Morire di carcere: ancora a Bologna

di Vito Totire (*)

L’unica overdose certa(al momento) è la overdose di carcere

Il quotidiano «Il Resto del Carlino» dà notizia dell’ennesima morte nel carcere Dozza a Bologna: si tratta di Fateh Daas, algerino di 42 anni. Qualche giorno fa avevamo denunciato (**) l’eterna inerzia del sindaco e del ceto politico; avevamo altresì rilanciato la proposta di una «Istruttoria pubblica sul carcere».

Sulla morte vengono ventilate le solite ipotesi ma non viene menzionata quella più probabile: overdose di carcere.

Approfondiamo:

  • Giovane età, non noti i fattori di rischio
  • «trovato morto» dal compagno di cella, reparto giudiziario
  • Il suo stato di salute era compatibile con il “regime carcerario” ?
  • Ipotesi: «malore legato alla assunzione di qualche tipo di sostanza»; suicidio; sniffing di colla o di gas
  • Sulle bombolette di gas, abbiamo già detto, il carcere ha gravi responsabilità però nessuno mai risponde

Una domanda ovvia ma retorica è: persone afflitte da dipendenze devono stare in carcere o non è più appropriata una collocazione in strutture terapeutiche-riabilitative? La “appetenza” per i paradisi artificiali si gestisce con la reclusione, anche per le persone non soggette a condanne definitive? La ricerca di paradisi artificiali non è forse segno di un forte disagio psicosociale che necessita di essere preso in carico e non di essere messo dietro le sbarre?

Sulla droga le istituzioni vogliono usare solo metodi custodialistici di tipo manicomiale-carcerario (perquisizioni corporali, controlli vessatori, contraerea anti-droni, psicofarmaci neurolettici, eliminazione dalla dieta di quel che potrebbe servire a fabbricazione di superalcoolici sostituendo la frutta con vitamina C, divieto d’uso dei telefonini non sostituiti però, come in Francia, da telefoni fissi in cella) oppure intendono adottare programmi terapeutici?

L’europeismo è usato come colluttorio per sciacquarsi la bocca; se fosse vera attenzione alle prassi positive gestite in Europa porterebbe magari verso una gestione “dei delitti e delle pene” innovativa, per esempio analoga a quella olandese.

Ma tutto questo , nella ultima arida campagna elettorale di Bologna è stato tabù; il csrere Dozza- cioè il luogo più morbigeno della città – è stato oggetto di rimozione totale da parte di tutti (forse un paio di liste avevano in mente il “problema” però non sono riuscite a “farlo sapere”) ;

Il modello carcerario-manicomiale-custodialistico ha fallito: il corteo funebre di morti si allunga ogni anno.

AUSL, SINDACO, PREFETTO, GOVERNO : TUTTI SOLIDALI FRA LORO NEL SILENZIO; LO STESSO “GARANTE” – COME PREVEDIBILE- GSRANTISCE NON PER LE PERSONE DETENUTE MA PER IL CONSIGLIO COMUNALE CHE LO HA NOMINATO.

Negli anni sessanta Basaglia, Slavich, Antonucci, Jervis, Rotelli e centinaia di altre persone avviarono il movimento che portò alla abolizione dei manicomi; oggi dobbiamo mettere in moto un movimento simile (e sinergico) per la demolizione delle carceri.

Fateh Daas, morto alla Dozza; era colpevole? Forse ma comunque non doveva morire in carcere.

Spetta alla Procura della Repubblica di Bologna l’onere di rispondere anche alla nostra istanza di costituzione di parte civile nel procedimento di indagine.

Basta con l’overdose di carcere, basta con l’assuefazione alle “morti nel sonno”.

Basta col silenzio.

ISTRUTTORIA PUBBLICA COMUNALE SUBITO.

(*) Vito Totire è portavoce della Rete per l’ecologia sociale

(**) cfr E’ ora: demolire il carcere di Bologna

LE IMMAGINI SONO SCELTE DALLA “BOTTEGA”: la vignetta di Mauro Biani è del 2009, purtroppo da allora poco (quasi nulla) è cambiato in meglio.

Redazione
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