Migranti, storie e riflessioni di 25 anni fa… per l’oggi

Per caso (o forse no) Lella Di Marco rilegge «Shish Mahal» di Renato Curcio

Prostitute, drogati, stupratori, Isis… No, non erano ancora quelli, eravamo soltanto all’inizio del fenomeno che da allora in poi verrà nominato con termini catastrofici o acquatici (flussi, ondate).

«Shish Mahal» di Renato Curcio – pubblicato nel 1991 da Sensibili alle foglie, con la prefazione di Clara Gallini – ha dietro qualche anno di osservazione sugli stranieri provenienti soprattutto da Pakistan, Bangladesh, India ma anche Ghana. Egitto, Sri Lanka, Nigeria, Libano, Afghanistan, Mali, Uganda, Marocco, Tunisia… per un totale di 2332 persone, quelle che a Roma, non avendo una casa, occuparono uno stabile abbandonato, l’ex fabbrica Pantanella sulla Casilina. In assenza delle istituzioni , ai migranti si sono avvicinati alcune organizzazioni di volontariato – Caritas, Casa dei diritti, comunità Sant’Egidio, Uawa, comunità migranti – per agevolarne il percorso di “accoglienza-inserimento”.

Il nome SHISH MAHAL in lingua indi-urdu significa “essere nel luogo dell’incontro” cioè in una casa di riferimento, in un luogo comune di confluenza. Ovviamente la Pantanella diventò un angolo di “terzo/quarto mondo” risvegliando antichi turbamenti con la cronaca che impietosa come sempre, restituì e amplificò le inquietudini di molti.

Curcio analizza con l’occhio attento del sociologo i comportamenti, le trasformazioni morfo-etniche e le reazioni di molti “compagni”, di intellettuali, di giornalisti. Analizza le reazioni del popolo della Pantanella puntando sulla storia amara del popolo interetnico che si sente oggetto di un nuovo razzismo, che qualcuno definì concorrenziale, differenzialista o persino “istituzionale” e “democratico”… Il problema non è tanto dargli un’etichetta quanto capirlo e contrastarlo, prevenendolo. Si comincia però dalla decifrazione semantica del nuovo linguaggio. Le parole hanno una storia, non vengono fuori per caso. Sono fortemente legate agli eventi cui si accostano: così si rispolverano termini come razza, criminalità, illegale, clandestino, apartheid, razzismo dei penultimi, infetto, sporco, criminale, deportazione, ghetto…

La parola ghetto per esempio entrò nel vocabolario circa nel 1600 a Venezia. Come riferimento agli ebrei separati dai veneziani, veniva utilizzato “Gheto” cioè il nome di un’isoletta della laguna dove in una fonderia si separava il metallo dalle scorie… Dopo la fondazione del ghetto per gli ebrei, prendono a consolidarsi atteggiamenti culturali, giuridici e di costume che accentuano le dinamiche della separazione, spingendo sempre più verso un luogo denigrato. Si ghettizza per allontanare, escludere, annullare. Simbolicamente eliminare … come si tenta di fare con i nuovi arrivati. Nullificandoli, rendendoli inconsistenti. Ancora un’analogia con il lessico legato agli ebrei: deportazione.

Curcio ricorda anche altre immagini locali: la Roma di Mussolini che “deportò” nella lontana periferia i poveri che infastidivano la classicheggiante fantasia della borghesia urbananistico-imperiale. «…come se ripulire l’habitat dai cittadini più deboli e dagli extracomunitari, fosse un’operazione estetica, un tocco di decoro, come se bastasse chiudere gli occhi o tener lontane dal campo visivo le presenze sociali inquietanti, per guadagnare tranquillità. Eppure per un effetto sociale che converrebbe non sottovalutare più si rimuove e non si affronta, più si mette a distanza un nostro simile, più esso si ripresenta vicino. Respinto alle periferie del globo, il Terzo-Quarto mondo non si sta forse rovesciando al centro delle grandi metropoli nordamericane ed europee?».

Fin qui l’analisi del sociologo e le sue previsioni azzeccate. Ma Curcio non è un profeta: ha soltanto la capacità lucida di decifrare lo stato delle cose e prevederne lo sviluppo (cercando un’ottica non di potere e repressione).

Dal 91 a oggi il fenomeno si è “incancrenito” – un altro termine su cui riflettere – con il dramma degli alloggi, del lavoro e della crisi economica.

Il “nuovo” razzismo? Una realtà in aumento della quale molti che si dichiarano antirazzisti sono fautori inconsapevoli. Fra paure, insicurezza, spersonalizzazione, disgregazione aumentano rabbia, rancore, odio… gino a costruire l’assurda uguaglianza di immigrato/negro come stupratore, ladro ecc

Si sta costruendo un filone ideologico-comportamentale di cui, a volte, anche gli/le immigrati degli anni 80 sono attori. Con “aiutiamoli a casa loro” e “chiudiamo le frontiere” negli ultimi tempi molti sono diventati salviniani.

Altro fenomeno grave che riscontro sempre più spesso nella mia pratica sociale, «il musulmano» (finita l’accoglienza caritatevole, romantica, del siamo tutti fratelli) è ora la bestia, la testa di cazzo, l’integralista … le mogli puttane, ladre, profittatrici, infide, false, ingannatrici, venditrici di figli.

Mentre le istituzioni mentono più di prima…. si allarga la depressione sociale, culturale e spesso anche psicologica degli individui. Chi sta dalla parte degli sfruttati – di qualsiasi nazione – non riesce a mettere in piedi analisi corrette o a farsi ascoltare.

Concludo allora con le parole di Curcio… non ne trovo di più efficaci: «Le ragioni del razzismo sono molte e complesse. Certo è anche che una sua avanzata ha anche a che fare con il calo di una tensione democratica e con un degrado istituzionale che lasciano sempre più spazio all’insicurezza e alle violenze. Ma ha anche a che fare con la parallela nascita entro il nostro contesto nazionale di nuove sensibilità antirazziste , che esso cerca di frenare e contrastare per bloccarne le potenzialità oppositive. Anche per questo è importante che le nuove sensibilità si strutturino collettivamente e si diano strumenti di analisi di un fenomeno come è il razzismo nella società di oggi». 

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