Mio padre e il missionario buono

di Karim Metref

Tramite una mailinglist sull’Africa curata dallo scrittore Enzo Barnaba, sono capitato sulla lettera di un ruandese di “etnia” Tutsi a una amica italiana, alla quale l’autore spiega il ruolo distruttivo delle missioni cristiane in Ruanda e per estensione in tutta l’Africa. Questa lettera mi ha riportato in mente una discussione che ho avuto con mio padre, parecchi anni fa. Parlavamo di un prete cattolico, Père Garnier, che all’epoca viveva ancora nel nostro comune.

Père Garnier era un missionario dell’ordine Nordafricano, ormai quasi scomparso, dei Padri Bianchi. Era una persona squisita che anche dopo la nazionalizzazione della scuola cattolica di cui è stato preside per molti anni, da parte del governo algerino negli anni 70, ha scelto di trascorrere la sua vecchiaia nella nostra piccola comunità di montagna in Cabilia. Parlava e capiva perfettamente il cabilo e conosceva tutti. grandi e piccoli. La maggior parte degli adulti della generazione di mio padre sono stati suoi allievi, quindi godeva di un rispetto assoluto. Aveva scelto di rimanere anche se di cristiani nella nostra comunità non ce n’erano. Anche gli orfani che la la loro missione ha cresciuto secondo la fede cattolica erano pochissimi, e con il tempo si erano spostati tutti verso le città o addirittura verso la Francia. Fin che ci sono ancora state poche suore, infermiere e levatrici, cattoliche, aveva continuato a celebrare la messa per loro. Quando, all’inizio degli anni 80, anche quelle sono andate via, perché anche il loro piccolo dispensario è stato nazionalizzato, è rimasto da solo, a vivere come un anziano qualsiasi del paese.

Era buono, aiutava la gente se poteva e aveva una parola buona per tutti. Rispettava tutti e tutti lo rispettavano. Quando morì nel 1992, è stato sepolto nel piccolo cimitero cristiano di Tizi Ouzou, il capoluogo della nostra provincia a 50 chilometri dal nostro paese. La distanza e la scarsità di mezzi di trasporto non hanno impedito a tutta la piccola comunità di essere presente per salutarlo un’ultima volta. Nell’orazione funebre, l’Arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, disse: «Ho consigliato a Pére Garnier, ormai anziano e malato, varie volte di venire a vivere ad Algeri o almeno a Tizi Ouzou e lui ha sempre rifiutato. Oggi capisco il perché. Capisco che Père Garnier ha scelto la sua famiglia e non ha sbagliato.»

Questo era Pére Garnier: un anziano delizioso che tutti amavano e che amava tutti. girava per il paese sereno e sorridente con il suo inseparabile berretto basco. Lo distinguevamo dagli altri anziani solo per il suo forte accento. 60 anni di vita in Cabilia non sono riuscite a cancellare la “R” moscia alla tedesca (era originario dell’Alsazia). Con i bambini era particolarmente dolce. Se non aveva qualche caramella in tasca, aveva sempre un gioco, una storiella o una canzoncina da condividere.

Ma un giorno, parlando con mio padre, dissi: «Quant’è buono Pére Garnier! Se i missionari cattolici sono tutti così buoni, non vedo perché lo stato ha nazionalizzato le loro strutture.»

E mio padre mi diede questa risposta che è rimasta per sempre nella mia memoria: «Vedi… Père Garnier è una persona stupenda. Ama la gente e la gente lo ama. Ma non confondere la singola persona con il sistema delle missioni. Anche tra i militari che reprimevano la nostra voglia di indipendenza, c’erano delle persone buone, oneste e umane. Quando ero in carcere per le mie attività “terroristiche” c’erano delle guardie francesi che sentivamo vicine a noi. Bravi padri di famiglia che non volevano farci del male. qualcuno chiudeva gli occhi su alcune violazioni delle regole, qualcun altro ci dava una mano, portava fuori i messaggi per le nostre famiglie… Presi uno ad uno, quelli erano anche loro delle brave persone. Ma erano parte di un sistema di oppressione. Perché è il sistema nel suo insieme che devi giudicare, non le singole persone.

Il colonialismo in Africa è entrato con l’esercito: ha massacrato, diviso, corrotto, deportato, bruciato, affamato… poi, subito dietro i soldati, arrivavano i missionari. Ti mettevano qualche cerotto sulle ferite, e, per sfamarti, ti restituivano, sotto forma di elemosina, una parte infima di ciò che l’esercito ti ha sottratto con la forza.

Non ti sbagliare, figlio mio – concluse mio padre – nonostante le apparenze molto diverse, nonostante i discorsi su Dio e sull’amore, missionario e soldato sono due facce della stessa medaglia».

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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