Migranti lasciati morire di freddo

(come nel film Green Border, di Agnieszka Holland)

articoli di Alessio Giordano e Collettivo Rotte Balcaniche (ripresi da altreconomia.it, osservatoriorepressione.info e pressenza.it)

Bulgaria: «Arrestati per avere salvato vite umane» – Collettivo Rotte Balcaniche

Migranti, tre insegnanti fermati in Bulgaria, «arrestati per avere salvato vite umane» Il comunicato di Collettivo Rotte Balcaniche

La Polizia di frontiera bulgara impedisce il soccorso di tre migranti minorenni in pericolo di vita. I corpi, abbandonati nei boschi tra la neve e in parte mangiati dagli animali, sono stati recuperati dal Collettivo Rotte Balcaniche e da No Name Kitchen diverso tempo dopo.

La Polizia di frontiera bulgara ha abbandonato nei boschi tre minorenni egiziani, Ali (15), Samir (16) e Yasser (17), di cui erano state ripetutamente segnalate le condizioni critiche: l’omissione di soccorso da parte delle forze dell’ordine e i continui ostacoli alle operazioni di salvataggio degli e delle attiviste hanno portato alla loro morte.

Nelle prime ore del mattino del 27 dicembre, le squadre di soccorso del Collettivo Rotte Balcaniche e di No Name Kitchen (NNK) hanno ricevuto le segnalazioni di tre minorenni soli e a rischio immediato di morte, probabilmente per ipotermia, vicino alla città di Burgas, nel sud-est della Bulgaria. I video che accompagnavano le segnalazioni mostravano due di loro sdraiati, privi di sensi, sulla neve. È stato chiamato il numero di emergenza 112 numerose volte, chiedendo assistenza immediata. Le squadre di soccorso hanno subito cercato di raggiungere a loro volta le persone al più presto, ben sapendo per esperienza che la Polizia di frontiera è solita omettere il soccorso delle persone in movimento o respingerle in Turchia (pratica definita pushback e dichiarata illegale da tutti i trattati internazionali, specie se nei confronti di minori non accompagnati). Gli e le attiviste sono state tuttavia bloccate più volte dalle pattuglie della Polizia di frontiera e per questo non sono riuscite a raggiungere i minori. Hanno quindi esortato la polizia a farlo ma sono state minacciate e brutalmente allontanate.

Il 28 dicembre, le squadre di soccorso sono riuscite finalmente a raggiungere i luoghi delle prime due segnalazioni, condivise il giorno prima con il 112, e hanno trovato due adolescenti morti. Uno era coperto di neve, l’altro era sdraiato con la testa in una pozzanghera. Il 29 dicembre, gli e le attiviste sono quindi andate nell’ultima posizione ricevuta. Non solo hanno trovato il terzo corpo, ma parti di esso erano lacerate: un piede e la testa erano stati mangiati dagli animali. Mentre il primo corpo è stato trovato a 20 metri dalla posizione segnalata alle autorità, gli ultimi due corpi sono stati trovati alle precise coordinate GPS fornite al 112 ed erano chiaramente visibili lungo il sentiero.

Sulle risposte delle autorità sembrano esserci due sole spiegazioni possibili: o hanno visto e abbandonato le persone moribonde dopo averle trovate, oppure non hanno mai raggiunto le loro posizioni, pur avendo chiare indicazioni. Distinte impronte di stivali militari sulla neve intorno a uno dei corpi – poi cancellate quando la Polizia di frontiera ha dovuto recuperare il corpo – suggeriscono che degli agenti erano presenti nelle ore precedenti, ma non hanno soccorso la persona, forse quando poteva ancora essere salvata.

Sebbene su scala minore, le autorità sono state violente anche verso gli e le attiviste: oltre a numerose intimidazioni, la Polizia di frontiera ha costretto una squadra a camminare al gelo di notte per ore, ha ordinato a un soccorritore di trasportare a mano uno dei corpi senza vita, e altri ad essere trasportati nel bagagliaio dell’auto della polizia. Pratiche in linea con quanto avviene da tempo e di cui il Collettivo Rotte Balcaniche è testimone dall’estate del 2023. Omissioni di soccorso nei confronti di persone che richiedono assistenza medica urgente, respingimenti in Turchia di persone in gravi condizioni mediche, morti e una repressione sempre più dura nei confronti di chi porta la propria solidarietà. Solo pochi giorni prima, dopo aver soccorso tre persone, quattro soccorritori del Collettivo Rotte Balcaniche erano stati messi in detenzione per l’intera notte in una stanza fatiscente e senza materassi in una caserma, e lo stesso è avvenuto il 29 dicembre ad alcuni componenti di NNK, la quinta volta a partire da settembre.

Le politiche migratorie europee stanno trasformando le frontiere di terra e di mare in veri e propri tritacarne autorizzati, che mettono le persone in pericolo e poi ne omettono il soccorso, rendendosi di fatto dirette responsabili della loro morte. Queste politiche hanno ucciso Ali, Samir e Yasser, così come decine di migliaia di individui alle frontiere europee negli ultimi vent’anni, e ne uccideranno molti altri se non verranno fermate. Non sono fallimenti delle politiche, ma le politiche stesse. Come premio per tutto ciò, alla Bulgaria è stato appena concesso l’accesso all’area Schengen.

Nicholas, attivista di No Name Kitchen, racconta a Radio Onda d’Urto la notte del 27 dicembre, durante quale la polizia ha impedito loro di soccorrere i tre ragazzini egiziani trovati morti. La notte sucessiva, il 28 dicembre, Nicholas è stato interrogato e fermato per ore dalla polizia bulgara. Ascolta o scarica

Della repressione lungo la frontiera bulgara-turca Radio Onda d’Urto ne aveva parlato  con attiviste e attiviste del Collettivo Rotte Balcaniche Alto VicentinoPotete riascoltare l’intervista cliccando qui.

da qui

 

 

“Le autorità bulgare hanno contribuito all’assideramento di tre minori egiziani” – Alessio Giordano

Il Collettivo rotte balcaniche e No name kitchen denunciano il ruolo delle autorità del Paese europeo nella terribile morte di tre adolescenti al confine con la Turchia a fine 2024. Non solo negando assistenza ai ragazzi ma anche bloccando le squadre di soccorso e sottoponendo i cooperanti a trattamenti degradanti e detenzioni arbitrarie. La punta di un iceberg di un sistema consolidato

“Ricostruendo nel dettaglio gli eventi occorsi tra il 27 e il 29 dicembre 2024 al confine tra Bulgaria e Turchia, abbiamo dimostrato come le negligenze e le violazioni delle autorità bulgare abbiano contribuito in maniera decisiva alla morte per assideramento di tre minori egiziani”.

Giovanni Marenda, attivista del Collettivo rotte balcaniche (Crb), commenta così i risultati del report “Frozen Lives”, pubblicato a metà gennaio dal collettivo di solidali italiano e No name kitchen (Nnk). In collaborazione con la Ong bulgara Mission Wings, da luglio 2023 i due gruppi gestiscono una safeline, un’operazione di ricerca e soccorso delle persone in movimento in difficoltà o in situazioni di grave rischio lungo il confine bulgaro-turco.

Un’attività che la polizia di frontiera ostacola attivamente: ostruzioni e omissioni di soccorso, trattenimenti arbitrari e repressione dei solidali, infatti, sono all’ordine del giorno. Si inseriscono in questo contesto i fatti presi in esame dall’indagine di Crb e Nnk, culminati con il recupero dei corpi senza vita di Ahmed Samra, Ahmed Elawdan e Seifalla Elbeltagy, rispettivamente 17, 16 e 15 anni.

“Nel corso delle prime ore del 27 dicembre 2024 la safeline riceve l’allerta per tre minori in pericolo di vita”, scrivono gli attivisti nelle prime pagine del documento. Secondo le coordinate indicate dal Gps i ragazzi si trovano a poca distanza l’uno dall’altro, esposti al gelo e impossibilitati a mettersi in salvo, in una zona boscosa nel Sud-Est della Bulgaria nei pressi dei villaggi di Gabar e Varshilo. Oltre all’esatta localizzazione, ai solidali vengono inoltrati due video in cui due adolescenti giacciono privi di sensi nella neve. Alle 1:35 la safeline contatta la linea di emergenza 112 riportando le gravi condizioni dei feriti, condividendo le loro coordinate Gps e richiedendo assistenza immediata. Lo farà altre due volte, alle 2:15 e alle 3:25. “Nonostante la gravità della situazione -sottolinea però il report-, le autorità bulgare non sono intervenute e hanno ostacolato i nostri sforzi per salvare la vita dei tre giovani”. Il Rescue team 1, infatti, intercettato dalla polizia di frontiera alle 2:02 -e successivamente alle 3:03-, viene costretto a fare marcia indietro

Non va meglio al Rescue team 2. In seguito a un guasto al mezzo sul quale sta viaggiando, prosegue a piedi ma viene bloccato dalla polizia di frontiera per due volte, alle 5:15 e alle 6:11. Nel secondo caso gli agenti obbligano gli attivisti a sedersi per terra, dove -rivela il report– “sono stati spogliati dei loro effetti personali e di alcuni capi d’abbigliamento”. La squadra di soccorso ha poi dovuto camminare per circa dieci chilometri affiancata da un Land Rover Defender 4×4 della polizia bulgara.

“Invece di utilizzare il loro mezzo per attraversare il fiume e fornire assistenza al ragazzo hanno preferito scortarci per tre ore”, ricorda un attivista in una delle testimonianze raccolte nel rapporto.

Il terzo tentativo di salvataggio avviene alle 17:30. Sono passate più di 12 ore dalla prima richiesta di soccorso, quando cinque membri della safeline ritornano a Varshilo e percorrono a piedi i cinque chilometri che li separano dal punto indicato dal Gps e alle 2:43 del 28 dicembre individuano il corpo senza vita del diciassettenne Ahmed Samra. Il report denuncia che “dopo aver chiamato il 112, i membri del team di soccorso sono stati interrogati dalla polizia e trattenuti all’aperto per sei ore”.

Il cadavere del secondo adolescente, Ahmed Elawdan, viene ritrovato alle 15:15 dello stesso giorno. Anche in questo caso la squadra contatta le autorità bulgare. Quando la polizia di frontiera arriva sul posto -evidenzia il rapporto di Crb e Nnk- “dopo aver ispezionato il corpo, costringe un membro della squadra di soccorso a trasportarlo due volte: una volta per allontanarlo dal sentiero dove giaceva, l’altra per metterlo nel bagagliaio del loro pick-up”. Il 29 dicembre, circa 57 ore dopo aver comunicato al 112 il punto da cui era provenuta la terza richiesta di soccorso, un’altra squadra recupera il cadavere di Seifalla Elbeltagy.

“In questo caso la polizia bulgara ha obbligato due dei nostri compagni a entrare nel bagagliaio della loro macchina, nonostante i sedili posteriori fossero liberi”, scrivono i solidali.

Mentre avveniva tutto questo, alle 2:45 del 28 dicembre, la safeline riceve un’altra richiesta di soccorso proveniente da una località nella provincia di Haskovo, un’area di confine a circa duecento chilometri a ovest di Varshilo. Qui il Rescue team soccorre altri due giovani migranti feriti e anche in questo caso -riporta l’indagine- “la polizia di frontiera ha trattenuto i nostri compagni in maniera del tutto arbitraria per 24 ore, requisendo loro telefoni e passaporti”. In questa circostanza, inoltre, un’attivista viene separata dal gruppo ed è costretta a spogliarsi davanti a due agenti. “Un’esperienza in cui mi sono sentita profondamente a disagio”, scrive la donna nel documento.

“Le negligenze e gli abusi delle autorità bulgare -precisano Crb e Nnk nella seconda parte di Frozen Lives- da un lato contraddicono i trattati fondanti dell’Unione europea e la legislazione sui diritti umani che stabilisce i criteri minimi di dignità e protezione individuale e dall’altro reprime con brutalità persone in movimento e attivisti”.

Va ricordato che la Bulgaria, entrata nell’area Schengen a metà dicembre, aderisce, tra gli altri, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e alla Convenzione sui diritti del fanciullo (Crc). Peccato però che, come mostra il rapporto, tra il 27 e il 29 dicembre le autorità bulgare abbiano agito a più riprese in spregio dei diversi quadri legislativi dell’Unione europea a tutela dei diritti delle persone in movimento

“Innanzitutto è venuta meno la tutela del diritto alla vita dei tre minori, che, come stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, prevede l’obbligo positivo di ‛fornire servizi di emergenza e deve essere rispettato anche durante le operazioni di salvataggio dei migranti’”, riprende Marenda.

In materia di protezione dei minori, inoltre, le autorità bulgare hanno violato l’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sancisce “diritto alla protezione per i bambini e alle cure necessarie per il loro benessere”. Stessa cosa per quanto riguarda l’obbligo di assistenza, misura prevista anche dalla legislazione nazionale. Come ricorda il report, infatti, “l’articolo 141 del Codice penale bulgaro stabilisce che ‛gli operatori sanitari, dopo essere stati invitati, hanno l’obbligo legale di prestare assistenza a una persona malata’”. Il documento sottolinea poi come data “l’incapacità di aiutare i minori e l’ostruzione delle missioni di salvataggio”, e violando gli articoli 3, 20, 22 e 24 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, “polizia di frontiera e unità di emergenza si sono macchiate del reato di omissione e ostruzione di soccorso”. Di detenzione arbitraria e trattamento inumano e degradante sono stati invece vittime i membri della safeline.

“Quello che è accaduto a fine dicembre è solo la punta dell’iceberg di un sistema consolidato”, afferma Marenda. Da luglio 2024 a gennaio 2025, infatti, le richieste di soccorso pervenute alla safeline sono state 96 per un totale di 589 persone in pericolo. Dall’inizio dell’attività di ricerca e soccorso sono nove i corpi senza vita recuperati, “ma probabilmente sono solo una parte di quelli abbandonati al loro destino dalle autorità e mai ritrovati”, evidenzia l’attivista.

Come raccontato da Altreconomia, inoltre, da tempo persone in movimento, attivisti e organizzazioni umanitarie denunciano gli abusi e i respingimenti illegali da parte delle forze di frontiera bulgare. “Solo nel 2023 -ricorda il report– il ministero degli interni bulgaro sostiene di aver impedito 178.200 attraversamenti illegali del confine, un eufemismo per indicare i violenti respingimenti illegali”.

Con la collaborazione di alcuni parlamentari europei, Crb e Nnk intendono sottoporre il contenuto dell’indagine all’attenzione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) e hanno presentato un’interrogazione alla Commissione europea per chiarire i fatti descritti dal rapporto. “Ci appelliamo alle istituzioni europee, anche se non ci facciamo troppe illusioni -conclude Marenda-. Basta guardare il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo per capire che purtroppo quanto avviene al confine tra Bulgaria e Turchia non rappresenta il fallimento delle politiche europee, ma la loro piena attuazione”.

da qui

 

 

Rotta Balcanica: arrestati per aver salvato vite umane – Collettivo Rotte Balcaniche

Approfittiamo delle vacanze natalizie, interrompiamo lavori e studio per venire in Bulgaria. Dopo 40 ore di viaggio e 12 ore fermi in Croazia per via di un ingorgo epico, a poche ore dal nostro arrivo riceviamo una richiesta di soccorso. E’ il 24 dicembre pomeriggio. Tre ragazzi marocchini sono stremati nel bosco, uno è ormai semi-incosciente e in iniziale stato di ipotermia. Le temperature sono glaciali, si congela anche indossando vestiti tecnici e tute da sci. In 15 minuti prepariamo cibo, vestiti, acqua, tè caldo, mantelline termiche e borsa di primo soccorso. Usciamo da casa.

Facciamo lunghi giri in strade sconnesse e a tratti pericolose. L’intento è evitare di essere bloccati dalla polizia di confine, che nella migliore delle ipotesi ci fermerebbe per ore facendoci perdere tempo prezioso o ci impedirebbe di recarci sul posto (questo accadrà due giorni dopo, causando la morte di almeno tre adolescenti).

I tre ragazzi non comunicano più con il cellulare. La batteria deve essersi esaurita. Arriviamo sul posto senza essere fermati né seguiti. E’ già un successo.

Troviamo rapidamente i tre ragazzi: uno è in condizioni gravi, gli altri due sembrano stare meglio.  C’è il terrore nei loro occhi quando diciamo che per chiamare l’ambulanza e salvare il loro amico arriverà sicuramente la polizia bulgara. Ci vuole molto tempo per rassicurarli che, grazie alla nostra presenza, non verranno picchiati, ma condotti in un centro di detenzione per due settimane e poi in un campo aperto, dove sarà loro possibile chiedere asilo in Bulgaria.

A seguito del nostro intervento, il ragazzo in situazione critica si stabilizza lentamente e inizia ad essere cosciente. 20 minuti dopo la nostra chiamata al 112, arriva la polizia di confine.

Dopo aver urlato e intimidito i presenti, ci viene chiesto di andare verso la loro auto. Lì, aspettiamo per tre ore sotto pioggia e neve: i tre ragazzi sono esausti e assiderati, faticano a camminare, scarpe e giacche sono zuppi d’acqua. Ci chiedono insistentemente di non lasciarli da soli con la polizia. Sono ancora molto spaventati.

Chiediamo alla polizia di confine se almeno il ragazzo in condizioni più critiche possa ripararsi nella loro macchina. Non trema per il freddo, sembrano quasi convulsioni. Il poliziotto ci risponde sorridendo che non fa freddo e ci provoca dicendo che se ci teniamo possiamo dargli una delle giacche che stiamo indossando.

Un agente cerca di intimidirci chiedendo i passaporti, che come sappiamo non sono necessari. Le carte d’identità verranno richieste più volte durante le successive tre ore. Dopo una lunga attesa finalmente arriva un’ambulanza e fa un rapido controllo medico a tutti, ma se ne va presto vuota. Durante le tre ore di attesa, il ragazzo più in difficoltà si lamenta ad alta voce e ripetutamente; contrae il volto in espressioni di dolore intenso: ha i piedi piagati e congelati, quindi glieli puliamo, disinfettiamo e mettiamo delle bende prima di indossare calzini asciutti. Due di noi per ore gli stanno fisicamente attorno, abbracciandolo e cercando di non far scendere la sua temperatura. Le barrette energetiche vengono distribuite più volte. I telefoni dei tre ragazzi vengono presi dalla polizia di confine.

Dopo lunghe ore di attesa, tensione e gelo un ufficiale della polizia ci dice che saremo arrestati e che dobbiamo consegnare i telefoni. Diciamo che glieli daremo solo quando saremo ufficialmente arrestati e riceveremo i documenti relativi. Per il momento possiamo continuare ad usarli.

Per ultima arriva una terza auto della polizia di confine con un agente presentato come ‘il capo’. Ci comunica che saremo in stato di arresto per 24 ore. Perquisiscono a fondo la nostra auto senza trovare nulla di interessante. Due di noi vengono ammanettati. Condotti alla stazione di polizia di Malko Tarnovo veniamo reclusi in una stanza spoglia, molto sporca e con la finestra senza infissi e quindi impossibile da chiudere.

Due di noi vengono interrogati, ma non ci viene rilasciato nessun verbale. Vogliono sapere chi ci dà le informazioni, se siamo un’organizzazione e molte altre cose. Le condiscono con intimidazioni tipo: “Qui in Bulgaria sappiamo come far tornare la memoria”, minacce di arresti per traffico illegale di migranti e provocazioni becere tipo: “Voi aiutate? Bene, aiuta me, dammi cibo, dammi dell’acqua ora!” oppure: “Voglio una macchina, perché non mi regalate una macchina?”. Ci chiedono di lasciare le impronte digitali e la foto segnaletica, ma ci rifiutiamo. Il fatto che non ci abbiano obbligato e che usciremo da quella caserma senza averle date ci fa pensare che sia l’ennesimo abuso di un potere esecutivo sempre più indisciplinato alla legge (oltre che, neanche a dirlo, alla giustizia).

Cerchiamo di dormire per terra e su sedie puzzolenti. Quando chiediamo di andare in bagno ci portano in un sotterraneo. C’è un largo corridoio buio e spoglio con ai lati una decina di lastre di ferro chiuse con pesanti lucchetti. Capiamo solo dopo che, verosimilmente, sono i luoghi dove vengono reclusi i migranti. Le ‘porte’ ci colpiscono perché non hanno una maniglia, né uno spioncino, solo una lastra pesante di metallo leggermente convessa. Cerchiamo di allontanare il pensiero di quello che può accadere in quei luoghi quando non ci sono testimoni.

Arrivati al fondo del corridoio il poliziotto fa un sorriso e ci indica una porta. Aperta, troviamo uno sgabuzzino mefitico con piscio e merda ovunque. Un secchio a lato del WC rotto che tracima di carta e fazzoletti sporchi pieni di feci. Quell’espressione sul volto del poliziotto stona proprio, è la seconda volta che sorridono facendo qualcosa di crudele.

Tornando dal bagno siamo ‘felici’ di vedere i tre ragazzi marocchini spaventati, infreddoliti ma nella stessa stazione di polizia. Siamo ormai praticamente certi siano ‘salvi’, che ristabiliti potranno fare della loro vita quello che vorranno e quello che Stati-nazione e capitalismo gli permetteranno. Il sogno di uno di loro è arrivare a Torino a Porta Palazzo e lavorare con lo zio che fa il macellaio. Anche in uno stato di semi incoscienza, nella foresta, gli si illuminava il volto quando ci mimava le corna delle mucche e ne imitava il verso.

Al mattino veniamo liberati; ci chiedono di firmare dei fogli in bulgaro, ma ci rifiutiamo. Siamo abbastanza sicuri di aver salvato stanotte tre persone e di aver dovuto fare un po’ di galera per questo. Oggi, in Europa, va così. Siamo sereni.

pagina facebook del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino 

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

Un commento

  • Indignazione, orrore e sconforto. Tanta ammirazione per voi e per la vostra opera di soccorso e divulgazione. Nei miei 77 anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *