MilanOltre 2021

MILANoLTRE 2022 – 1986>2024 Back to the Future! – 36° edizione

di Susanna Sinigaglia

Anche quest’anno dal 23 settembre al 10 ottobre, puntuale, è arrivata l’attesissima rassegna di danza Milanoltre che addolcisce il ritorno in città dopo l’estate. E come ogni anno, sono riuscita a vedere solo alcune delle molte proposte del ricco carnet.

E come sempre, alcuni spettacoli mi sono piaciuti, altri meno. Il primo cui ho assistito mi ha colpito in particolare per le sue linee pure ed essenziali.

 

Alle(d)anze per Sista

Proposta e interpretazione

Viola Scaglione + Marta Ciappina

Coreografia

Simona Bertozzi

Il lavoro fa parte di una nuova sezione del festival che s’intitola Affollate solitudini e comprende assoli prodotti su commissione. Questo avrebbe dovuto essere un assolo di Marta Ciappina. Poi l’incontro quasi casuale con Viola Scaglione – l’evoluzione del loro rapporto di amicizia, collaborazione, complicità e sostegno durante i tempi bui del lock down – ha trasformato il lavoro da assolo in duetto.

Però è un duetto strano. All’inizio si presenta come due assoli che tuttavia in qualche modo dialogano: più decisi e assertivi i gesti della danza di Viola, più riservati – quasi in controcanto – quelli di Marta. Ed è come un primo tempo.

Nel secondo tempo si espande l’assolo di Marta, che diventa anche lei più decisa e assertiva, seguito da quello di Viola. Entrambe scelgono movimenti semplici ed efficaci, frutto di una ricerca personale che ne esalta la peculiarità e lo stile diverso.

Infine nel terzo tempo le performer si esibiscono nel duetto vero e proprio, un dialogo serrato e affettuoso, uno scambio reciproco. La scena è vuota, esistono soltanto i due corpi danzanti che riempiono lo spazio percorrendolo soprattutto lungo linee orizzontali.

La performance si conclude così con questo dialogo che si è pienamente realizzato grazie anche all’intervento di una terza persona, la coreografa Simona Bertozzi. Alla fine della performance, le due danzatrici e la coreografa vengono intervistate da Lorenzo Conti, giornalista, che le invita a raccontare la loro avventura umana, il loro incontro e come e perché abbiano deciso di chiedere a Simona Bertozzi di unirsi alla loro complicità come “terzo occhio”, un’operazione che ha prodotto un lavoro autentico, minimalista e rigoroso.

Mi resta in sospeso però una domanda: chi è Sista?

 

 

 

 

https://www.milanoltre.org/festival/affollate-solitudini-viola-scaglione-e-marta-ciappina/

 

AMOЯ

Ideazione, coreografia e regia

Salvo Lombardo

Interpretazione

Chiasma/Fattoria Vittadini

A seguire, la stessa sera, era in programmazione AMOЯ di Salvo Lombardo. Del coreografo-regista ho visto l’anno scorso – sempre a Milanoltre – Excelsior, che avevo apprezzato per la genialità con cui affrontava un tema impegnativo come la vena colonizzatrice della cultura occidentale. Perciò questo nuovo lavoro, dal titolo un po’ ambiguo ma per questo stuzzicante, aveva creato in me curiosità e una certa aspettativa. Poiché nell’intenzione dichiarata lo spettacolo aveva come oggetto le facce del potere (AMOЯ è bifronte di ROMA, si legge nella presentazione della performance, Roma come emblema universale del potere), pensavo che proprio perché leggiamo “amor” fra queste facce fosse compresa anche quella che subentra nei rapporti affettivo-sentimentali. E invece mi sbagliavo.

Al centro del quadro si erge una colonna su cui vengono proiettate immagini e intorno alla quale si svolge l’azione dei danzatori che consiste, principalmente, in entrate e uscite finalizzate o a introdurre oggetti, o a portarli fuori scena o semplicemente ad attraversare il palco per poi sparire dietro le quinte.

 

 

 

 

 

Che funzione hanno? Sono i servi del potere? La colonna, che dovrebbe rappresentarlo, non assume sufficiente forza simbolica nemmeno quando vi compare l’immagine di una testa d’aquila, emblema della potenza di Roma, accompagnata dalla voce fuori campo di Vittorio Gassman che interpreta il monologo di Antonio dal Giulio Cesare di Shakespeare. L’effetto resta grottesco, non aggiunge alla scena la drammaticità che pur dovrebbe suscitare.

Inoltre la coreografia avrebbe potuto dare maggior peso e valore ai danzatori pur nel ruolo, credo voluto, di comparse.

Il lavoro, insieme a Excelsior, fa parte di una trilogia. È perciò augurabile che col tempo acquisisca maggior corposità e che la futura terza creazione riesca a inserirlo in un quadro che gli conferisca nuova luce.

https://www.milanoltre.org/festival/chiasma-salvo-lombardo-amo%d1%8f/

 

Biografia di un corpo

Coreografia e interpretazione

Davide Valrosso

Anche questo lavoro di Valrosso, come quello che seguirà di Elisa Spina, fa parte della sezione Affollate solitudini. Il danzatore si presenta in scena nudo, in piena luce, ed è sicuramente un atto coraggioso. Però non mi basta per apprezzare a sufficienza il seguito, che si svolge al buio tranne che per la luce di una torcia che tiene il performer, in mano o fra i denti secondo le circostanze.

 

 

 

 

 

 

Anche se con spunti sicuramente interessanti – come il gioco di ombre che crea la torcia contro le pareti e le quinte che delimitano il palco –, il lavoro mi è sembrato un po’ ripetitivo, come se il performer non riuscisse davvero a prendere il volo, a sentirsi veramente libero nella sua nudità o a esprimerne, al contrario, il dramma. Si resta così sospesi nell’incertezza insieme a lui, cui forse servirebbe prendere più decisamente una direzione.

 

The Rite

Coreografia

Luciano Padovani

Interpretazione

Elisa Spina

Il dramma della nudità si percepisce invece in modo molto tangibile in questo assolo. È una nudità che s’intravede appena, sembra nascondersi e confondersi con le forme in cui s’imbatte e i chiaroscuri che l’avvolgono insieme ai lunghissimi capelli della performer.

 

 

 

 

 

 

È una nudità adolescenziale e la drammaticità – quasi disperazione – che trasmettono i gesti della danza sembra provenire proprio dal difficile passaggio-transizione dell’adolescente all’età adulta. Fasci di luce, cui cerca di sfuggire, inseguono la giovane che manipola una tavola usata di volta in volta come rifugio, paravento, specchio o una specie di bara sotto cui rannicchiarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scuote il corpo gettandosi violentemente a terra come se lo volesse disarticolare, fermarne la crescita e le ineluttabili trasformazioni.

 

 

 

 

 

 

 

E alla fine arriva la resa.

L’interpretazione della giovane danzatrice, molto brava, è stata coinvolgente ed espressiva.

https://www.elfo.org/spettacoli/2021-2022/valrosso-spina.htm

Party Girl

Coreografia

Francesco Marilungo

Interpretazione

Alice Raffaelli, Roberta Racis, Barbara Novati

 

È stata l’ultima performance che ho visto di Milanoltre.

Party Girl, una felice coproduzione di Milanoltre Festival e Teatro delle Moire/Danae Festival, è un lavoro piuttosto originale sul corpo femminile ridotto ad automa del sesso. In scena vediamo tre ragazze che agiscono ubbidendo a una voce maschile perentoria fuori campo che – chiamandole una a una per nome – indica loro che cosa fare, come muoversi, come comportarsi;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

insomma, quale posto occupare e ruolo ricoprire in ogni momento.

Su uno schermo monitor ai lati del palco scorrono immagini notturne di strade deserte illuminate dai fari di auto in movimento, strade che s’immagina in periferie di grandi città, punteggiate qua e là da stazioni di servizio e motel, piccoli supermercati aperti 24h/24h.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Verso la fine della performance, e quasi impercettibilmente, si notano piccoli scarti nel comportamento delle ragazze che poi, in modo via via sempre più esplicito, acquisiscono vita propria fino a non ubbidire più alla voce che comincia a rincorrerle, sgridarle, richiamandole all’ordine senza esito. E così sciamano uscendo allegramente di scena lasciando il loro lenone con un palmo di naso.

Questo “lieto fine”, in realtà, mi è parso un po’ stonato e frettoloso in relazione al dramma evocato lungo il resto della performance, dalla visione delle strade desolate percorse da automobili di uomini, si suppone, in cerca di sesso a pagamento. E soprattutto dalle schiave prostitute che solo a volte, e con molte tribolazioni, riescono a sfuggire al destino loro imposto dai venditori di carne umana.

www.milanoltre.org/festival/francesco-marilungo-party-girl/

Compagnie Hervé Koubi

Les nuits barbares ou les premiers matins du monde

e

Ce que le jour doit à la nuit

Coreografia

Hervé Koubi

 

Avevo visto quest’estate, alla Biennale danza di Venezia, la Compagnia Hervé Koubi in uno spettacolo il cui titolo mi aveva attratto in modo particolare, Odyssey, anche perché volevo confrontarlo con un’altra Odyssey rappresentata anni fa al Piccolo Teatro Strehler. Interpretata dalla compagnia del National Theatre of Greece di Atene diretta da Robert Wilson – nella rilettura del poeta inglese Simon Armitage –, mi aveva letteralmente incantato. Forse a causa di questo mio improprio confronto, ero rimasta un po’ delusa dalla versione di Koubi e della sua compagnia. Mi era sembrato eccessivo il ricorso ripetuto ai volteggiamenti che associavo alla capoeira e anche l’allestimento scenico non mi aveva entusiasmato. Insomma, avevo avuto l’impressione che la coreografia consistesse più in un’esibizione di virtuosismo atletico che in un veicolo di contenuti.

Mi sono completamente ricreduta vedendo questi due spettacoli affascinanti, avvincenti e un po’ misteriosi nei loro chiaro-scuri.

 

Les nuits barbares ou les premiers matins du monde

La coreografia vuole essere un omaggio alle origini delle culture mediterranee, un ponte lanciato fra un passato remoto, atavico, e un presente che malgrado sembri negare le proprie radici ha le potenzialità per trarne nuova linfa e slancio.

I danzatori sprigionano una forza impressionante solo con il loro ingresso in scena:

sono guerrieri-danzatori-mistici dervisci rotanti. Quello che mi era sembrato un po’ superficialmente un ricorso eccessivo ai virtuosimi della capoeira è in realtà una rielaborazione sincretica di questa e altre danze di derivazioni pop e classiche provenienti da varie culture. I volteggiamenti sulla testa come fosse un perno intorno all’asse del corpo sono la loro carta d’identità, il segno distintivo che li rende unici, la base del fascino che emana dalla loro presenza.

https://youtuste.be/FwPKELSD104?t=35

https://youtu.be/LKcGBEM5fHk?t=29

Passano dall’uso potente, quasi minaccioso, di lame e bastoni che cozzano fragorosamente fra loro e sull’impiantito, rievocando gli echi di scontri epici,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a voli spiccati come uccelli o gazzelle, a roteazioni delle gonne che indossano sulle tracce lasciate da antichi pastori nomadi. Nei loro slanci sembrano elevare inni agli dei per propiziarseli nella prossima caccia, in battaglia, attraverso i pericoli e le insidie che li attendono lungo i secoli a venire.

 

 

 

 

 

Le musiche stesse che li accompagnano spaziano dalla tradizione algerina, dalla capoeira – che ha origini afrobrasiliane ma è stata adottata nelle periferie dai giovani immigrati di tutte le provenienze – a Mozart, Wagner, Fauré fino ad arrivare all’hip hop.

https://www.milanoltre.org/festival/compagnie-herve-koubi-les-nuits-barbares/

Un simile mix si può rilevare nel secondo lavoro.

Ce que le jour doit à la nuit

Mentre il primo però è irruento, mozzafiato, un’esibizione continua di potenza, il secondo ha un andamento più meditativo, trasmette una piacevole leggerezza velata a tratti di malinconia. Le sue immagini infondono intense emozioni.

 

 

 

 

L’elemento guerriero è sempre presente, ma è un guerriero rappacificato con il nemico, che si ritrova dopo la battaglia a onorare la vita.

 

 

 

 

 

 

Con la presenza avvolgente della musica di tradizione sufi, che si compenetra plasticamente nella breakdance,

Ce que le jour doit à la nuit trae il suo titolo dal libro omonimo di uno scrittore algerino, Mohammed Moulessehoul, che ha adottato lo pseudonimo di Yasmina Khadra per difendersi dalla censura durante la guerra civile in Algeria del 1991-2002. E la scelta non è casuale. Infatti il libro narra la vicenda di un algerino costretto dalle vicissitudini della vita a crescere in ambiente francese e che, riscoprendo la sua cultura originaria, riesce a conciliarla con quella in cui si è formato. Così Koubi, nato e cresciuto in Francia, a un certo punto del suo percorso umano decide di andare alla ricerca delle proprie radici. Tuttavia non incontra solo la cultura algerina, ma anche quella di altri paesi africani – come la Costa d’Avorio e il Burkina Faso – attraverso alcuni danzatori ivoriani prima e burkinabé poi. Così nasce questa coreografia dove i danzatori continuano a volteggiare sulla testa

 

 

 

 

 

 

o, se sfiorano la terra con i piedi, lo fanno per spiccare il volo e librarsi nell’aria

gettandosi poi fra le braccia degli altri cui si affidano completamente.

Sembra un amplesso, uno scambio continuo, rito di celebrazione della vita riscoperta e perciò della possibilità di tante tradizioni e culture d’integrarsi e arricchirsi reciprocamente dando alla luce una nuova idea di bellezza.

 

 

 

 

 

https://www.milanoltre.org/festival/compagnie-herve-koubi-ce-que-le-jour/

 

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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