«MilanOltre Festival»: 2a parte (7-14 ottobre)

di Susanna Sinigaglia

La presenza del teatro-danza canadese è ormai diventata una tradizione a MilanOltre (NOTA 1) che gli dedica ormai ogni anno un focus particolare. Sono artisti sempre molto sensibili al rapporto con le arti visive, attenti a coniugare la ricerca coreografica con quella sull’immagine.

Inaugura la serie la performance di Martin Messier e Anne Thériault, Con grazia, un lavoro piuttosto sorprendente intorno all’esplorazione della materia e della struttura degli oggetti in un modo allo stesso tempo originale e naturale, perché è quello adottato dai bambini: spaccandoli ma, in questo caso, “con grazia”. La performance non attiene propriamente alla danza, ma se consideriamo la coreografia come composta da un insieme di sequenze scandite da tempi, ritmi e suoni, allora Con grazia può a buon diritto rientrare nei suoi confini.

La coppia si presenta munita di attrezzi che dispone su un piccolo tavolo da lavoro fra cui un martello tondo di legno e uno in metallo d’uso domestico con parte piatta e parte a doppia punta; sul tavolino è accesa una lampada puntata sull’oggetto da rompere.

Il primo è una pallina tonda di gomma che, naturalmente, sotto i colpi di martello salta via dal tavolo senza nemmeno una scalfittura. Poi tocca a elementi della natura quali una grande anguria che invece, altrettanto naturalmente, va in pezzi con la scorza verde che si apre e lascia schizzare fuori la polpa rossa del frutto, i suoi semi; o una serie di uova, un uovo dopo l’altro, che spandono il loro tuorlo giallo sulla superficie del tavolo. Una telecamera riprende da vicino, scanditi da suoni incalzanti eppure metodicamente distruttivi, i gesti dei performer – simili a quelli di uno scienziato che sezioni senza batter ciglio la cavia distesa sul ripiano davanti a sé – proiettandoli su uno schermo retrostante.

Ogni operazione di rottura produce suoni diversi e avviene in tempi diversi; la precisione dei gesti è tanto più straordinaria in quanto a un’attenta osservazione, a causa di una minima discordanza fra emissione del suono e impatto dell’attrezzo sull’oggetto, ci si accorge che i suoni sono tutti registrati. In questa prima fase dello spettacolo dunque, ci scorre davanti agli occhi una processione di nature morte sonore in disfacimento, avvolte da una luce in chiaroscuro dai rimandi caravaggeschi.

La seconda fase riguarda un esperimento con tazze da tè, zuccheriera e teiera, disposte lungo un asse orizzontale – forse in metallo – di fronte a quattro strutture senz’altro di metallo sistemate su piedistalli; ricordano delle gru ma essendo divise in due metà opposte congiunte da un dispositivo snodabile, somigliano a fauci di coccodrillo in acciaio quando iniziano ad aprirsi e chiudersi ritmicamente facendo così vibrare in crescendo la porcellana fine del servizio da tè: un concerto affascinante di trilli sull’orlo del precipizio.

Si torna alla natura con la scena più impressionante, quella in cui il martello di metallo dilania un pomodoro: sotto l’occhio della videocamera, ingrandita sullo schermo, evoca l’immagine di un lupo mentre affonda il muso nel cuore della preda; ci appare come sotto un microscopio che riveli agli occhi del profano l’esistenza di forme di vita per lui impensabili.

Infine abbandonata la “grazia”, si scatena la pulsione distruttrice dei due performer che, aiutati da un terzo – indicato sul foglio di sala come “primo spettatore” –, armati di bastone si scagliano su una specie di sgabelli, uno a testa; sono a forma di cubo in materiale infrangibile, forse plastica massiccia, la cui superficie si crepa ugualmente sotto i colpi di bastone dei tre infuriati performer che sembra scarichino una rabbia atavica trattenuta per troppo tempo.

https://www.youtube.com/watch?v=8sDFshXXcwo

http://www.milanoltre.org/program/14lieux_congrazia/

In Battleground, Louise Lecavalier vestita di nero – pantaloni e giubbotto con cappuccio – si muove con frenesia quasi continua seguendo linee rette orizzontali e diagonali, e verticali lungo una parete sul fondo del palco dove appare come un enorme ragno che vi passeggia a testa in giù, accompagnata dal partner che le si affianca all’improvviso come fosse la sua ombra, o l’alter ego . La scena spoglia, le luci giallo ocra creano un’atmosfera che ricorda gli ambienti metafisici dei quadri di De Chirico.

In alcuni momenti, quelli della performer sembrano i movimenti esagitati restituiti dalla moviola del cinema muto fatti di inseguimenti, sparizioni e apparizioni improvvise da dietro le pareti; oppure appartenere a personaggi come Diabolik o L’uomo ragno, eroi di imprese impossibili. Louise Lecavalier ha un fisico atletico agile e imponente che dà l’impressione di riuscire a compiere qualsiasi acrobazia, affrontare qualsiasi sforzo e ingaggiare qualsiasi corpo a corpo come quelli che si possono vedere ancora su YouTube durante il memorabile connubio del 1988 con David Bowie. Ma ora i suoi gesti sono carichi di nevrosi, hanno un sentore d’inquietudine che si avvicina alla disperazione; suggeriscono la fatica titanica di vivere in grandi metropoli dai ritmi che non lasciano scampo a chi non è in grado di sostenerli. Louise Lecavalier danza la follia del vivere quotidiano che offre pochi momenti di quiete, mentre si è sempre in moto a rincorrere il tempo che tanto più ci sfugge quanto più lo rincorriamo.

http://www.milanoltre.org/program/lecavalier_battleground/

 

Ritroviamo temi simili, anche se non solo e in chiave completamente diversa, nel lavoro straordinario dell’Out Innerspace Dance Theatre, Major Motion Picture, dove i corpi dei danzatori che s’intrecciano rievocano le figure allacciate nella danza di Matisse, mentre i toni cupi delle atmosfere fanno venire in mente gli interni scuri dei dipinti seicenteschi.

 

Si aggira sul palco, seguito da un fascio di luce, un personaggio massiccio e minaccioso avvolto in un gran cappottone da cui sbucano tante mani e gambe, ma non la testa. Telecamere nascoste proiettano continuamente le immagini dei danzatori al di qua e al di là della scena, mentre le figure che s’intravedono dietro il sipario come attraverso una barriera trasparente spiano i danzatori sul palco, fanno irruzione e ingaggiano con loro una lotta senza esclusione di colpi; hanno strani costumi a righe orizzontali nere, rosse, blu oppure in tinta unita; indossano passamontagna, o hanno il capo avvolto da cappucci scuri o colorati senza pertugi per occhi e bocca.

Ma l’effetto “illusionismo” alla Salvador Dalí, che sembra un tratto caratteristico di questa coreografia, è ancor più accentuato dall’apparizione di un volto clownesco che si allunga e si accorcia creando ghigni spaventosi sul fondo scuro del retropalco. Poi ci si accorge che il viso del clown deve la sua mobilità a una catena di braccia nude di alcuni performer nascosti nel buio. Oltre che per la qualità della preparazione tecnica, i danzatori sono straordinari per la loro forza espressiva, l’interpretazione attoriale che fa dello spettacolo uno dei più belli e interessanti di tutto il festival.

http://www.milanoltre.org/program/outinnerspace_majormotionpicture/

È stata l’ultima performance cui ho assistito quest’anno, con il rammarico di aver dovuto rinunciare alla visione delle coreografie della Compagnia Zappalà, di Fattoria Vittadini ed Enzo Cosimi, nonché della Compagnia Susanna Beltrami – che chiude la rassegna il 27-28-29 ottobre– per contingenze non evitabili. Confortante è tuttavia la constatazione che in tutte le performance che ho visto, di coreografi italiani e non, il livello professionale e artistico era stupendamente elevato, segno indubitabile della vitalità di questa meravigliosa disciplina.

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NOTA 1

Il festival è iniziato il 28 settembre con la famosa coreografia di Anne Teresa De Keersmaeker, Rosas danst Rosas; vedi “La Bottega del Barbieri” del 22 ottobre scorso al link https://www.labottegadelbarbieri.org/milanoltre-festival/. A tale proposito devo segnalare che i crediti delle foto di HabitatData sono di Mirella De Bernardi: mi scuso con la fotografa per non averla citata nell’articolo.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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