Morire di carbone

Il 2022 potrebbe finalmente portare giustizia a chi per decenni è morto di carbone in Italia. Al Tribunale di Savona 26 tra manager e direttori della Tirreno Power, proprietaria della centrale a carbone di Vado Ligure, sono a processo per disastro ambientale e sanitario.

di Antonio Tricarico (*)

A quasi tre anni dall’inizio del processo al Tribunale di Savona per disastro ambientale e sanitario a carico della Tirreno Power e 26 tra manager e direttori, il 14 dicembre è stata la volta dei consulenti tecnici di Uniti per la Salute. Ovvero il comitato cittadino dal cui esposto, nel lontano 2010, è nata l’indagine sui nefasti impatti sulla cittadinanza della centrale a carbone di Vado Ligure.

Un’udienza quanto mai importante, poiché Uniti per la Salute ha costantemente affiancato con i suoi legali la Procura di Savona in quello che può essere un processo chiave per stabilire una volta per tutte nella giurisprudenza italiana la correlazione tra le emissioni killer della combustione del carbone e l’eccesso di morti per malattie respiratorie e circolatorie.

Secondo l’epidemiologo dell’Università di Mainz, Emilio Gianicolo, audito dal giudice Francesco Giannone nell’area di ricaduta delle emissioni della centrale di Vado Ligure, “la mortalità per tutte le cause aumenta del 49 per cento rispetto a soggetti non esposti alle emissioni”. Nel dettaglio, per gli uomini la mortalità per tumori cresce del 50 per cento, più del 39 per cento per malattie cardiovascolari e addirittura più 90 per cento per quelle respiratorie.

Di poco più basse le stime di decessi per le donne. Molto pesanti anche gli impatti sui più giovani. “Nei soggetti tra gli 0 e i 14 anni esposti all’effetto delle emissioni della centrale i ricoveri per malattie respiratorie sono risultati il 48 per cento in più rispetto ai ricoveri avvenuti nei territori non esposti. Si arriva al più 51 per cento a proposito dei ricoveri per asma”.

Per il consulente di Uniti per la Salute vi è stato un eccesso di mortalità in tutti i periodi presi in considerazione in cui erano in corso le emissioni della centrale di Vado Ligure, fino alla sua improvvisa chiusura il 14 marzo 2014. Quel giorno, su richiesta della Procura di Savona, con una coraggiosa decisione la Gip Fiorenza Giorgio ordina il sequestro per motivi di sicurezza sanitaria dei due gruppi a carbone dell’impianto sito alla periferia di Savona, nei comuni di Vado Ligure e Quiliano.

Nel 2015, la Procura conclude l’indagine iniziata cinque anni prima, quando il Presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Savona, Ugo Trucco, aveva rotto il silenzio delle istituzioni definendo la centrale a carbone una minaccia immanente per la salute della popolazione locale. Il socio francese dell’azienda, Engie, nel 2016 convince quello italiano Sorgenia a chiudere definitivamente i vecchi gruppi e a rinunciare alla costruzione del nuovo, lasciando così in funzione solo un’unità a turbogas.

Ma in quel frangente il procuratore capo di Savona, Francantonio Granero, che nel frattempo aveva denunciato in Parlamento interferenze politiche nell’indagine, va in pensione. Nel rinvio a giudizio per 26 manager e direttori, sorprendentemente l’accusa di disastro ambientale doloso e omicidio colposo plurimo viene derubricata a disastro ambientale e sanitario colposo.

Ma soprattutto la posizione di decine di amministratori pubblici viene stralciata e inviata stranamente alla Procura di Roma, che poi chiederà e otterrà l’archiviazione di tutti. Insomma, l’epilogo dell’indagine sembra essere stata dettata da un accordo non scritto, che a fronte della chiusura del carbone a Vado Ligure ha visto un lasciapassare per la politica che sarebbe stata anch’essa responsabile di quel disastro.

L’esame di Gianicolo ha rafforzato la tesi della Procura di Savona ben esposta nei mesi precedenti dal Prof. Paolo Crosignani, principale esperto epidemiologico che ha affiancato con le sue perizie la pubblica accusa nell’ultimo decennio. Ma non solo. Ad inizio 2021 ha deposto in tribunale a Savona anche il Prof. Fabrizio Minichilli, epidemiologo dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa: “In tutta la mia lunga attività professionale ed epidemiologica non ho mai riscontrato dati [epidemiologici] così alti come quelli di Vado Ligure”.

Minichilli è stato l’estensore di uno studio analogo a quello di Crosignani, commissionato dalla Regione Liguria e completato nel 2017, ma reso pubblico solamente nel 2019 dopo la peer review di prestigiose riviste scientifiche internazionali, e infine depositato a processo.

I risultati confermano, se non addirittura rafforzano, gli studi prodotti dagli esperti della Procura nel corso dell’indagine, evidenziando eccessi di mortalità per tutte le cause in entrambi i sessi ben oltre la norma per cause naturali. Un 49 per cento che, per capirci, significa più del doppio di quanto riscontrato da uno studio simile nella martoriata area di Taranto.

Tramite i legali di Uniti per la Salute, Gianicolo è riuscito ad acquisire i dati grezzi del CNR riguardanti un lasso temporale più lungo di quello coperto dalle perizie della Procura. Le ulteriori elaborazioni hanno confermato le accuse di questa per il periodo fino alla chiusura dell’impianto. Accuse pesanti a cui la società interpellata dai media locali questa volta non ha voluto dare risposta. Si continua il 18 gennaio con l’udienza del testimone Prof. Fabrizio Bianchi, tra gli autori dello studio del CNR.

Mai come questa volta è lecito augurarsi che il prossimo anno porti finalmente giustizia alla popolazione che ha vissuto sulla propria pelle la tragedia del carbone di Vado Ligure.


(*) Articolo pubblicato in collaborazione con Recommon.org

Link all’articolo originale: https://comune-info.net/morire-di-carbone-in-italia

 

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