Mininotiziario America latina dal basso
N.2/2018 del 3 maggio 2018
a cura di Aldo Zanchetta
Questo è il numero più tormentato del Mininotiziario da quando, vari anni or sono, ne cominciai la serie. La crisi che attraversa il mondo, e quindi l’America Latina, ha dimensioni caotiche crescenti ed è difficile sintetizzare gli avvenimenti latinoamericani, altrettanto caotici, in pochi paragrafi. Lo dimostrano i due “giga-mininotiziari” con cui venne affrontata la questione venezuelana nel 2017 e quello più contenuto con cui venne aggiornata nel n.1 del Mininotiziario del 2018. Da allora non ho più scritto nel mini e il n.2, iniziato già a fine gennaio, resta tutt’oggi sospeso e incompiuto, tanto che alcuni lettori mi hanno scritto preoccupati chiedendo se avevo chiuso i battenti. Segno rincuorante: a qualcuno il ‘mini’ interessa.
In realtà l’America Latina è rimasta presente nel mio lavoro anche in questi mesi, e non poteva essere diversamente. Scoraggia però come la situazione della regione viene letta dalla maggior parte della “sinistra radicale” per la quale il mondo o è nero o è bianco, ed è infastidita da chi vuole analizzarne la complessità. Nel frattempo ho scritto sul Venezuela una serie di articoli brevi richiestimi da un periodico, ho continuato col mini-gruppo “Camminar domandando” il lavoro di selezione titoli e talora traduzioni per il sito www.camminardoomandando.wordpress.com dove pubblichiamo testi provenienti dall’America Latina. Inoltre nelle ultime settimane abbiamo lavorato per l’edizione italiana dell’ultimo libro di Raúl Zibechi “L’irruzione degli invisibili – Il ’68 e la nascita di nuovi mondi in America Latina” uscito a fine aprile per i tipi della cooperativa Le Piagge (per eventuali ordini vedi il riquadro in calce).
Con l’occasione ricordo che Raúl Zibechi sarà in Italia dal 31 maggio al 16 giugno e avrà incontri in alcune città del centro nord nel corso dei quali verrà presentato il contenuto di questo libro nonché di un altro che dovrebbe uscire per i tipi di Nova Delphi ma del quale ancora non ci è noto il titolo dell’edizione italiana. Una buona occasione per chi vorrà e potrà discuterne personalmente con lui[1].
Il 2018 in America Latina è un anno elettorale intenso: già si sono svolte le elezioni presidenziali e/o parlamentari in alcuni paesi (presidenziali in Cile, Costarica, Paraguay e primo turno in Colombia, parlamentari in Colombia, El Salvador, Paraguay) e dove restano da svolgersi o concludersi quelle presidenziali in quattro importanti paesi: Venezuela, 20 maggio; Colombia, 27 maggio (ballottaggio); Messico, 1 luglio; Brasile (ottobre). Il mini che come ho detto è in “sosta di attesa” era concentrato su questi appuntamenti elettorali e sul loro significato: “fine ciclo” per le “sinistre” o solo riposizionamento?
Accenniamo brevemente a questa domanda. Alfredo Serrano Mancilla, direttore del CELAG (Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica), scrive: <<Al di là che vincano o perdano nei loro prossimi appuntamenti elettorali, possiamo già affermare che è sorta una nuova ondata progressista nella regione. Questo nuovo blocco è costituito da MORENA (Movimiento Regeneración Nacional), in Messico, capeggiato da Andrés Manuel López Obrador (AMLO); Gustavo Petro, di Colombia Humana; Verónika Mendoza, di Nuevo Perú, e i giovani Gabriel Boric e Giorgio Jackson, del Frente Amplio, in Cile. Nessuno è un personaggio nuovo in politica, ma lo sono le loro formazioni politiche. Ciascuna ha le sue particolarità, proprie del contesto storico di ciascun paese. E, tuttavia, tutte queste alternative hanno tratti caratteristici comuni>>. Serrano Mancilla ne individua 5, per approfondire i quali rinviamo al suo scritto[2], riportandone qui solo una assai significativa: <<(queste formazioni) Non nascono da mobilitazioni, ma lo fanno in maniera silenziosa. Non sono tempi di blocchi stradali e marce multitudinarie. La nuova maggioranza (maggioranza da verificare però …, ndt) non si mostra con veemenza, però il suo scontento cresce senza ritorno. Diffida di quasi tutto di ciò che proviene dalla politica e, per questo, il suo modo di avvicinarsi alle nuove proposte è molto più light. L’appoggio non è viscerale né comporta un contratto di fedeltà eterna. Per ora esso è transitorio, congiunturale; tutto dipende da un filo, (i suoi componenti, ndt) stanno sempre vigili. Però, poco a poco, nella misura in cui avanzano le politiche liberiste e crescono la disuguaglianza e l’esclusione e appare più forte la possibilità di porre fine al vecchio, cresce il voto per il cambiamento. La via elettorale si presenta così come un percorso furtivo che ormai sta canalizzando l’insoddisfazione, senza bisogno di ricorrere alla piazza>>.
Sarà, ma a me non sembra. Intanto i paesi citati da Mancilla non avevano la sinistra al governo e inoltre appartengono tutti alla conservatrice “Alleanza del Pacifico” controllata dagli Stati Uniti. Forse per questi paesi quanto da lui auspicato è il massimo possibile? Ma che ne è delle imponenti manifestazioni nelle piazze di molti paesi queste ultime settimane dove le elezioni non sono state proprio una via al cambiamento esente da abituali manovre fraudolente (Honduras, fine 1917 e Paraguay, più recentemente) o quelle, notevoli anche se in misura diversa, svoltesi in Brasile, Argentina, Perù e Colombia, contro le politiche regressive dei relativi governi? E Mancilla, assegnando una funzione taumaturgica al processo elettorale neppure si ricorda delle precedenti magafrodi ai danni di AMLO in Messico? La visione di Mancilla è forse nella linea che auspica un ulteriore scolorimento della sinistra già diventata marrone (E. Gudynas, La izquierda marron, https://www.alainet.org/es/active/53106)? Abbiamo fatto cenno alla sua posizione perché riassume quella di alcuni altri analisti che reinterpretano i valori della sinistra in maniera light. A mio giudizio in America Latina si è aperta proprio una nuova stagione di lotte sociali dal basso.
Avvenimenti importanti si sono verificati nella regione nel periodo intercorso fra il Mininotiziario di Gennaio sul Venezuela e quello di oggi, che avevamo via via inseriti nel ricordato Mini in parcheggio, e che dovremo riprenderemo a breve, perché alcuni almeno non possono essere dimenticati. Ma alla fine, per rompere la personale impasse a terminare questo ulteriore ‘mega-mini’, invece di concludere questo ‘mini’ incompiuto, ho optato per dare la precedenza al quadro geopolitico e sociale nel cui contesto questi avvenimenti si sono succeduti. A questa soluzione mi ha indotto anche un apprezzabile articolo del sociologo venezuelano Teran Mantovani[3], analista che leggo con interesse da un po’ di tempo. Riporto qui l’inizio di questo lungo testo che sintetizza efficacemente il quadro generale, rinviando l’ampia analisi in esso contenuta alla lettura dell’intero testo da parte di chi è interessato[4].
America Latina nel cambio di epoca: normalizzare lo Stato di eccezione? Panorama incerto e cambio d’epoca in America Latina
Tempi complessi e difficili sono vissuti attualmente in America Latina, di riflusso per le sinistre e i progressismi, e di intensificazione delle molteplici contraddizioni sociali, politiche, economiche e geopolitiche che caratterizzano la regione. A questo livello, più che continuare a interrogarsi se si è chiuso un ciclo, sembra più pertinente e strategico individuare quali sono le forme generali che possono avere i nuovi tempi che si stanno disegnando.
Le cose, in effetti, sono ormai cambiate. Le nuove condizioni materiali che si sono sviluppate negli ultimi tre lustri –acutizzazione delle crisi urbane, avanzamento della frontiera estrattiva, crescita assoluta dei metabolismi sociali, sistemi sociali più complessi e l’emergere di nuovi gruppi di potere, rafforzamento delle economie informali, crescita e sofisticazione di gruppi delinquenziali urbani e rurali, avanzamento geopolitico di Cina e Russia nella regione, fra gli altri fattori- indicano la potenziale crescita di conflitti, rivolte sociali e accese dispute territoriali per i beni comuni e i territori.
I meccanismi di costruzione del consenso sociale per mezzo della distribuzione massiccia delle rendite dell’estrattivismo, che ha caratterizzato in buona misura i governi progressisti e più in generale questo ciclo politico regionale determinato dal boom delle commodity, sono stati influenzati in maniera notevole (seppure in forma differente a seconda dei paesi). Questo è avvenuto a causa degli effetti di corto e medio termine provocati dalla recessione economica esplosa con la crisi mondiale del 2008-2009 e il crollo dei prezzi internazionali delle materie prime iniziato nel 2014 e oggi perdurante.
Questo ha importanti implicazioni politiche, che non sono valutabili solo nel breve termine, di fronte a un ‘recupero’ economico regionale nel 2017: l’avvitamento e la profondità della dipendenza dai settori primari, gli alti livelli di indebitamento estero pubblico e privato, e i limiti strutturali nella capacità di risposta delle economia della regione, fra gli altri fattori, minano le basi economiche che hanno permesso un tipo di governabilità “includenti” che, in diversa misura, si erano espresse nel ciclo progressista.
Di fronte a ciò, sembra acquistare nuova dimensione e rivestire maggior importanza il ruolo della violenza come meccanismo di potere statale e para-statale, e di intermediazione nelle lotte economiche e ecologiche nella regione.
All’orizzonte si stagliano almeno due fattori determinanti nello sviluppo di cambio d’epoca: da un lato, persistono gli ingredienti per una nuova crisi globale, di dimensioni uguali o maggiori di quella di 10 anni or sono. In evidenza le tendenze alla ‘stagnazione secolare’ (FMI dixit),l’incertezza relativa all’economia cinese, la fine degli stimoli monetari della Riserva Federale statunitense (quantitative easing o QE) o la già sempre più annunciata bolla globale dei prezzi dei beni : la madre di tutte le bolle?
Questi fattori, come già accaduto in altri processi storici in America Latina, possono agire come detonatori di nuovi cicli di crisi.
D’altra parte, in sintonia con questa situazione globale, l’America Latina è oggi attraversata con maggior profondità dallo scontro internazionale fra gli Stati Uniti (e i suoi alleati) e Cina e Russia (e i loro alleati), evidenziando la logica bellicista e militarista del Governo nordamericano, con la sua idea esplicita di “Preservare la pace tramite l’uso della forza” (PILLAR III Preserve Peace Through Strength[5]) e il suo persistente e progressivo riposizionamento militare nella regione (diretto o indiretto), con epicentro in Venezuela.
[1] Parlando di libri, mi fa piacere segnalare l’uscita di un libro dell’antropologo Stefano Boni, docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, dal titolo Il Poder Popular nel Venezuela socialista del ventunesimo secolo. Politici, mediatori, assemblee e cittadini. Edito da ED#IT editpress, pagg.299, E 20.
[2] A.Serrano Mancilla ,El nuevo progresismo latinoamericano, www.jornada.unam.mx/2018/04/28/mundo/025a1mun?
[3] Emiliano Teran Mantovani, sociologo della UCV (Universidad Central de Venezuela), ecologista politico e master in economia Ecologica all’Università Autonoma di Barcellona. Ricercatore associato al Centro de Estudios para el Desarrollo (CENDES), membro dell’Observatorio de Ecología Política de Venezuela e menzione d’onore del Premio Libertador al Pensamiento Crítico 2015 por el libro ‘El fantasma de la Gran Venezuela’.