva le budella,

riuscì comunque ad inquadrare il mondo

da ben altra prospettiva.

Si fece fotografo con relativa macchina al collo

e prese a raccontare della vita ben oltre le apparenze.

La fonderia era il cuore pulsante di quel borgo di mare.

E il nome, Piombino, la dice proprio tutta

sulla pesantezza infuocata di quel luogo.

Ma il Pino che si fece leggero ma ben più scaltro d’Icaro,

evase dalla fonderia spiccando il volo

da quelle rupi del borgo fronte-mare

per essere errante e narrante di novelle e epifanie.

Vi sono spiriti liberi che non possono essere fiaccati dalla fabbrica;

ma che non dimenticano lo spirto solidale alimentato alla bisogna

e che la fatica rende uguali, livella o arricchisce in tuta:

poiché nella scoperta delle differenza/diversità dell’altro/a

sta il vero e lecito guadagno.

Che mai l’occhio di Pino stia scovando non mi è dato sapere;

penso -però- che il suo obiettivo sta scandagliando in piena libertà.

SE IL FOSCOLO E IL BRUGNARO

Se il Foscolo mastro di sonetto et altro

invece che andar ramingo di terra in terra

si fosse trovato nello stabilimento di Marghera

sarebbe mai riuscito a verseggiare

tra il cloruro di vinile?

Che estetica avrebbe mai donato al mondo,

quale poiesis si sarebbe mai levata,

quale luce caravaggesca avrebbe brillato

e vinto i fumi delle ciminiere?

Ugo avrebbe certo incontrato poeta Brugnaro

alla darsena in ombra.

Che puntuale come Virgilio il sommo

di Mantova gli avrebbe fatto da guida

per quei gironi infernali petrolchimici

-una volta scansati Caronte &Cerbero- s’intende.

Conversando con Ferruccio avrebbe capito

che l’estetica poetica ha tante e ben altre sfumature;

e che l’argomento talvolta esula dal tema

nostalgico o della Repubblica perduta.

Inoltre tra quei gironi avrebbe scoperto

che le fatiche umane et operaie

non sono castighi, divine pene,

ma moduli o irregimentazioni volute

dai patrizi, da speculatori & dogi.

Tra quelle nubi e i fumi marcescenti

la vita stenta e a fatica la fantasia si libera.

Solo per il salario si ridiscende quotidiani

e a turno in quell’inferno.

Eppure, Brugnaro il lottatore:

seppe cogliere vitali cenni tra quei luoghi;

e mai perse il senso e il corso caduco del tempo

e di stagioni;

mai domo, proiettato sempre contro l’ingiustizia;

alé avanti verso altri orizzonti.

IL LAVORO RENDE LIBERI

Il lavoro rende liberi e avvelena

affrancando dalla miseria.

Buffo e macabro alle stesso stempo

il concetto: vero e non lirico.

Se non ti fai domande, fratello,

puoi far tutto nella vita:

anche uccidere un tuo simile

-quanto indirettamente?-

se fabbrichi bombe che

squassano alla grande;

oppure puoi ucciderti lentamente

coinvolgendo i tuoi vicini e i bimbi

in avvelenamenti di piombo, fluoro,

arsenico, cadmio, tallio, mercurio

e idrocarburi aromatici,

certo comunque della tua busta-paga.

Facile trovar le rime alle neuro-tossine!

Più difficile è essere lirici

nei distretti industriali

che ammorbano terra, acqua e aria

alle comunità dintorno.

Quale prosodia futura canterà

le gesta di questo popolo bizzarro

che ovunque svende la Gaya Madre Terra?

Eppure lavorava e consumava

e ora non lavora più.

Restano i metalli pesanti

e i fanghi rossi

e l’illusione del mercato

e la bauxite magica.

Perseverare è diabolico:

schakespeariano (scespiriano),

elettricamente psichedelico

ma tossico.

QUANTI

Quanti dei poeti di fabbrica

andarono in pensione da operai?

Pochi, in verità.

C’è chi tirò le cuoia ben prima

e non liricamente:

il cancro ha ben poco di poetico

così pure un infarto

o le neuro-tossine.

Quantunque il fato avverso

e le ristrutturazioni industriali,

i più fortunati cambiarono mestiere.

Non smisero di “fare arte”  Smisero di fare arte? No.

tanto meno di sostenere

la “letteratura operaia”

o di opposizione.

Era la classe operaia a cambiare:

disarcionata dal “caballo” proletario

-pre-pensionata o in mobilità-

ben ammaliata dalle merci

offerte nelle “Città-Mercato”;

retrocessa da classe

a sparuto gruppo,

individuo,

desperado,

eccola prona

o ammansita

dal monarca delle televisioni,

al soldo dell’offerta del momento.

La morale della storia?

Doppia:

parallela al lavoro e all’arte;

una falsamente affrancante

l’altra illusione di libertà.

SABATO HO SCALATO

Sabato ho scalato l’Alba Dorada.

Domenica son ridisceso a valle

e al tramonto sono andato a dormire beato.

E’stato un fine-settimana inusuale;

Lunedì si torna all’usuale ritmo:

all’ovvietà del quotidiano.

La produzione industriale,

l’offerta e i diagrammi di mercato,

la libertà di consumare di più e di tutto

come indicatore della felicità di massa:

cos’hanno di tanto eccezionale?

La democrazia sta nella libertà di consumo?

GLI OPERAI DEL XXI°

Abbiamo faticato da operai

in lagher fumanti dette fabbriche

che il mercato ha dismesso

mettendo a tacere sirene e vite

Il pareggio non c’è mai stato:

altrove si è riattivato il profitto?

Ci restano archeologie industriali

e radicati veleni

che fanno maturare

cancri esponenziali

Abbiamo scalato torri non vette innevate

per richiamare l’attenzione

verso i “dannati della terra”

che non avevano niente da perdere oramai

solo la vita forse

Abbiamo battuto elemetti da lavoratori sulle piazze

e intonato cori di liberazione

per rivendicare udienza

pretendendo il dovuto

nel palazzo del potere

perché il posto di lavoro non si tocca!

Tacevano sempre i padroni del vapore

e il presente si accorciava

e così il fiato in corpo

morso dalla stanchezza dalla precarietà

che di te fa un senza patria

un senza diritto a essere

o un partecipante

all’inganno democratico

dettato dalla sperequazione

tra chi ha e chi no

e il futuro si è frantumato

così pure l’umanità

e noi raminghi:

Che mai avremmo dovuto fare?

Noi gli appartenenti alla classe smembrata:

Alzare il tiro

insorgere?

Aprire la porta di casa alla miseria?

Colui che perde il lavoro è un uomo morto!

Tramonta un’epoca

e tace la vita nei reparti

In un altro tramonto la Piazza è inanimata

futuristicamente ferma e ostaggio della forma

Le feste e i drappi garrenti

sono solo un “recuerdo” velenoso:

Prossima si annuncia la fine degli eventi

a meno che…..

A GIANFRANCO

(Ciclista Angelico)

1° TEMPO

S’avanza, navigando a vista,

verso remoti orizzonti,

nella caducità del tempo;

o, se vuoi, con ironia,

fumandoci la vita.

Comunque sia

-poiché non si è che un attimo-

se il sole anche quest’oggi è sorto

sorridi e brinda.

2° TEMPO

Che scacco! La tua assenza.

Ma ovunque tu sia

con te noi pedaliamo.

Così sia! E sia.

3° TEMPO

La morte è uno scacco al re!

I se, i ma, i per come:

una serie di domande

nessuna risposta;

un arcano;

un rebus insoluto.

FINALE

Il tornitore se lo mangiò la macchina.

Lo smembrò; tutto lo scardinò;

sino ad affogarlo nel suo stesso sangue.

Il ciclista pedala ancora nel vento.

Invisibile lo sentiamo nel gruppo ansimare

e pistonare sui pedali

vorticando le gambe:

ora passista, scalatore, oppure

rapido velocista;

sotto un cielo d’azzurro immenso

teatro d’apoteosi collettive.

Noi si pedala insieme;

sognatori verso l’estremo.

Alle spalle il degrado del mondo, dell’uomo

che ignora il proprio simile ogni volta che soffre;

ogni volta che ha fame;

ogni volta che muore.

L’eroe vede la vita con amore.

Quest’oggi il tornitore è un ciclista innamorato.

 

LA LEGALITA’

La legalità per affermarsi

abbisogna di meno sperequazione:

che so, che tutti almeno abbiano un lavoro

e che i datori di lavoro -bando al vetero padroni!-

rispettino le regole come gli operai.

Quando muore un operaio

-pur la morte livellando-

non è lo stesso di quando muore il principale.

E se otto ore vi sembran poche

non è un buon motivo aumentarle

per esigenze di mercato.

La legge di lavoro

è una buffa alchimia

che non tiene conto

delle disparità

tra chi ha e chi no,

ovvero tra chi incassa

e chi produce.

A patto che tutti rispettino le regole:

l’infortunistica dovrebbe avere ben altra considerazione.

Inoltre, mia cara democrazia smemorata

mai tieni conto della ricostruzione:

gli operai costruirono asili, scuole, municipi, fabbriche etc.

col lavoro volontario.

Sempre e comunque lavoro da sfiancare.

Poi venne il bum: l’economic-boom!

E gli operai presero a consumare e scioperare,

non solo per i loro contratti,

ma anche per gli altri, per solidarietà:

per la Cina, per il Viet-Nam, per l’Angola e il Mozambico,

per la libertà di Nelson Mandela;

per l’operaio vicino e lontano,

per il diritto allo studio,

per la Rinascita, per il sud e contro il terrorismo,

contro il militarismo, la mafia e per la polizia.

Ehi, tu: Police-Man sai quante ore di sciopero

sono state fatte per la tua personale democratizzazione?

Pasolinianamente si porgeva l’altra guancia

ai “proletari in divisa” che per decenni, come celere,

avevano manganellato gli operai che difendevano

democrazia e lavoro.

Ehi, tu: Police-Man democratizzato:

a cosa sono servite quelle famose ore di sciopero

se i tuoi colleghi si son fatti il selfie dopo-servizio

mostrandosi orgogliosi ostentare il saluto romano.

Facile fare i fascisti in democrazia.

Democrazia non operaia

ma neppure liberale,

in tempi in cui

si randella coloro che perdono

il posto di lavoro.

 

WORKING CLASS BIKE

Mi hanno ammaccato la bicicletta.

Era nuova di zecca

sportiva e nervosa

come si addice

a un artista del pedale.

Scalai persino un camino

non so come e perché

evitai lo scimmione del “giallo di Poe”

(lui assassino e corpulenta creatura)

non evitai celerini e caramba

là davanti al palazzo

pedalavo con gli operai

a cui toglievano la speranza

a cui minavano dignità

-senza lavoro chi mangia?-

Qualcuno in parlamento lo sa

per questo ci hanno manganellato

e la bicicletta mi hanno ammaccato.

(*) spiega l’aurore che “ANGELI OPERAI” è un’operetta antica. Alcuni brani risalgono al 1975. “Questa prima parte testimonia il mio periodo operaio: non solo in senso letterario ma pratico, in quanto lavoravo con un’azienda elettrotelefonica. Il secondo atto (il mio periodo da sindacalista) è stato pubblicato da Marimbo Box (California) e tradotto da Jack Hirshman”.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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