Monica Lanfranco: la mitezza non è più una virtù

Quando studiavo alle superiori la mia classe si era divisa fra chi parteggiava per Thomas Hobbes e chi invece

teneva per John Locke. Per sommi capi diciamo che Locke era il supporter di chi stava a sinistra, contro il determinismo e la concezione homo homini lupus del tetro Hobbes, amato invece da chi stava iniziando un percorso di adesione alla destra: la speranza contro la legge della giungla, la mitezza e la ragionevolezza contro aggressività e arroganza. Non che a sinistra l’aggressività e l’arroganza mancassero: era che non si dava per scontato che una società dovesse reggersi su valori mutuati dal dominio, dalla forza e dal testosterone, che pure abbondavano dovunque.

Anche allora non era semplice assumere il monito, pronunciato nel Discorso della montagna da Gesù di Nazareth “Beati i miti, perché erediteranno la terra”.

Già, la mitezza: come sembra lontano il tempo in cui i dibattiti tv, gli show del sabato sera, i programmi dedicati all’adolescenza non erano arene sanguinose dove urla, insulti, umiliazioni e volgarità la facevano da padrone. Ormai è chiaro che anni e anni di lavaggio del cervello attraverso la comunicazione, l’informazione e l’educazione attraverso la tv standardizzata sul modello del prevaricatore vincente hanno provocato una mutazione antropologica profonda, ineluttabile in questo Paese.

Agli incroci delle strade, in auto come a piedi, fuori dai locali collettivi, in treno, a scuola, nei posti di lavoro, dal nord al sud è un aumento esponenziale del gesto violento, della rissa, dell’aggressione connessa o non connessa con la piccola e grande criminalità.

Del resto è noto che nel Belpaese sono in crescita in maniere sensibile le liti, quelle del condominio, quelle evitabili e risolvibili attraverso la relazione pacifica tra le persone, se questa ancora esistesse e contasse: un’aggressività diffusa e persistente, indicatrice della fine del senso del buon vicinato, primo gradino indispensabile per poi edificare, su vasta scala, la convivenza civile.

A Roma il corpo di una donna riverso a terra in metropolitana è stato scavalcato e ignorato da decine di persone prima che qualcuno si chinasse e intervenisse; la donna, infermiera trentenne ora in coma, è stata scaraventata al suolo da un energumeno ventenne, che sembra l’abbia inseguita dentro la metro a causa di un litigio iniziato davanti alla fila per i biglietti.

A Milano un uomo è anche lui in coma per le ferite riportate dopo un pestaggio causato dal suo accidentale investimento di un cane: un altro energumeno, fidanzato della proprietaria del povero animale, lo ha affrontato e ridotto in fin di vita. Ma non finisce qui, perché gli amici dell’aggressore hanno poi intimidito gravemente alcuni testimoni dell’accaduto, che hanno deposto e confermato che l’investitore non andava ad alta velocità e si stava scusando dell’orribile fatalità.

Per qualche giorno assisteremo alla solita sequenza mediatica: sgomento, spreco di aggettivi, giuramenti da parte di amici e parenti circa la bontà degli aggressori. Nessuno poteva prevedere queste reazioni, erano così brave persone, chi l’avrebbe mai detto, forse sono stati provocati.

Certo, chi l’avrebbe mai detto che questo Paese, che si proponeva nell’iconografia classica un po’ cialtrone ma popolato da gente buona e di cuore, potesse trasformarsi in un posto inquietante, dove essere gentili e solidali è sinonimo assoluto di perdente, dove chi governa invita le giovani di bell’aspetto a trovarsi uno ricco per sistemarsi e spinge bellimbusti palestrati a diventare modelli ai quali aspirare, consacrati a idoli da programmi tv sia di intrattenimento come da quelli di informazione, in un continuum di messaggi formativi ed educativi che contribuiscono alla minimizzazione e alla giustificazione (se non alla legittimazione), della reazione violenta, dell’insulto, della prevaricazione come giusto e valido comportamento.

Picchia per primo, non ti fermare a pensare, guarda avanti dritto, scavalca qualunque ostacolo: questo il nuovo prontuario che madri e padri devono tenere a mente per l’educazione della prole, se vogliono figli e figlie vincenti e non ‘sfigati’, come si dice oggi. Come dar loro torto, in un’ottica di salvaguardia del sangue del proprio sangue, quando le agenzie educative sono a livello zero nella graduatoria delle priorità politiche e sociali?

La mitezza, categoria etologica ben lontana dalla remissività e dalla modestia, ma ingrediente indispensabile per costruire empatia e relazione fra umani è ormai un attributo obsoleto nell’orizzonte educativo e formativo dell’Italia aggressiva e urlatrice dei potenti e degli arroganti.

Come uscirne, e quando, oggi sembra un angoscioso interrogativo senza risposta.

www.monicalanfranco.it; www.mareaonline.it; www.altradimora.it; www.radiodelledonne.org

Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”
Audre Lorde

Redazione
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5 commenti

  • Monica, ti sposo.

    (grazie Daniele).
    clelia

  • ginodicostanzo

    Giuste considerazioni, anche se credo che l’aumentare delle liti per futili motivi sia “presunto”, nel senso che penso sia una nuova moda mediatica distraente dai veri problemi del paese. Ricordiamo il periodo dei rottweiler che mordevano un giorno sì e l’altro pure, o il periodo degli stupri o quello dei pedofili che spuntavano come funghi? Questo è il periodo della cronaca nera. La mitezza è una caratteristica negativa in un sistema capitalista, è sempre stato così. La competitività spinta all’estremo della nostra società è antitetica alla solidarietà ed alla gentilezza. La mitezza DEVE essere abbandonata quando si lotta per i propri diritti: la brutalità del potere non fa sconti alla lotta di classe, che è sacrosanta.

    • Anche io credo sia presunto (l’aumento) e che Monica abbia soprattutto voluto sottolineare come un certo tipo di informazione-potere (la pedagogia del cattivo esempio dall’alto e della sfacciataggine nel rivendicare: “siamo ricchi, mascalzoni, arroganti e ce ne freghiamo delle leggi che affliggono i comuni mortali”) sia il dato nuovo o almeno mai visto in questa evidenza sotto un regime formalmente democratico. Gli altri due punti toccati da Gino – ruolo della “nera” e mitezza nell’agire politico – sono complessi quanto centrali. Anche le cronache “rosa” (vecchio stile o nella nuova forma porno-soft) o la dis/informazione sportiva sono – a ben pensarci – fonte di inquietudini: perchè donne (soprattutto ma anche molti uomini) si appassionano agli amori dei Vip senza neppure porsi la questione se quei ricchi stanno rubando loro qualcosa? Perchè uomini (ma anche donne) si identificano con miliardari, spesso dopati, che trionfano in attività molto più truccate di quanto 200 Moggi veeeeeeramente rei confessi potrebbero raccontarci?
      Mentre ferve il dibattito su uova, fumogeni, scritte, fischi e vetrine scambiate per pistolettate, colpi di bazooka, bombe si tace sui milioni di assassinati nel mondo dalle imposizioni di Fm, Bm e Wto o – per restare in Italia – su operai, impiegati, studenti che si ammazzano perchè non hanno un lavoro o un futuro e magari i loro vecchi vengono pure sfrattati, vivono di elemosina o peggio. Eppure se un disperato, un licenziato, invece di colpire se stesso, scegliesse di entrare armato nell’ufficio di un “potente”… non sarebbe un passo avanti. E’ solo l’azione collettiva che può restitituire speranza a tutte e tutti. Non è facile coniugare radicalità e sovversione con mitezza e nonviolenza. Ha sacrificato la sua giovane vita combattendo – con le armi in pugno – per la libertà degli oppressi, eppure proprio Che Guevara ricordava (un paradosso inquietante?) che “bisogna sapersi indurire senza perdere in tenerezza”. (db)

  • Interventi che continuano ad interessarmi, profondamente.
    Non è possibile, non più, volersi schierare nettamente da una parte o dall’altra, semplicemente perchè le due parti si fanno sempre più estreme e sempre più lontane da risultati efficaci. Dove questo accade, erroneamente, la responsabilità maggione risiede nella mancata, adeguata preparazione culturale (la scuola, quella che ormai viene presa sistematicamente a calci).
    Come può, un popolo tenuto allo scuro (volutamente) di tutto, trattenuto nell’incoscienza del sè, pilotato verso ciò che deve interessarlo e non, individurare la linea della “mitezza da combattimento”? Perchè sono certa che sia di questa mitezza che si debba discutere, questa la qualità da cercare al fondo di ognuno di noi: quella di chi non spara e urla poco, ma sa riconoscere la strada della dignità e della lotta nel buon senso e nella condivisione. Penso soprattutto a una dignità da difendere a tutti i costi per i dimenticati,per chi non ha più neppure la forza di lamentarsi.

    Forza e determinazione che ognuno dovrebbe posare sul tavolo, ogni volta che apparecchia, insieme alle stoviglie, nascosta nel tovagliolo, impastata al pane e traboccante nel dire. Ma si accende la tivvù: inizia la giostra del telegiornale, inizia il voyerismo mediatico, ci si riempie di parole che ci danno il senso della partecipazione, di rabbia che ci fornisce il senso della giustizia, di giudizi che ci restituiscono l’illusione di un’ipotetica valenza individuale.

    E…e se la signora che abita al piano di sopra rientra in casa e dimentica, malgrado la stanchezza, di levarsi le scarpe con i tacchi (che indossa per meglio apparire al lavoro, già, è così che va) e di corsa va in cucina a metter su qualcosa prima che rientri il marito passato a prendere il piccolo all’asilo, e presto di qua e di là e tic e tac e tic e tac…?
    Il sottostante,disturbato durante la sua dose giornaliera di “informazione”, forse si leverà da quella tavola e mormorando un – adesso gliene dico quattro – salirà le scale, suonerà a ripetizione a quella porta e quando si aprirà (finalmente!) non si chiederà neppure chi abbia davanti ma inizierà ad urlare di fastidio, rispetto, disturbi e tacchi.
    Ecco, questa persona era nel mondo che lo rende ogni sera protagonista, finalmente: il tiggì. Che importa chi e cosa sia quella maleducata di sopra? E’ una da redarguire, punto.
    Si sta perdendo davvero il senso di cosa sia importante e cosa no.

    ciao
    clelia

  • “…senza perdere la tenerezza”, la famosa frase del Che, è una grande verità umana. Un combattente per la libertà non è un assassino, lasciamo gli atroci “effetti collaterali” agli imperialisti.

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