Morire di glifosato

di Saverio Pipitone (*)

Almeno 20.000 ricerche pubblicate nella letteratura scientifica documentano la minaccia sanitaria dell’esposizione umana ai pesticidi per l’aumento del rischio di contrarre gravi malattie croniche degenerative quali infertilità, tiroide, tumori, leucemie, diabete, ipertensione, artrite reumatoide, insufficienza renale, malformazioni, alzheimer, parkinson, disturbi del neurosviluppo e altre.

Sotto accusa è specialmente il glifosato, l’erbicida più spruzzato al mondo, che venne brevettato negli anni Settanta a marchio Roundup dalla Monsanto (ora Bayer) e poi liberalizzato con l’ingresso nel business di diversi colossi chimici – da Syngenta a Nufarm – che producono analoghi generici, per un potenziale giro di affari globale di $ 10 miliardi annui.

A migliaia si sono ammalati per glifosato: molti con linfoma non Hodgkin. Solo negli Stati Uniti, 125.000 tra consumatori e agricoltori, per i danni sanitari subiti dal diserbante, hanno intrapreso azioni legali o class action contro Bayer, che per risolverle offre fino a $ 16 miliardi di risarcimento totale, incluse le denuncie future: in media qualche spicciolo a testa.

Dei querelanti, in attesa di giudizio, sono morti come Marie Bernice Dinner, il 2 giugno 2020 a 73 anni a causa del linfoma, lasciando marito, figli e nipoti, dopo una vita trascorsa ad aiutare gli altri con le attività di audiologa e di filantropa a Denver in Colorado.

Inoltre c’è chi vive o lavora nelle piantagioni ad agricoltura intensiva e irrorazione aerea del glifosato, con pesanti conseguenze alla salute e spesso sono indigenti senza tutele giuridiche. In Argentina li ha incontrati il fotografo Pablo E. Piovano, raccontandone le malattie pesticide nel reportage The Human Cost Of Agrotoxins, in particolare dei bambini: Jessica Sheffer, con il fisico piegato a metà per mutazione genetica; Camila Magalí Verón, con malformazione congenita nell’apparato digerente; Milagros Milena Alcaraz, nata con piedi deformi, che le impediscono di camminare; Lucas Techeira, affetto da ittiosi lamellare con squame sul corpo.

Intanto, in Europa, per il procedimento di rinnovo dell’autorizzazione comunitaria del glifosato in scadenza a dicembre 2022, una task force, composta da Francia, Ungheria, Olanda e Svezia, ha esaminato e valutato un migliaio di studi – realizzati o sponsorizzati dagli stessi produttori – giungendo alla conclusione che non è cancerogeno e mutageno, né tossico per la riproduzione, ma provoca soltanto lesioni oculari e nocività permanenti agli organismi acquatici.

Secondo una ricerca indipendente di valutazione dei genetisti Armen Nersesyan e Siegfried Knasmueller dell’Università di Medicina di Vienna, numerosi lavori sulla genotossicità del glifosato che l’industria esibisce alle autorità statali di regolamentazione, compresa la task force, sono “non o parzialmente affidabili” rispetto agli standard internazionali OCSE di rigore scientifico.

Monsanto, dagli anni Settanta, per sperimentare il Roundup al glifosato, si avvalse di laboratori sia interni che esterni.

Di alcuni test iniziali si occupò la IBT Labs di Northbrook (Illinois), che certificava i prodotti chimici, dai pesticidi ai farmaci, per la registrazione federale di sicurezza e l’immissione sul mercato, ma furono invalidati perché le autorità governative di controllo rilevarono delle irregolarità su tutta l’attività del laboratorio con accuse e condanne di frode scientifica per nascondere un alto tasso di morte delle cavie animali.

Altri successivi test vennero commissionati al laboratorio Crafen di Dallas (Texas), che valutava le quantità di avanzi di pesticidi ammissibili negli alimenti freschi o trasformati, nel suolo e nelle acque, ma l’EPA (Agenzia statunitense protezione ambiente) scoprì che su una quarantina di sostanze, incluso il glifosato, erano state eseguite delle misurazioni improprie con falsificazione intenzionale dei dati.

L’EPA, sulla base di un esperimento su 400 ratti che svilupparono degli adenomi tubolari ai reni con una rarissima forma di tumore, aveva poi classificato il glifosato come probabile cancerogeno, ma Monsanto contestò i risultati ed eseguì delle revisioni fino all’esito favorevole. Allora l’EPA assunse un atteggiamento accondiscendente, facendolo gradualmente retrocedere nella categoria di non cancerogenicità. Per i funzionari che ne declassarono la pericolosità si aprirono le “porte girevoli”, vale a dire il passaggio dal pubblico al privato e viceversa per reciproci interessi: Linda Fisher assunse la vicepresidenza della Monsanto e successivamente ritornò all’agenzia; James Lamb divenne partner di un importante ufficio legale dove Monsanto era cliente.

Quando sopraggiunse un ulteriore studio sul glifosato come causa di stress ossidativo con danni sul materiale genetico negli animali, Monsanto incaricò il professore James Parry dell’Università del Galles di condurre un riesame ma, dopo un’attenta analisi, egli confermò la diagnosi e raccomandò un approfondimento per verificare gli effetti sinergici sugli umani. Il dirigente William Heydens, in una e-mail aziendale, scrisse: «Semplicemente non faremo gli studi suggeriti da Parry».

Una sperimentazione esauriente venne invece fatta dal biologo molecolare Gilles-Éric Séralini che, con il proprio staff, esaminò il glifosato per due anni su 200 roditori, riscontrando dal tredicesimo mese: nelle femmine, lo sviluppo di tumori mammari e squilibri ormonali con crescenti e rapidi decessi; nei maschi, un aumento di congestioni epatiche e necrosi nel fegato, nonché grandi tumori palpabili; in entrambi i sessi, carenze croniche renali significative. Gli esiti, con le immagini atroci delle infiammazioni tumorali, furono pubblicati nella rivista scientifica “Food and Chemical Toxicology”, ma giunsero le immediate disapprovazioni della Monsanto e di vari scienziati – molti dei quali legati professionalmente al business biotecnologico. In seguito a tale discredito, la stessa rivista ricusò l’articolo dello studio, definendolo inconcludente e bollandolo in ogni pagina con la dicitura RETRACTED. Gli autori, indignati dal gesto antiscientifico, riuscirono a ripubblicarlo sul giornale “Environmental Sciences Europe”, esortando circa la necessità di effettuare nuovi test per valutare a fondo i pesticidi geneticamente modificati nelle formulazioni commerciali complete. Ed è quello che fece Séralini con un’altra ricerca, divulgata da “Toxicology Reports”, sul principio attivo del glifosato e sugli occulti coformulanti che, mediante una spettrometria di massa, furono identificati in diverse sostanze come l’arsenico e il poliossietilene ammina o POEA: solo loro esercitavano poteri di interferenza endocrina con possibili danni per fegato, tiroide e fertilità.

I menzionati episodi, tra manipolazione e collusione scientifica, mettono a repentaglio la salute umana, animale e ambientale. Sono pubblici grazie ai documenti: “Poison Papers”, redatti dal 1974 dall’ecologista Carol Van Straum dopo che si era trasferita nella foresta di Siuslaw (Oregon) per vivere nella natura, ma i figli cominciarono a soffrire di epistassi, diarrea e mal di testa per i diserbanti spruzzati nel bosco dalla forestale e lei, con denunce e azioni legali, riuscì a ottenerne il divieto; “Monsanto Papers”, con appunti confidenziali, e-mail, report aziendali, memorandum e altri scritti che la multinazionale è stata costretta a desegretare per i processi giudiziari.

Nei Monsanto Papers è riportata un’inquietante lettera datata marzo 2013 di Marion Copley – tossicologa dell’EPA ritiratasi perché ammalata – indirizzata al collega Jess Rowland, scrivendogli che dopo le dimissioni dall’agenzia aveva approfondito gli studi sul glifosato ed era giunta alla conclusione che potesse provocare l’insorgere di tumori: «Per una volta nella tua vita», lo rimprovera nella lettera, «ascoltami e non fare il gioco della collusione tra scienza e politica. Per una volta, fa la cosa giusta e non prendere decisioni basate su quali saranno i tuoi guadagni».

Jess Rowland, adesso in pensione, all’EPA era soprannominato “talpa della Monsanto” per la condotta compiacente alla multinazionale e non cambiò mai, mentre Marion Copley morì di cancro al seno nel gennaio 2014, ma non voleva che dei gravi abusi restassero ignorati e fece il suo dovere.

(*) ripreso da saveriopipitone.blogspot.com dove è stato pubblicato con il titolo “Glifosato: nasce tondo non muore quadrato”

 

 

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