Monica Lanfranco: non italiane? Madri di serie B

«Posso capire che ci si voglia accanire su una donna, e per di più immigrata. Conosco bene la vendetta degli uomini. Ma la ferocia su cinque bambini no, quella non la capisco e la combatterò con tutte le mie forze». Due anni fa aveva la voce ferma Karina Cedeño Baez ,mentre pronunciava la sua sfida. Trentatrè anni, cittadina ecuadoriana, Karina Cedeño Baez aveva occupato per diverso tempo il consolato del suo Paese a Genova con i bambini di 13, 12, 7, 5 e 2 anni, di cui uno disabile, chiedendo protezione e per accendere i riflettori sulla sua vicenda, che riteneva emblematica della condizione di molte donne e madri straniere legate a uomini italiani. Una vicenda rimbalzata su quasi tutta la stampa latino-americana, raccontata per intero sul sito vivequador.it che però poco risalto ha avuto fin qui in Italia. Oggi la situazione è improvvisamente cambiata, e una sentenza a suo favore potrebbe costituire un precedente importantissimo non solo per il suo caso, ma anche per quel che riguarda l’equiparazione delle coppie non sposate a quelle unite in regolare matrimonio. Facciamo un passo indietro. Karina vive da quattordici anni in Italia, e per dodici ha una relazione con un facoltoso commerciante genovese, già sposato due volte, con precedenti chiusure assai burrascose. Da questa unione nascono quattro figli, in mezzo ci sono storie di amanti dell’uomo, percosse denunciate dalla convivente, e anche, come spesso accade, tentativi di riconciliazione. Durante l’ultimo tentativo di far funzionare il rapporto nasce l’ultimo bimbo, ma quattro anni fa la relazione per Karina finisce definitivamente. Lei se ne va con i figli, si rende indipendente dal punto di vista lavorativo e chiede l’affidamento dei bambini, portando anche le prove del tradimento del convivente e svariati attestati delle violenze subite. «Ma lui è ricco, forte e conosciuto – dice Karina. – Persino alcune fra le sue ex mogli mi hanno messo in guardia. Mi hanno detto che avrebbe cercato di farmi passare per instabile, pazza, incapace di assumermi responsabilità verso i miei figli. Lo ha già fatto in passato, ora tocca a me». Di che cosa era accusata Karina? «L’assistenza sociale sostiene che, a causa del mio lavoro, passerei molto tempo fuori casa; sono mediatrice culturale, ho fondato una associazione che fornisce servizi per molti professionisti, è tutto documentato. Sono una donna normale che ha figli, li porta a scuola, li accudisce, e ha una attività sua, come moltissime altre donne italiane. Che ho di diverso? Di diverso c’è che il mio ex convivente, forte del suo denaro e delle sue conoscenze, mi vuole togliere i bambini, come già è successo a molte donne latinoamericane legate a uomini italiani. Di peggio c’è che non sono italiana, e questo aggrava la mia situazione». Su Karina, difesa da un avvocato di Sanremo, pesava la decisione del Tribunale dei minori che aveva disposto l’affidamento temporaneo dei figli ai servizi sociali. Per questo la donna aveva occupato il consolato e tentava da lì di far parlare di sé e del suo caso il più possibile. Secondo quanto la donna scriveva in una lettera aperta al presidente della repubblica dell’Ecuador, Rafael Correa, pubblicata anche sul sito G2, l’associazione delle seconde generazioni di giovani italiani nati da genitori stranieri, il Tribunale per i minori di Genova stava per notificarle la decisione di separarla dai suoi figli che verrebbero affidati a una casa-famiglia, disponendo di destinare anche lei a una comunità, «senza una ragione che non sia il razzismo e la xenofobia, adducendo ingiustificatamente che non sarei una madre idonea». In un altro passaggio della sua lettera Cedeno Baez, che si definiva «una madre disperata», denunciava inoltre che il suo è solo «un caso in più che va ad aggiungersi ai numerosi che vedono protagoniste non solo madri ecuadoriane ma extracomunitarie, che la giustizia italiana pretende di dichiarare incapaci di aver cura dei propri figli, senza prove reali». Una brutta, bruttissima vicenda che ancora una volta racconta di disparità fra uomini e donne, fra migranti e nativi, fra potere economico e scarsità di tutela per chi non è abbiente. Ma dopo due anni all’improvviso una decisione importante: con provvedimento del 23 aprile 2010 il Tribunale minorile di Genova ha messo la parola fine alla tormentata vicenda. Il procedimento, dopo un’iniziale affidamento dei figli ai servizi sociali del Comune di Genova, così come richiesto dal padre, noto gioielliere genovese, si è concluso superando tale scelta, che oltretutto veniva rinforzata dal suggerimento del Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio) che addirittura proponeva la istituzionalizzazione dei minori. e la limitazione per la madre di vedere i 4 figli, due per volta e in presenza di un educatore, una sola volta alla settimana. I giudici genovesi, riappropriandosi del loro ruolo di periti super partes, alla luce della verifica del forte legame affettivo esistente tra figli e madre – alla quale non potevano essere contestati comportamenti contrari alla morale familiare, e anzi se ne era verificata la puntuale attenzione alle esigenze dei minori – hanno riconosciuto la bigenitorialità, così come richiesta dalla madre, affidandole i figli e la casa familiare, con possibilità per il padre di esercitare il suo ruolo di genitore, trattenendosi a giorni prefissati con i figli. Il provvedimento è notevolmente innovativo, in quanto costituisce un importante precedente che, anticipando il progetto di legge che riconosce le coppie di fatto, sancisce il riconoscimento di pari dignità anche alla madre non sposata ma solo convivente e non cittadina italiana.

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