Mina de Sos Enattos, il cuore della terra

Quel 20 dicembre 1971 pioveva, ed era il mio primo giorno di lavoro.

di Diego Asproni*

Mina de Sos Enattos_Minatores in avanzamentu, China a supra de papiru, 1972

Quel 20 dicembre 1971 era lunedì, pioveva ed era il mio primo giorno di lavoro.

Ero uscito di casa alle 5, con un gabbano lungo fino ai piedi.

Il tempo di arrivare a Lula e prendevo il postale dei minatori.

Tutti mi chiedevano, molti avevano conosciuto mio padre.

Avevo appena compiuto 20 anni e tutto era nuovo per me: le curve, il santuario di San Francesco, il bivio di Santa Barbara.

Il primo incontro era con il guardiano della Polveriera che sollevava la sbarra e faceva passare il postale strapieno di uomini di tutte le età e di tutti i paesi.

Poche parole con l’autista, nel freddo e nella pioggia del mattino, un saluto e iniziava la discesa.

Ai bordi della strada discariche e file di vagoni sui binari agli imbocchi delle gallerie, castelli di legname, tronchi, guarniture.

La miniera si presentava così, e si sentiva.

Il puzzo dei reagenti saliva dal fiume fino alle case di Tupeddu, di fronte all’ingresso del Traverso Banco.

Dopo la curva vedevi i fari che illuminavano la diga sul costone di fronte, le luci dell’officina, il peso davanti al Ribasso Cavella, l’ufficio del Direttore sotto la strada.

E il rumore dei compressori, la ferraglia dei mulini della Laveria Fioretti, il sibilo lancinante dei ventolini che spingevano aria pulita negli avanzamenti.

D. Asproni, Mina de Montevecchio – 4 de Maju 1871 Ricordando le 11 donne e bambine morte nel cantiere di Atzuni. China su carta.

Dal postale fermo nel piazzale uscivano i fabbri, gli armatori, i capisquadra, gli addetti al vagonaggio, i tecnici della flottazione e infine i minatori che scendevano negli spogliatoi con la cerata pulita infilata nella tracolla del tascapane. La miniera dava lavoro a 130 dipendenti.

Il caposquadra mi accompagnò nei locali de magazzino, dietro le officine.

Mi consegnarono gli stivali, l’elmetto, una cerata gialla, e la candela.

Indossai i panni, gli stivali, l’elmetto, riempii la candela di carburo e di acqua, salii su una camionetta e partimmo.

Cominciò così la mia prima giornata, destinazione Guzzurra, un cantiere a 20 Km di distanza dalla minera di Sos Enattos.

Per tutto il viaggio rimasi con l’elmetto infilato, con i compagni di lavoro che sogghignavano, ed io che ero troppo distratto dalle novità.

Il cantiere era su un costone nudo punteggiato di gallerie nere. In fondo al canale l’ingresso di un Ribasso con la discarica sul fiume Serre. Di fronte all’imbocco una casetta e un compressore coperto da un tetto di lamiera.

Nella povera stanza con il pavimento di fango, illuminata da un fuoco di cisto, due minatori si riscaldavano prima di indossare i panni di cerata. Il caposquadra aveva già diviso le coppie nelle gallerie e avviato il compressore.

Mi dissero come accendere la candela ed entrammo nel Ribasso Serre, seguendo i minatori che spingevano il vagone vuoto sui binari.

Tutto era diverso: lo spazio stretto, le luci delle candele, i tronchi di legno sul tetto e sulle pareti, l’acqua e il fango, il rimbombo del vagone, le voci vicine e quelle lontane, l’odore acre dell’esplosivo, la pala ferrata che perdeva aria, la perforatrice riparata in una nicchia, e la montagna, che all’improvviso chiudeva l’avanzamento pieno di roccia lucida e nera in frantumi.

C’era una grande agitazione, tutti parlavano del filone di galena che doveva apparire da un giorno all’altro, tutti aspettavano l’incontro con il giacimento ricco.

Per tutta la mattina aiutai a spingere il vagone carico verso l’uscita a riportarlo all’interno.

Diego Asproni, Mina de Sos Enattos, pintura a friscu. 2008, particolare, foto di Massimiliano Caria

Poi, mentre i minatori preparavano la volata, iniziai a disegnare su un piccolo blocco a quadretti. Ma non si vedeva più niente, solo ombre in mezzo al rumore e alla condensa della perforatrice. La matita si inceppava nella carta bagnata e piena di fango. Le candele tremavano.

Mentre i minatori caricavano le mine con l’esplosivo, aiutai a fare i rilievi topografici di una nuova traversa che si apriva in un mucchio di rocce nere armate da tronchi di leccio tagliato fresco. Chiesi se quello era il minerale e dottor Borghesi, il direttore della miniera, mi disse che quella era merda.

L’operaio che usava la bussola mi spiegò che eravamo in mezzo ad una faglia, la condizione peggiore per i minatori e per la società: materiale sterile e frane.

D. Asproni, china, ghiniperu e melagrana a supra de papiru, 2018

Andò avanti per qualche anno: io facevo i rilievi e poi aiutavo tutti nei cantieri. Entravo e uscivo dai livelli, giravo tutta la miniera e in ogni trancia disegnavo su un taccuino pieno di acqua e fango tutto quello che vedevo. Poi aiutavo a caricare e a spingere vagoni, davo una mano ad armare, inchiodare i binari della ferrata, tenere la perforatrice.

Nelle gallerie a sfondo cieco controllavo la quantità di anidride e di ossido di carbonio, le concentrazioni di gas nitrosi dopo le esplosioni.

Un giorno mi mandarono ancora a Guzzurra, dovevo cronometrare i lavori nella galleria sul ruscello. Era inverno, e quando arrivammo nel cantiere i minatori accesero il fuoco nella povera baracca. Ci scaldammo, poi iniziarono a lavorare.

Mi dissero di essere stati cronometrati qualche volta in Germania, in una miniera di carbone e che sapevano come comportarsi con me. Io non capivo, comunque iniziai a scrivere dati su un taccuino.

Riportavo dati e disegnavo le fasi del lavoro.

Il filone aveva tre vene parallele di minerale. Una di galena lucente, una di siderite con un giallo smorto e una di calcopirite dorata. Tutte e tre erano affogate nel quarzo bianco.

Sos Enattos, Travesrso Banco Guglielmina, pittura murale, 2008

Mangiammo pane e formaggio, poi di pomeriggio i minatori finirono il lavoro e fecero partire le mine.

Portai i dati in direzione, ma dissero che dovevo rifare i tempi; il lavoro che avevo fatto non andava bene.

Due giorni dopo ritornai a Guzzurra, stesso cantiere, stessa squadra di minatori. Mi sentivo avvilito e anche i minatori diventarono più prudenti e iniziarono a guardarmi male.

Cercai di fare del mio meglio, ma non mi riusciva di guardare i tempi di lavoro in un posto del genere.

Sos Enattos, Laveria Fioretti, Carradora, 2011, perda sambenosa e grafite a supra de papiru lisu

“Perché mi fanno fare questo schifo di controllo” mi chiedevo.

Poi, i minatori mi fecero vedere una vecchia galleria dell’800, che avevano scoperto forando la montagna. Era dei francesi: anche loro avevano cercato il filone, che correva al loro fianco.

La guardai: era stretta e bassa; per terra aveva due binari sottili; nella fronte si vedevano i fori realizzati con martelli a mano. Tremavo, perché vedevo un posto di lavoro vecchio di 100 anni.

A fatica, quel giorno, ricontai tutti i tempi di lavoro; ma io ero stato assunto per fare altro, non per fare il secondino.

Così quando tornai in direzione, nel presentare i dati del cronometro, dissi che non avrei più accettato di fare quella mansione. Il direttore e il caposervizio mi guardavano meravigliati.

Da quel giorno andai a lavorare nell’interno: avanzamento, fornello, vagonaggio, trance, pozzo. La mattina mi presentavo davanti ai caposquadra che mi mandavano dove c’era più bisogno.

Avevo scelto: facevo l’aiutante minatore.

La montagna sembrava una madre, le rocce appena spezzate dall’esplosivo avevano colori mai visti nell’esterno.

Non avevo paura: andavo, tornavo, salivo scale, strisciavo nei posti più stretti. Solo quando cadevano le frane scappavamo. Le sentivamo arrivare, e noi correvamo nel buio, con le candele spente dallo spostamento d’aria.

D. Asproni, Mina de Guzzurra, muru de laveria, Lula, Pintura a encaustu, 2006

Quando ci fermavamo, si sentivano solo i nostri cuori e le gocce d’acqua che continuavano a cadere.

E poi disegnavo. Nei cantieri, nella mezz’ora di pausa, quando tornavo a casa, con il rombo della perforatrice nelle orecchie.

Disegnavo come non avevo mai disegnato.

Ho imparato tanto, da tutti, e a tutti ho cercato di dare una mano.

Ma soprattutto non dimentico mai chi mi ha consigliato e insegnato.

Pozzo Rolandi, Asproni con P. Satta e M. Zonchello, 8.8.1974

Nella foto: Pozzo Rolandi, assieme a Peppone Satta e Munneddu Zonchello, 8 agosto 1974.La foto l’aveva scattata Chircheddu, minatore, che la sera lavorava con Antoneddu Pittalis di Onanì.

Pozzo Rolandi, assieme a Peppone Satta e Munneddu Zonchello, 8 agosto 1974.

Del Casino, Asproni, Setzi, Calzone_Contra a sa gherra

 Diego Asproni, da qui: https://www.facebook.com/diego.asproni.3

*Diego Asproni

Muralista di Bitti, ex insegnante ed ex minatore, animatore culturale, Asproni è stato fra i più attivi protagonisti del muralismo sardo dagli anni settanta del secolo scorso, con Del Casino, Sciola e altri. Artista a tutto tondo, fra disegno, pittura e scultura, si caratterizza per le sue opere ad affresco, di carattere civile e religioso, spesso ispirate al lavoro e alle lotte in miniera. Opere spesso realizzate proprio nelle pareti e negli spazi delle ex miniere.  diego-asproni

SA TERRA E SU CHELU” – friscos e pinturas di Diegu Asproni, musiche originali di Tomasella Calvisi. 1a Die de Maju 2009 Sa terra e su chelu

Sa terra e su chelu (La terra e il cielo) è un documentario, visibile su Vimeo.com, che racconta il lavoro di Diegu Asproni a cominciare dalla ricerca e raccolta delle terre, da cui ricava i suoi colori, per finire con la realizzazione di alcune opere. Asproni è stato uno degli artisti che negli anni 70 hanno creato il fenomeno del muralismo che ha coinvolto decine di paesi e comunità sarde. Ha proseguito poi il suo impegno artistico, politico e culturale, sulle tematiche dell’identità e della cultura sarda in tutti i suoi aspetti, da pittore e da assessore, da insegnante e da promotore culturale.

“Su Chelu e sa Terra” – friscos e pinturas de Diegu Asproni:

Idea e prozetu Diegu Asproni, musicas orizinales de Tomasella Calvisi, sax de su cantu finale Claudio Lugu, paraulas de “a durudeddu” Ofelia Mesina, fotografias Donato Tore, mixagiu audio Riccardo De Felice, montagiu video Angelo Melis, mazines e regia Antoni Sanna,

diritto d’autore Diegu Asproni

Su Diego Asproni e le sue opere

https://www.lacanas.it/novas/2014/gli-affreschi-di-diego-asproni/

https://idese.cultura.gov.it/place/murales-11/

https://transform-italia.it/pintura-murale-luvula-1981/

La Miniera di Sos Enattos, Lula (NU)

è salita agli onori della cronaca nazionale e non solo, da quando è stata individuata come la sede più accreditata per “futuro rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione attualmente in fase di studio da parte di vari enti scientifici dell’Unione europea” da wikipedia   https://www.einstein-telescope.it/

Sos Enattos, Pasu in antis de Santu Frantziscu, 2019, china supra de papiru

Ma la sua storia è molto più lunga:

situata nel territorio di Lula in provincia di Nuoro, ha una lunga storia da raccontare legata allo sfruttamento dei minerali di argento e galena che in questo territorio furono scoperti fin dall’antichità.

Dopo la realizzazione di alcuni edifici industriali e dei primi lavori minerari necessari per l’estrazione, il giacimento svelò le sue potenzialità ed anche tante sorprese. A sfruttare questa miniera furono la Società Anonime Des Mines De Malfidano, compagnia mineraria franco-belga, la RI.MI.SA., società finanziata dalla Montevecchio e in seguito la Monteponi-Montevecchio che realizzò importanti opere e un piccolo impianto di trattamento dei minerai estratti.
Questa miniera è immersa in un paesaggio di grande bellezza ed è stata l’ultima miniera metallifera a chiudere l’attività nella provincia di Nuoro. Sorge a breve distanza dal Monte Albo, dichiarato dall’Unione Europea un sito di interesse comunitario (SIC). Nelle immediate vicinanze, quale simbolo di un importante patrimonio artistico e culturale della zona, troviamo la Chiesa di San Francesco.” igeaspa sos enattos

Lula Miniera di Sos Enattos, Ingresso di Frantzeschina

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